Gli spazi della galleria di Guido Cabib offrono la possibilità di confrontarsi con la produzione più recente di Robert Gligorov (Kriva Palanka, 1960). Sebbene l’artista macedone si sia cimentato fin dal suo esordio con il medium pittorico, realizzando anche opere plastiche, la personale Pow Wow dichiara la sua predilezione per il mezzo fotografico. La fotografia manipolata di Gligorov non ha mai avuto un valore auf sich e funge da matrice sistematicamente trasferita su un supporto (spesso in alluminio), che dilata sulle pareti il contenuto delle ri-composizioni digitali. L’artista macedone, fedele vassallo di un’estetica pulp, ha sempre scelto la strada dell’esasperazione contenutistica. I gesti genuinamente morbosi immortalati nelle stampe esposte alla galleria fiorentina La Corte Arte Contemporanea nel 1998, oppure i tergicristalli che mondano sangue da un parabrezza e il cadavere di gusto cattelaniano presentati a Venezia nella galleria di Michela Rizzo, non possono essere spiegati prescindendo dal passato artistico di Gligorov, impegnato fugacemente anche con il cinema (l’artista, ancora alle prime armi, si ritagliava un ruolo nel new horror cult di Michele Soavi Deliria, 1987).
Opere come Standing e Scultura Digitale, dove il riguardante viene immortalato di fronte ad una scultura deforme e smaccatamente pixellizzata dello stesso artista, sono l’ennesimo sintomo di una concezione tendenzialmente antropocentrica dell’arte, come ha giustamente ravvisato la critica Santa Nastro. Il narcisismo della messa in scena corporea cede rapidamente il posto a composizioni che si attestano su un registro più ironico, vicino allo spirito digital-grottesco di Paola Pivi.
Veni Vidi Vici fa il verso alla recente e insopportabile spettacolarizzazione della figura di Leonardo da Vinci e agli accoliti di Dan Brown: la celebre Annunciazione leonardesca diventa carta da parati ritagliata intorno ad una presa elettrica che accoglie la batteria di un cellulare. Dopo aver sostituito l’arco di trionfo parigino con La mecca in Place de l’Etoile, Gligorov si concede anche il lusso di rielaborare il dipinto L’isola dei morti, trasformando il magnifico isolotto montenegrino raffigurato da Arnold Böcklin in un’immagine di Capri circondata dai faraglioni ma sormontata dal complesso del centro direzionale napoletano, con tanto di logo dell’operatore telefonico.
La presenza di una stampa tratta da Bobe può essere letta invece come omaggio alla città partenopea, che ospita da tre anni la celebre serie sui binari della stazione di Materdei nell’ambito del progetto I Metrò dell’Arte.
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