Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Può un’istituzione pubblica raccontare la propria epoca, o è semplicemente un suo dovere farlo? E che importanza ha una testimonianza di un passaggio cruciale della storia, raccolta sottoforma di immagini, da un’ente che si occupa d’arte e fotografia? Sono domande che si sono posti, tempo fa, al vertice di Fondazione Fotografia di Modena, con la risposta che sì, è necessario raccogliere brandelli del nostro tempo, raccontare l’urgenza, i giorni di questo nuovo millennio che si è aperto – perché non è certo solo d’oggi che si parla – con esodi che ricordano quasi quelli biblici, anche se da queste parti di divino c’è ben poco.
All’interno della mostra “Lying in between. Hellas 2016”, allestita al Foro Boario fino al prossimo 8 gennaio, arriva oggi il risultato di un mese di riprese girate in Grecia, con una delegazione che ha fatto tappa nelle isole di Lesbos, Chios, Samos e Kos, dove migliaia di migranti, molti dei quali richiedenti protezione internazionale, sono tuttora bloccati a seguito dell’accordo tra Unione Europea e Turchia. A tutti è stata chiesta la stessa cosa: “Say something to Europe, dì qualcosa all’Europa”. Il direttore Filippo Maggia e Daniele Ferrero hanno così raccolto sfoghi, invocazioni, testimonianze di rabbia e speranza, disillusione e fratellanza. Oltre i muri e i fili spinati, nei parchi e nei centri d’accoglienza, per sapere – oltre ai telegiornali – chi sono, che fanno, che aspettano, e dove andranno i “pellegrini” di una nuova speranza. “Per favore, per favore, aprite questi fottuti confini“.