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Maria Lai | Quando l’arte è generosa

di - 10 Settembre 2014
In una terra silenziosa e imponente, generosa ed essenziale quale è il territorio sardo tra Cagliari, Nuoro e Glassai, ha luogo la mostra “Ricucire il mondo” dedicata alla vasta produzione artistica di Maria Lai (1919-2013), l’artista scomparsa lo scorso anno e riconosciuta come una delle figure di riferimento per l’arte italiana della seconda metà del Novecento. L’ampia retrospettiva, realizzata grazie al contributo della Fondazione Banco di Sardegna, propone un percorso cronologico e tematico strutturato in tre diverse sedi (il Palazzo di Città di Cagliari, dedicato alle opere dagli anni Quaranta alla prima metà degli anni Ottanta, a cura di Anna Maria Montaldo, direttrice dei Musei Civici ; il Museo MAN di Nuoro, dedicato alla produzione successiva ai primi Ottanta, a cura di Barbara Casavecchia e Lorenzo Giusti, direttore del museo; il paese di Ulassai con la Stazione dell’Arte e il Museo Diffuso), finalizzato alla scoperta non solo dell’intero corpus di lavori, ma della vera e propria essenza della ricerca della Lai.
Al centro delle tre tappe, quasi come un perno naturale, è stata posta Legarsi alla Montagna, la performance del 1981 realizzata ad Ulassai con la partecipazione attiva degli abitanti del paese. Ciò ha permesso di incrociare i percorsi della prima fase di formazione di Lai, raccontati dalla mostra a Cagliari, la dimensione più pubblica e performativa del suo lavoro, le cui opere sono esposte al museo MAN di Nuoro e il suo paese natale Ulassai.

Al contempo, però, l’intero progetto espositivo si rivela ben presto come un’unica danza di rimandi fra immagini e parole, pensieri ed esperienze, il tutto filtrato attraverso l’occhio consapevole e determinato della Lai. Come un poeta che accosta l’una vicino all’altra singole parole, semplici nella loro unicità, ma grandiose se accordate in modo armonico, così Maria Lai utilizza elementi essenziali e poveri, come il filo, il pane o il gioco per svelare mondi altri, per dare vita ad una visione, la sua, capace di valicare confini geografici e culturali, servendosi dell’arte come di uno strumento di dialogo e comunicazione.
È con questo spirito che nasce la vasta produzione di libri-oggetto (presenti in tutte le sedi espositive) ricamati e cuciti a mano o a macchina, attraverso i quali Maria Lai realizza quella che è stata definita, quando ha partecipato alla Biennale di Venezia del ’78, una “materializzazione del linguaggio” che l’artista non traduce mai in alfabeti, per comunicare poeticamente con il pubblico, superando l’obbligo di una lettura ed una scrittura corrette. Ed è con la stessa assoluta libertà e serietà che gioca con l’arte, realizzando Volo del Gioco dell’Oca (2002) o I luoghi dell’arte a portata di mano (2002), l’opera divisa in quattro mazzi di carte, da poter combinare insieme senza regole d’uso prestabilite: da questo accostamento casuale nasce una ridefinizione collettiva del significato di ‘arte’, lontana dai tranelli e dai cliché imposti dal sovra strutturato sistema artistico, e che libera e accorcia le distanze tra l’opera ed il fruitore.

È proprio per questo talento nel riconoscere il ruolo essenziale che l’arte ha nella vita e nella ricerca di chiunque, che potremmo definire Maria Lai una sacerdotessa dell’arte, come le janas, le fate arcaiche della tradizione sarda – da lei stessa evocate – che insegnano alla donne l’arte operosa della filatura e della tessitura. È il filo, infatti, l’elemento cardine dell’intera ricerca di Lai, dal punto di vista concettuale e materico. Straordinario strumento espressivo che nelle mani dell’artista diviene il mezzo per creare rimandi immediati tra passato e presente, tradizione e innovazione, storia e mito. Grazie al filo ed al telaio che Maria Lai tesse uno dei passaggi più importanti del suo lavoro, dando vita al filone più innovativo e creativo della sua intera produzione. Lavora assiduamente dalla metà degli anni Sessanta in poi ai Telai, riconducendo ad essi il concetto universale della vita che viene tessuta. In mostra sono esposti gli esempi più belli e pregiati dei Telai realizzati dall’artista, ma forse quello che meglio rappresenta questo mixage tra intenti e visione è Il telaio a soffitto, realizzato nel lavatoio comunale di Ulassai nel 1982, quando in occasione del restauro dell’antico edificio del lavatoio comunale – da sempre luogo di ritrovo delle donne – Maria Lai decide di intervenire sul soffitto per nascondere i tubi dell’acqua, realizzando un grande telaio orizzontale con tempera, legno, ferro e corda, avvalendosi dell’aiuto di una decina di giovani del paese.

