Sono passati più di trent’anni da quando il terremoto sconvolse pesantemente una parte della Campania. Era il 23 novembre del 1980. Il gallerista napoletano Lucio Amelio, in breve tempo riuscì a coinvolgere personalmente diversi artisti già affermati e anche giovani promesse che da lì a poco dovevano diventare personaggi indiscussi della storia artistica contemporanea internazionale. E’ così quasi per gioco prese forma una delle collezioni più importanti e atipiche di arte contemporanea al mondo. Eccezionale ed “atipica” perché nasce dal contatto diretto con gli artisti che Lucio Amelio conosceva e stimava. In genere un gallerista è quasi sempre propenso a “commercializzare l’opera d’arte” piuttosto che collezionarla. Questa non è una semplice raccolta di opere che si arricchisce lentamente nel tempo e nel corso di una vita tra dubbi e inaspettati ripensamenti, ma è la risposta immediata degli artisti all’evento tellurico in Campania, quasi come una sorta di “work in progress sul tema del terremoto”, in base ad un progetto a tema poi concretizzato in collezione permanente. Una raccolta, quindi, che si materializza come risposta “urgente” ad un evento negativo e distruttivo, come riflessione sul tema della distruzione sismica e sul contributo che l’arte può dare come evento propositivo. E’ proprio dalla stima e dalla solidarietà che prende corpo questa straordinaria collezione che nasce sotto il segno della spontaneità in base ad un tema in cui confrontarsi in piena libertà. Terrae Motus è senza dubbio una delle più belle collezioni d’arte contemporanee che noi possediamo in Italia. Per certi versi il gallerista napoletano è stato quello che ha valorizzato più di tutti le risorse e i talenti del sud Italia, basti pensare a Mimmo Paladino, superando le diffidenze e le difficoltà del momento e facendoli conoscere all’estero. Non a caso si presentava come il gallerista “Delle due Sicilie” e questo basta per capire la reale portata del suo lavoro in quegli anni di grande fermento artistico e cultuale.
Con questa iniziativa di grande respiro, Amelio ci fa capire come si può realizzare una diversa raccolta d’arte contemporanea, indicandoci percorsi “atipici e alternativi” rispetto al consueto modo di realizzare una collezione. Quando Lucio Amelio decise di esporre Terrae Motus, cercò uno spazio che non fosse un semplice contenitore, ma uno “logos” che si ponesse in un dialettico confronto con il contenuto legato ad un terribile evento catastrofico come è il terremoto. Scelse in un primo tempo Villa Campolieto ad Ercolano e nel 1993, dopo la mostra delle opere alla Reggia di Caserta, decide di lasciare in permanenza e per sottoscritto vincolo testamentario la Collezione alla Reggia di Caserta, con la richiesta di averli permanentemente esposti dentro le storiche stanze.
