Il nuovo lavoro audiovisivo di Brian Eno (Woodbridge, 1948), che nell’arco dell’anno andrà anche alla Biennale di Venezia e alla Triennale di Milano, è stato presentato in anteprima a Napoli nell’ambito di un evento durato due giorni. Un’occasione unica e irripetibile. L’artista ha scelto la città partenopea perché affascinato dalla particolarità del luogo archeologico, normalmente chiuso al pubblico durante il corso dell’anno, e per una segreta affinità con la sua anima misterica e esoterica. Eno, conquistato già negli anni dei sogni psichedelici dalle possibilità infinite della musica sperimentale, porta avanti un’idea di arte come alchimia magica o spirituale e dell’immaginazione come fonte primaria della coscienza. Più noto al pubblico come musicista, ha alle spalle una lunga carriera come artista visivo ed ha esposto tra l’altro in numerose gallerie d’arte in tutto il mondo.
Come inventare nuove immagini in un mondo che ne ha fin troppe? Semplice, con l’aiuto della tecnologia. Eno ha creato un software generativo, cioè capace di dare vita ad una quantità illimitata di immagini a partire da diapositive fatte a mano e combinate casualmente dal computer. “Il mio scopo non è quello di produrre un racconto per immagini”, ha dichiarato, “e non credo neanche all’impossibilità di riprodurre l’opera d’arte, come ha affermato Benjamin nei suoi scritti”. Ecco perché ha messo a disposizione del pubblico il suo software Oprimitives, realizzato da Apple e compatibile per tutte le piattaforme Mac e PC o per qualsiasi video collegato a un lettore dvd. In questo modo chiunque, anche un privato, attraverso internet può ordinare e allestire in casa sua, con una spesa accessibile, la propria videoinstallazione.
Con la possibilità di ascoltare la musica e vedere i 77 milioni di Paintings, trasformando un angolo morto della propria abitazione in un opera d’arte.
Naturalmente le sue installazioni pubbliche sono molto più scenografiche e richiedono l’utilizzo di schermi ad alta definizione di misure diverse accostati fino a formare delle strutture geometriche molto complesse, collegate tra loro da diversi computer. Una regia che richiede l’intervento di assistenti tecnici specializzati e la presenza stessa dell’autore. Non è un caso che il tema dei Misteri, scelto per questa XIII edizione del Maggio dei Monumenti, richiedesse la presenza di un musicista come Eno, perché la musica, e la sua astrazione, sembrano esprimere una tensione che va oltre le cose stesse e che è dunque più prossima alla verità che non ha figura, alla sua idea immutabile. L’uomo vive, ha raccontato Platone, con gli occhi fissi sullo schermo buio della parete di una caverna, dove si stagliano fugaci le ombre proiettate dai simulacri delle cose; ciò che abbiamo chiamato realtà non è che un sogno di ombre e l’arte riproduce questo inganno facendosi ombra di un’ombra.
Nell’allestire la sua opera audiovisiva nella grotta di Seiano, frutto del genio architettonico romano, l’artista deve aver tenuto conto di questo mito della caverna perché ha creato un percorso che dal buio arriva alla luce, e che attraverso un tappeto sonoro di suoni combinati e diffusi ci porta all’illuminazione, alla rappresentazione delle immagini combinate degli schermi. Alla trasparenza assoluta, che ci sprofonda nello spettacolo di una vetrata medievale in continuo movimento. La virtualità, l’infinita possibilità combinatoria del programma, conduce in uno scenario di impermanenza, che non si può trattenere o realmente vedere: tutte le immagini giungono al punto della loro evanescenza, fino a perdere senso e sensi senza limiti.
La loro forma iperdeterminata resiste intatta, non si sfalda anche se le linee si fanno meno nitide per rendere da una parte l’artificio più puro, dall’altra il tentativo più utopico di dover rendere conto di una realtà cangiante, in movimento, di sviluppare il verosimile onirico, di mostrare la sua potenza. Certo rimane la cura grafico-visiva di ogni immagine, ma il lavoro è letteralmente perduto, nascosto, anche quando è esibito nella sua flagranza più evidente. Tutto può accadere solo nel fascino di quel momento visivo, che non contaminato da altri rimandi oggettuali o significanti si offre tutto intero alla vista, all’udito, all’attesa.
maya pacifico
mostra visitata il 26 maggio 2007
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