L’invito alla partecipazione, alla condivisione e allo scambio sono parte integrante delle opere di Maria Lai sin dagli inizi della sua carriera, e  sembra quasi sorprendente riuscire a rintracciare nei disegni degli anni Cinquanta esposti a Cagliari, quali ad esempio, Donne al setaccio, Cestinaia, Donna con il cesto molte delle tematiche – come il luogo, il lavoro, la ritualità, le donne – sviluppate poi nei lavori degli anni a venire; e addirittura nell’opera Il pane sembra poter già individuare quel concetto di ritualità e azione che svilupperà largamente nelle performance degli anni Ottanta, momento in cui il rapporto con il pubblico, il dialogo con il teatro, lo sviluppo pedagogico del mezzo artistico saranno il motore per realizzare decine di azioni e progetti finalizzati a stimolare una ricerca individuale e al contempo collettiva del senso del fare arte. Come lei stessa diceva «La palla è fatta per essere lanciata non posseduta, come l’arte», Maria Lai era infatti generosa nell’indicare la strada da lei scoperta, lo è stata con i suoi allievi, con i bambini ai quali ha dedicato molto della sua produzione degli ultimi anni, e soprattutto con la sua comunità di Ulassai con la quale e per la quale ha creato il Museo Diffuso.
Le undici tappe, realizzate tra gli inizi degli anni Ottanta e gli anni Duemila, raccolgono tutti i principali elementi della ricerca dell’artista e che si rivelano come una chiara sintesi della sua poetica, fino a giungere all’installazione La cattura dell’ala del vento (2009), posta sulla cima più alta, dove l’opera si unisce al vivace paesaggio divenendone una cosa sola. Eppure il rapporto con l’isola, per quanto fortissimo, non è mai stato continuo, essendosi trasferita prima a Venezia, dove ha frequentato l’Accademia delle Belle Arti ed è stata allieva di Arturo Martini, e poi a Roma, dove ha avuto modo di radicarsi nell’entourage culturale italiano degli anni Sessanta e Settanta, divenendone poi una delle protagoniste. Il merito di Maria Lai, dunque, sta proprio nell’aver portato all’interno delle relazioni e delle identità della sua cultura d’origine il linguaggio dell’arte contemporanea, con un lavoro che si rivela prezioso e consapevole.
Il viaggio tra le sue opere e le sue parole si rivela così coinvolgente ed emozionante, denso e gioioso come i suoi tanti lavori, in mostra sono esposte circa 300 pezzi: tra cui anche i pupi di pane, i varani, le lavagne, le scritture, i presepi o le Geografie. Ma forse la variante che ha reso l’inaugurazione di questa ricca mostra diversa dalle altre è la partecipazione commossa, consapevole e attiva da parte di un vastissimo pubblico con il quale l’artista ha tessuto nel corso della sua vita dense relazioni, nonostante fosse per sua stessa ammissione molto riservata, che amava e proteggeva il suo privato, riservando agli affetti familiari un posto privilegiato.
Come piccole api operaie è l’installazione realizzata da Antonio Marras e Claudia Losi che unisce idealmente le sedi di Cagliari e Nuoro e che si rivela la testimonianza tangibile del legame instauratosi tra Maria Lai ed il suo pubblico. In una sala del museo MAN una tessitura di fili metallici cuce alle pareti una galassia di piccoli oggetti (cartoncini d’auguri, grafiche, gioielli, stoffe, ricami), realizzati dall’artista nel corso della propria vita spesso in collaborazione con la sorella e donati ad amici e parenti. Questi piccoli oggetti raccontano una Maria intima e privata, ricostruendone il ruolo di artista attiva, che generosamente condivide, senza il timore di disperdere la propria opera.

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