In questi ultimi decenni troppe sono state le collezioni che hanno preso il largo andando a arricchire grandi musei all’estero. Un caso per tutti, il più recente, il più disarmante è la collezione della Bar.ssa Lucrezia De Domizio Durini che non trovando alcuna disponibilità ad accogliere la sua importante raccolta in Italia, con rammarico, ha deciso di donare la collezione “La Difesa della Natura” con importanti opere di Josept Beuys al Kunsthaus di Zurigo. Purtroppo un’altra occasione persa. Per fortuna questo non è successo alla collezione Terrae Motus. Il corpus al completo comprende 74 opere quasi tutte di grande dimensione che sono state esposte per prima al Institute of Contemporany Art di Boston nel 1983, a Villa Campolieto, nel 1984 e poi al Grand Palais di Parigi nel 1987, in cui avviene anche la consacrazione e il riconoscimento
Con il nuovo allestimento del 23 novembre del 2010, avviato da Paola Raffaella David e Gianni Mercurio integrato dal contributo prezioso di Ferdinando Creta, a distanza di trent’anni, si prospetta un’altra nuova proposta di lettura attraverso un diverso percorso che si sviluppa negli spazi degli Appartamenti Reali come “aree geografiche” raggruppando le opere e le proposte essenzialmente per nazionalità degli autori. Una lettura delle opere certamente ben diversa rispetto alla normale esposizione per movimento artistico o per dato generazionale. Un percorso, quindi, che permette di mettere a fuoco l’attualità e l’importanza di questa grande collezione che tuttavia deve essere necessariamente supportata per essere condivisa al completo. L’eterogeneità di presenze e correnti artistiche contemporanee non condiziona o sminuisce affatto la varietà e la bontà delle proposte a tema approntate di questa collezione. Sono presenti artisti di diversa generazione e formazione culturale, da Robert Rauschenberg a Andy Warhol, da Joseph Beuys a Michelangelo Pistoletto, da Emilio Vedova a Giulio Paolini fino a Keith Haring, Peter Halley, Mimmo Paladino, per citarne solo alcuni. L’attuale collezione, nonostante il riconosciuto valore culturale rimane purtroppo ancora poco nota al grande pubblico dei musei. Di certo, questa importante collezione dimostra la capacità di integrarsi perfettamente nel “contesto Storico”, di armonizzarsi felicemente tra arte e architettura, tra passato e presente come felice connubio d’intendi, trasformandosi di fatto in valorizzazione reciproca. Lucio Amelio con questo suo progetto ci fa comprendere come un disastro grazie alla solidarietà si può trasformare in intervento propositivo e concreto. E’ proprio da questa considerazione che il gallerista napoletano partì per iniziare questa bella collezione. In quei momenti di sofferenza confessò: “c’era dell’energia nell’arte, tanta energia da potersi contrapporre a quella scatenata dalla terra”. Un’energia costruttiva in risposta a quella distruttiva della natura. Una risposta decisamente ottimistica che nasce come voglia di ricominciare a vivere, a rimettersi in gioco e a sperare ancora.
In questo ultimo allestimento, dicevamo, sono esposte una parte della collezione, divise in sezioni “geografiche” che raggruppano i lavori in base alla nazionalità degli autori. Nelle Anticamere degli Appartamenti Storici la collezione viene introdotta da tre grandi artisti della Sezione americana: nella Sala degli Alabardieri vi è esposto il trittico Fate Presto di Andy Warhol reinterpretando la pagina de “Il Mattino” del 26 novembre del 1980, tre giorni dopo l’evento tellurico. Seguono: nella Sala delle Guardie del Corpo del re, l’opera Senza Titolo di Keith Haring e nel Salone di Alessandro, West Go Ho (Glut) del grande Robert Rauschenberg. Il percorso si snoda nelle retrostanze dell’appartamento settecentesco. Nella Sala I continua la Sezione Americana con Mother Earthquake di George Condor; segue Opium Smokers Dream di David McDermott & Peter McGaugh, poi, il Senza Titolo di David Salle, un trittico realizzato in tre diverse tecniche. Di grande fascino ci sembra la serie di grandi foto in bianco e nero di Robert Mapplethorpe, morto troppo presto nel 1989 a soli 43 anni, scatti rimontati per questa occasione a forma di croce. Segue l’opera Veronica’s Veil di Julian