Mentre la colla del parquet made in sweden ancora asciugava, insieme alle pareti dipinte mezz’ora prima, la folla s’assiepa in via Settembrini 79, davanti al monumentale portone di Palazzo Donnaregina, in attesa dell’inaugurazione del nuovo museo d’arte contemporanea di Napoli.
Ore 12: i vip –tra i primi gli artisti, Kounellis e Clemente in testa– arrivano alla spicciolata e, mentre s’attende l’arrivo delle autorità, già comincia a campeggiare qualche provocatorio striscione, in cui s’allude allo stato d’abbandono in cui versava il quartiere prima che la febbre per il contemporaneo lo investisse. Volti noti e meno noti spingono, s’accalcano, urlano. Ma niente da fare, se non arrivano le istituzioni la festa non può principiare. Alla fine giungono insieme il governatore della Regione Antonio Bassolino e il presidente della Provincia Dino Di Palma e, mentre si prepara lo spumante, ecco pure il sindaco Rosa Russo Jervolino. Frattanto, la calca è aumentata, una ragazza sviene.
Finalmente si entra. In un discorso che prende lentamente i toni del comizio, Bassolino celebra il successo che la nuova struttura rappresenta per la città e ne esplica le funzionalità. Il MADRE si sviluppa su quattro livelli: il secondo e il terzo saranno dedicati alla collezione permanente e il quarto alle esposizioni temporanee, mentre al pianterreno s’apre un’enorme sala di ben trecento metri quadrati destinata ad essere impiegata come spazio polivalente.
Il museo è ancora per metà da finire, i lavori –impostati dal grande architetto Alvaro Siza- sono ancora tanti e questa novità cittadina sembra non brillare particolarmente sotto le luci del proprio debutto. Alcune hostess sopperiscono alla solita mancanza di cartellini e informazioni, che spiazzano finanche i giornalisti.
La mostra è di fatto un percorso tra gli artisti che nell’ultimo decennio hanno partecipato alle tradizionali grandi installazioni di Natale in Piazza Plebiscito. Al primo piano, le sale si susseguono tra lavori più o meno interessanti. Splendido quello di Mimmo Paladino, che invade lo spazio dell’intera area con segni senza tempo, che incorniciano l’impossibilità di una figura al muro. Tra il pop sempre più post-industriale di Jeff Koons e il recupero dell’essenzialità minimale nella bella sala di Giulio Paolini, il pubblico defluisce abbondante tra una struttura non ancora al massimo delle sue possibilità.
Suggestiva l’installazione di Rebecca Horn, che nell’accostamento teschio/specchio spinge lo spettatore in una rivisitazione ambientale di un memento mori alla secentesca.
Omaggio a Napoli quello di Jannis Kounellis , che monta un’enorme ancora con tanto di catena su una struttura minimal in cui spiccano due riquadri con i colori – giallo e rosso – dello stemma comunale. Ai due lati dello scalone, se da una parte lo sguardo è spinto in alto dalle installazioni di Luciano Fabro, dall’altra la mente è avvinghiata dalla pluridimesionalità del lavoro di Francesco Clemente che, a partire dal pavimento con le piastrelle di Vietri da lui disegnate, s’arrampica con i suoi murali fino al soffitto e sfonda il piano attraverso l’oculo in alto per proseguire al piano superiore. Un ridimensionato Richard Serra, che ha costretto gli allestitori a sfondare il muro della sala (ben visibile a tutti), occupa due sale.
E, tra le costruzioni circolari di un Sol LeWitt che abbandona per l’occasione l’accesa policromia delle ultime sperimentazioni per un lavoro più incentrato sul segno (10000 frammenti di linea si sovrappongono in un’accumulazione ottica), quello che colpisce di più sono le applique da muro che, piazzate sul fregio “ambientale” dell’opera di Richard Long, la trasformano in una simpatica decorazione da gabinetto neorococò. Nessuno, però, è riuscito a scovare l’opera di Anish Kapoor prevista dal programma. Forse anche quella si stava ancora asciugando. E la saga del contemporaneo prosegue sugli schermi napoletani.
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meu deus... ma avete notato che Cicelyn somiglia ad uno dei teschi della Horn? speriamo che non se ne sia accorta anche lei! non sarebbe opportuno rendere "Madre" precocemente orfana di suo "Padre"...
Tutto bene ... anzi benissimo.
Finalmente il PAN, il MADRE e l'ARCOS per stabilire che in Campania in quai trent'anni di ricerca artistica vi è un solo artista di serie "A" mentre tutti gli altri di serie "B". Clemente è l'Italiano di New York per cui va considerato un "fuori quota".
Ma nessuno si preoccupi prima o poi ci sarà il ripescaggio.
P.S.
Forse Casoria ha avuto maggior coraggio intellettuale e sicuramente meno ma meno meno fondi.
Questa calda Domenica pomeriggio mi ha fatto venire voglia d'andare a visitare il territorio occupato dall'Impero e mi sono fatto un giro al MADRE, avevo delle remore già sul nome, madre di chi? Dei giovani studenti d'Accademia che dovrebbero passare pomeriggi a studiare i grandi maestri della fine del secolo passato?
Benito Ulivo sostiene in tour che questi musei facciano il tutto esaurito ma eravamo solo in due i visitatori, me medesimo ed il DDt artista compagno di mille feroci battaglie Giuseppe Labriola, in collegamento telefonico l'appena bannato Donato Arcella al quale fornivo codice di utente collettivo ed il Pesce a Fore in clandestinità Gennaro Cilento.
Cosa ho visto di bello? Le ragazze che passavano la Domenica lavorando, tutte carucce ed educate, annoiate dallo scenario e vogliose d'emozioni forte in un posto nato già morto.
Si lo so, volete il commento delle opere, allora ve lo do, il Museo altro non è che la celebrazione del tanto decantato Rinascimento Napoletano, un tributo omaggio che il delfino Cicelyn doveva alla sua guida spirituale Benito.
Certo che a vedere la pittura di Clemente e di Palladino ci vuole coraggio da parte di Benito Ulivo a dire che lui la ha sostenuta e difesa, Clemente è sul serio un pittore napoletano? A vedere il suo affresco di pessimo spessore pittorico sembra che Napoli sia sole, pizza e mandolino, panarielli e cape di morti con falli eretti a vigilare, tecnicamente ho visto pittori partenopei naif fare molto meglio, mi offro per fare il Braghettone della faccenda ma nessuno grida allo scandalo.
Palladino, buono per decorare la stanzetta di mia figlia quando e se ne avrò una.
Gli altri tributi a dieci anni di storia dell'arte dell'Impero a Napoli con i soliti noti Koons, Serra, Kounellis, Bianchi ecc.
Non so chi sia l'artista che ha dipinto una stanza con le mani ma è la dimostrazione vivente della teoria di DESMOND MORRIS sull'esteticità pittorica insita nella scimmia, ho visto poi una installazione di tele bianche, dimostrazione che fare arte oggi può volere dire semplicemente avere i soldi per poterle comprare ed essere in un buon circuito.
Rido amaro e mi piange il cuore, forse Labriola ha ragione qualcosa dovremmo fare, PAN e MADRE, aspettateci....