Sfida sempre affascinante e rischiosa quella di ospitare le diverse specie dell’arte urbana nel recinto di una galleria. L’artista può essere domato ma non addomesticato, pena lo stravolgimento dello stile.
In assenza di spazi (quasi) aperti, interrotti soltanto dalle barriere architettoniche delle quinte urbane, il committente e l’artista sono costretti a reinventarsi una nuova metrica, un altro codice d’accesso all’opera, come nell’efficace
Password (2008) di
Walter Picardi. I suoi sette dischi di tela, ricoperti in nero acrilico, compongono un inno tautologico alla cultura digitale, per una generazione di artisti urbani che sa utilizzare mascherine e bombolette, ma anche Photoshop e i siti di social network.
Meno riuscito l’altro lavoro dell’artista napoletano, che utilizza cemento e capelli sintetici, r
emixando le provocazioni già archiviate di
Cattelan e
Giovanni Anselmo in un’installazione che non va da nessuna parte: lo stile di strada è addomesticato e stravolto.
Forse per
Cristian Sonda, esponente di un figurativo mordace, il compito era più facile, trattandosi soltanto di adattare il formato del suo
bestiarium alle dimensioni d’un appartamento. Le figure di Sonda hanno sempre un naso da Pinocchio, cascante come una proboscide, che separa due occhi minuscoli e troppo distanti fra loro. Aspettando che un produttore televisivo bussi alla sua porta per commissionargli i disegni per una serie animata
adult-oriented, Sonda racconta le mille e una nevrosi della città, fra traffico stradale, incesti e inquietanti simboli del potere. In
00 Domini – Infinito Domini (2008), l’artista milanese dipinge un antipapa ghignante avvolto nel verde, un ministro dell’infinito potere terreno e spirituale della religione inespugnabile.
Il tono complessivo dei lavori selezionati da Mara De Falco è vivace e decorativo, lontano dal mood dark della scena di Bristol del
Banksy del periodo dei primi vagiti trip hop.
Gli artisti in mostra a Napoli non hanno dimenticato le radici della strada, ma forse non amano citarle, a eccezione di
Iabo, che ingabbia piccoli simboli della modernità in stile
Keith Haring in un telaio di sei caselle. Torre Eiffel, Statua della Libertà e una croce cristiana sono accoppiate a un fallo sulle tre righe di una tabella dai contorni marcati e densi. E la critica agli aspetti deteriori, “pornografici” del potere è servita in salsa East coast.
I romani invece rispondono ai vincoli dell’indoor con un decorativismo estenuante e vincente. Nel dittico
Lorando Sanore (2008),
Jbrock affoga un Cristo soffrente e un volto mariano nel verde acrilico. I due ritratti sono solcati da curve, come sulla superficie di un disco in vinile “scratchato” da
Dj Gruff.
Più raffinate alcune creazioni di
Diamond, che incastona trame urbane su stoffa damascata e croci in legno, dove spiccano due sagome femminili che sembrano disegnate per le vetrate di una cattedrale progettata il secolo scorso dal simbolista
Stanislaw Wyspianski. E lo Stile maiuscolo è servito ancora al pubblico, uno di quelli veri, per intenderci.