350 anni di tiramolla. Provate a parlare di Palazzo Roccella a chi nella zona di Chiaia è nato o ha vissuto negli ultimi vent’anni. Per tutti la vicenda del bel palazzo di Via dei Mille sta al confine tra la leggenda e la barzelletta. Dal 1667 in mano alla famiglia Carafa, la ‘casa palaziata’ coi suoi giardini e terreni venne ceduta nel 1717 a Ippolita Cantelmo Stuart, Principessa di Roccella, la quale fece molti lavori di restauro affidandoli ad un allievo del Vanvitelli. Tra nuove edificazioni (tra Sette e Ottocento viene completato il secondo piano ed iniziato il terzo) e periodi di disgrazia (nel 1885 l’apertura di Via dei Mille ne distrugge l’atrio e lo separa da alcune dipendenze), il palazzo viene acquistato dal Comune di Napoli. Da quel momento gli si attribuiscono una serie di svariate destinazioni, sino alla definitiva –e siamo nel 1998- di centro per l’arte contemporanea.
Via crucis completata? Neanche per sogno. E’ proprio dalla fine degli anni Novanta –e con maggior lena a partire dal 2002- che ogni mese sembrava quello buono per il vernissage. Aprirà nell’autunno 2002, no si rimanda alla primavera 2003, niente da fare: il museo è pronto già da ora, ma si rimanderà tutto al 2004. Poi finalmente –circa un anno fa- in un’intervista rilasciata proprio ad Exibart, Lorand Hegyi (nel frattempo nominato direttore artistico) si sbilancia con una data: Pasqua 2005. Un po’ perché Hegyi è un fiero ungherese che le promesse le mantiene, e un po’ perché le istituzioni partenopee hanno ben gradito qualcosa-da-inaugurare a due passi dalle elezioni regionali, eccoci a festeggiare la nascita del primo centro d’arte contemporanea di Napoli. Proprio il Sabato di Pasqua 2005. Tra la barzelletta e la leggenda, appunto.
L’arrivo del dio Pan. E fu così che nell’elegantissima Via dei Mille sbarcò Pan. Come il dio delle greggi e dei pastori, oppure –come ha voluto la società di comunicazione che ha realizzato il logo- come Palazzo delle Arti di Napoli. Arti, dunque, e non arte. Perché Pan, nelle intenzioni delle istituzioni che lo promuovono e del direttore Hegyi, sarà un frullatore creativo che non si fermerà all’arte visiva strictu sensu. Vi sarà un festival di cinema, e poi fumetto, design, musica, estetica, filosofia, teatro, letteratura e architettura. Tutto troverà casa nel Palazzo, integrandosi in maniera più vitale possibile. E collaborando con le istituzioni già presenti in città come il Teatro Mercadante. Non solo canoniche esposizioni dunque, ma anche presentazioni, serate, incontri. Da tenersi magari nel nuovo caffè letterario, joint venture interna al Roccella tra la casa editrice Electa e lo storico Gran Bar Riviera.
“Un altro successo dell’assessorato alla cultura del Comune di Napoli” esultano gli amministratori campani “che dopo aver regalato alla città un Teatro Stabile nel 2003, le offre il suo primo centro d’arte”. “La nostra amministrazione” dice l’assessore Rachele Fulfaro “consegna alla città uno spazio prestigioso e necessario. Che risponde alle aspettative ed alla vitalità di un palcoscenico internazionale dell’arte qual è da molti anni Napoli”. E in effetti a Pan i numeri sembrano non mancare. 6mila mq distribuiti su tre piani, spazi per la consultazione di documenti, aree di effettiva produzione artistica, locali adibiti alla collezione permanente che verrà via via formata (pur ancora senza un budget definito), un laboratorio multimediale e –come si diceva- un caffe letterario aperto alla città. Cosa manca? Ma naturalmente l’apertura serale. In una zona come Chiaia, tra ristoranti alla moda e discoteche chic, sbarrare le porte alle 19.30 è un peccato. L’assessore, o chi per lei, ci faccia un pensierino.
Trentanove artisti e si parte. Il museo apre con una mostra, una grande collettiva con trentanove nomi del panorama internazionale che, in qualche non sporadico caso, hanno realizzato installazioni studiandole appositamente per Palazzo Roccella. Qualche nome? Da Luigi Ontani a Pedro Cabrita Reis, da Bianco-Valente a Ilya Kabakov e poi, tra gli altri, Roman Opalka, Marina Abramovic, Kiki Smith, Dennis Oppenheim, Mimmo Paladino, Jan Fabre, Eva Marisaldi, Gloria Friedmann, William Kentridge e Gilbert&George. Proprio da un testo di questi ultimi deriva la frase “The Giving Person” che dà il titolo ad una mostra che vuole individuare l’attitudine alla generosità dell’artista. Perché “il dono dell’artista che è anche il sottotitolo della mostra” dichiara Lorand Hegyi “si concretizza in un intervento dolce e non violento nei confronti della realtà. L’artista non propone un modello assoluto, una soluzione pratica, tuttavia tocca la nostra sensibilità e cerca di risvegliare le nostre riserve emozionali”. E questo è il menu sino ad Agosto inoltrato (ma attenzione, Pan si confronteràscontrerà immediatamente con una prova non da poco, infatti già a Maggio aprirà a Napoli, in Palazzo Donnaregina, il secondo centro d’arte contemporanea cittadino, sponsored by Antonio Bassolino), poi sarà la volta di un evento sulla napoletanità nella creatività. Tra cinema, poesia, letteratura. Perché Napoli deve parlare anche di Napoli, e dare continuità a se stessa, mica insistere a produrre solamente eventi spettacolari invitando le star dell’art system planetario. E sarà questa presa di posizione l’oggetto di una chiacchierata con il direttore Lorand Hegyi, da non perdere sul prossimo numero di Exibart.onpaper 22.
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Ho sentito Mario Pesce al telefono poc'anzi, mi dice che la digestione pasquale lo sta impegnando più del previsto e che il suo consueto commento alla notizia, ce lo invierà fra qualche ora.