Schnabel e Eartquake di Donald Baechler. Procedendo nella sala II a sinistra troviamo Mangrove di Philip Taaffe e poi l’opera graffitista Neapolitan Triptych di James Brown autore anche dell’opera Eleven portraits of Buddha. Segue il trittico su carta Senza Titolo di Cy Twombly. Chiude la sezione degli artisti americani Black cell with conduit di Peter Halley. Nella Sala III sono presenti le opere di due grandi artisti che inaugurano la Sezione Italiana: Michelangelo Pistoletto con Annunciazione Terrae Motus, una diversa interpretazione dell’annunciazione realizzata su una coppia di specchi serigrafati. Sullo stipite della porta è collocata Italia Porta di Luciano Fabro che funziona da collegamento e continuità con la IV Sala, in cui sono esposte le opere di alcuni importanti artisti italiani dell’Arte Povera come Alighiero Boetti con l’opera Di palo in frasca nell’estate dell’anno 1986, accanto al Pantheon e Senza Titolo dell’artista greco italianizzato Jannis Kounellis. Segue la bella opera realizzata ad olio e cera su fibra di vetro di Domenico Bianchi. Nella Sala V è presente il lavoro di Enzo Cucchi, e Fofo non ha fifa di Luigi Ontani, chiude la sala la grande tela astratta Also ob… di Emilio Vedova. La Sala VII ospita l’opera Terrae Motus, in quel tempo… di Mario Merz e Re uccisi al decadere della forza del transavanguardista Mimmo Paladino, artista poco conosciuto in quel tempo e ora considerato una meteora. Questi tre artisti chiudono la sezione italiana. Nella sala VIII si trova esposta una sola opera dello spagnolo Miquel Barcelò, L’ombra che trema, autoritratto dell’artista che dipinge sotto le scosse. Procedendo vi è la Sezione Tedesca con l’opera Erdbeben im Bierkeller I-II, di A. R. Penck, segue Static di Gerhard Richter e E la terre tremble encore d’avoir vu la fuite des geants del mistico e spirituale Anselm Kiefer. La Sala IX è dedicata interamente a Josept Beuys. Nella Sala X si apre la Sezione Francese con l’opera di Bertrand Lavier e il Senza Titolo di Christian Boltanski che recupera sei ex voto d’argento acquistati in quel tempo al mercatino di Spaccanapoli. Per finire, nelle Sale XI, XII e XIII vi sono esposte le opere degli artisti inglesi come Books di Bill Woodrow, con Fruit of the city, Vesuvius Circle di Richard Long e l’opera Dying youth di Gilbert & George. Chiude l’ultima sala di questa selezione anglosassone Silent Garden di Tony Cragg con frammenti di oggetti sopravvissuti ed evocati nella intima e tragica poesia del disastro campano.
Si diceva, trentasei opere esposte ed altrettanti altre opere da esporre che non vengono però presentate per mancanza di spazio. Bisognerà convincersi, una volta per tutte, che la grandezza di un popolo si rileva da come un paese valorizza il suo importante patrimonio artistico e culturale. L’arte è una risorsa primaria per il turismo indispensabile per far emergere le autentiche bellezze di questo paese. Purtroppo, l’Italia, da sempre, non ritiene d’investire nella cultura; la considera “improduttiva e inutile”, quasi una pesante zavorra da recidere e buttare via. Un nostro desiderio, crisi permettendo, è quello di scoprire a breve un’attenzione maggiore da parte delle istituzioni per la Reggia di Caserta. Vogliamo sperare in una politica di attenzione all’arte contemporanea, nelle tante identità che la abitano, iniziando dalla Collezione Amelio come passo fondamentale per dotare alla Reggia di Caserta – uno dei monumenti più significativi del Mezzogiorno – un grande Museo di Arte Contemporanea. Queste sono le cose più urgenti da fare in tutta fretta come l’ammonimento “Fate presto” della pagina del Mattino serigrafata immediatamente dopo l’evento tellurico da Andy Warhol per Terrae Motus.
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a cura di sandro bongiani
Terrae Motus – La Collezione permanente di Lucio Amelio
Reggia di Caserta
Via Douhet 22 (81100)
+39 0823448084, +39 0823220847 (fax)
reggiacaserta@tin.it
www.reggiadicaserta.org
orario: Feriali 9.15-12.45, domenica 9.30-12 e su appuntamento
(possono variare, verificare sempre via telefono)
Martedì chiuso
biglietti: 7 euro
genere: arte contemporanea, collettiva
[exibart]
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