La corposa antologica
Armando De Stefano al Pan, proposta al primo piano di
Palazzo Roccella, inaugura il primo di cinque appuntamenti che verranno
dedicati finalmente ai grandi protagonisti napoletani del Novecento.
Armando De Stefano (Napoli, 1926), che è anche direttore artistico del
progetto,
presenta
il suo lavoro con una selezione di dipinti e
disegni, dagli anni ’50 a oggi, esibiti in un
percorso che è cronologico ma soprattutto tematico. Allievo di
Emilio Notte, amante del pianoforte e del jazz,
scenografo, appassionato di teatro e di cinema, De Stefano appare
incessantemente alla ricerca di nuove strade, sperimentando diversi media e
differenti cicli pittorici.
Dopo una prima fase neorealistica, le immagini si spezzano
e i pensieri si complicano (come egli stesso ammette, anche in seguito a un
incontro con
Francis Bacon sul finire degli anni ’50, alla Biennale di Venezia).
Body
and Soul, datato
1964,
segna in
mostra con tutta la sua intima inquietudine l’acme di questa ricerca.
Subito dopo le figure si ricompongono, cominciando ad
affacciarsi sul cinema. I corpi nuotano nelle tele come fantasmi, dando vita nel
corso degli anni ‘70 a una pittura di storia largamente teatrale, senza alcun
accento celebrativo. Piuttosto si coglie un avvertimento, un presagio di fine,
palpabile nei passaggi più salienti della Rivoluzione napoletana del 1799, o
anche nella storia inventata di
Odette, libera di esser guardata negli occhi sul suo viso
di pietra, che ha il colore insieme dell’eros e della morte.
In un miscuglio dolce e
severo di colori, il visitatore s’imbatte in un mondo bizzarro e soffocante, dove
abitano uccelli con lunghi becchi, rettili, uomini e vecchi dall’aria rapita,
figuri beffardi che hanno sguardi profondi e muti, e guardano con serietà,
quasi a voler sottolineare la distanza che intercorre tra noi e loro, persi
dentro un’inafferrabile motivazione per ciò che sta accadendo.
Come le
Maschere, la serie che spicca tra le sue
cose più belle, in cui viene fuori la stoffa del grande disegnatore, perché,
come ricorda lui stesso,
“il disegno è la condizione di tutto, è la
ripartizione dello spazio in termini armonici”. O il successivo ciclo degli
Esclusi,
che
spinge l’attenzione oltre la cortina di ferro della superficie consumistica e
fintamente felice, fino a sottolineare il trasformismo dei camaleonti di questi
ultimi anni.
I riferimenti sono
tanti. C’è
Géricault,
Courbet,
Gemito,
Picasso. Ma anche
Caravaggio e
Velázquez. Tutto sangue trasfuso sul
palcoscenico di una sola città, sempre la stessa, a difendere coi denti la sua
identità.
E quando gli è stato
chiesto “
perché sempre Napoli?”, lui ha risposto senza pensare:
“ I volti degli
scugnizzi su cui batte un raggio di sole, nel primo pomeriggio, sui muretti
della salita di San Potito, dove li potrei trovare se non a Napoli?”
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Come previsto, è cominciata la lenta agonia del PAN.
che disgrazia
Odette, aaaaah! erano anni che si aspettava di vedere un po' d'arte su questo portale!