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exibinterviste_la giovane arte Federico Solmi
parola d'artista
Gli inizi da autodidatta tra Bologna e Milano. E poi –alla fine degli anni Novanta- la fuga. Destinazione? L’America naturalmnte. Federico Solmi risponde alle nostre domande dal suo studio di Dumbo, milieu artistico tra le ex fabbriche di Brooklyn. Dove chi si ferma è perduto…
Come sei diventato un artista? Cosa e’ stato davvero determinante? In questo momento della tua vita stai facendo quello che hai effettivamente scelto o fai questo lavoro per cause fortuite?
Sono cresciuto in una famiglia dove fare qualcosa legato alla cultura era quasi un reato. Mio padre gestiva un negozio di alimentari e di certo a casa mia alla sera non si parlava di Nietszche o di Schopenauer. Io sono sempre stato considerato il trasgressivo della famiglia, l’unico dei cinque figli che è riuscito ad ottenere un diploma. Ma nonostante il clima non fosse proprio adatto per un’aspirante artista, sono stati anche anni fondamentali… che mi hanno segnato tantissimo, mio padre con tutta la sua umiltà e saggezza è ancora per me una specie di Zarathrusta.
Dunque hai un approccio all’arte diciamo da autodidatta…
Il mio approccio con il mondo dell’arte è stato sicuramente atipico, non ho mai frequentato licei artistici, accademie o cose di questo genere. Da quando ho incominciato a bazzicare nel mondo dell’arte mi sono guadagnato la stima di artisti, giovani curatori e mercanti. E naturalmente ho divorato migliaia di libri, riviste, musei…
E poi sei scappato via…
Esatto, nel Settembre del 1999 sono fuggito in America. Questo grande cambiamento mi ha permesso di prendere una specie di scorciatoia, rischiando parecchio… Non c’e’ stato nulla di fortuito, tutto è stato maniacalmente pianificato. Sapevo che questa era la mia strada e che l’avrei difesa a tutti i costi. Sapevo che New York City sarebbe stato il posto perfetto per me per lavorare. Ho tenuto duro, e adesso finalmente incomincio a divertirmi…
Solitamente spetta ai critici sintetizzare e descrivere la ricerca di un’artista. Se dovessi invece sinteticamente, tre righe, definire la tua arte come faresti?
Credo comunque nel mio lavoro sia sempre visibile l’ambiguità e la confusione del contesto storico che stiamo attraversando, qualunque tema decida di affrontare.
Un tuo pregio e un tuo difetto nell’ambito dell’arte, quindi in campo lavorativo.
Non mollo mai, sono un Martello (un guerriero). Per quanto riguardo il difetto: difficilmente riesco staccare la spina.
E nella vita?
Sono un’ottimista, un sognatore un idealista, ho sempre mille nuovi progetti per la testa, ma allo stesso tempo sono un gran nevrotico, un’autolesionista. E uno che fa fatica a dormire…
Una persona davvero importante attualmente per il tuo lavoro?
Non ho dubbi, mia moglie Jennifer!
Sei soddisfatto di come viene interpretato un tuo lavoro? Chi l’ha interpretato meglio e chi invece ha preso una cantonata? Che rapporti hai con I critici e con la stampa?
Mi piace vedere come il mio lavoro viene interpretato da altre persone, e non solo dagli addetti ai lavori. Noi artisti una volta che siamo immersi dentro un progetto diventiamo come ciechi, vediamo nelle nostre opere solo quello che abbiamo pensato, mentre invece la realtà è un’altra… Cantonate? Non ancora, ma arriveranno: non vedo l’ora.
Con i critici e con la stampa ho degli ottimi rapporti si è instaurato un dialogo, sia in Italia che negli Stati Uniti, ma non mi aspetto nessun regalo.
Che rapporto hai con il luogo in cui lavori. Parlaci del tuo studio e della zona di Brooklyn dove è situato…
Il mio studio si trova a Brooklyn, in un’area chiamata D.u.m.b.o. un ex zona industriale situata tra il Brooklyn e il Manhattan bridge. Nel building dove lavoro ci sono oltre duecento studi di artisti provenienti da ogni parte del pianeta. C’è una grande competizione tra di noi, ma esiste anche un dialogo. In questi ultimi anni questa zona della città a ricevuto moltissime di attenzioni. C’è un’aria un po’ magica. E difficile da descrivere…
Quale è la mostra più bella che hai fatto e perché?
La mostra che mi ha dato maggiori soddisfazioni è stata sicuramente Con Cura, l’ultima alla Fabbrica del Vapore a Milano nel Settembre 2004, organizzata dal gruppo di giovani curatori di Brera. Avevo preparato per l’occasione tantissime cose nuove. Dai disegni alle sculture e poi video e animazioni. Il tema della mostra era la città, ovvero uno dei soggetti principali della mia ricerca artistica.
Quanto influisce la citta’ in cui vivi con la tua produzione? Quanto a contato il trasferimento a New York? Che stimoli ti ha dato?
Nel mio caso, la scelta di vivere a Nyc ha influenzato tantissimo la mia ricerca artistica. Questa città e’ un vero bordello, rappresenta il massimo e allo stesso tempo l’assurdo raggiunto dalla civiltà moderna. Quello che cercavo.
Ormai consacrati Cattelan e Beecroft, tra i giovani artisti italiani chi seconde te ha delle chance per emergere sulla scena internazionale? Chi invece è sopravallutato?
Per emergere nella scena internazionale, o in particolare nella scena Newyorkese, oltre che a essere degli ottimi artisti bisogna farsi vedere spesso. E’ un dato di fatto che gli unici artisti italiani che hanno avuto un successo internazionale sono gli stessi che si vedono spesso alle inaugurazioni. La mia idea è che in generale gli artisti italiani pur essendo bravi, girano poco, sono un po’ pigri e non prendono rischi. Questo li danneggia.
Chi ce la può fare? Fai un nome…
Piero Golia, lui è in gamba, lo vedo spesso qui…
Ti stai affermando a NYC, ma riesci a mantenere I contatti con il panorama in Italiano? Riesce a rimanere nel piccolo giro nostrano?
Sto lavorando in America con una certa continuità, con diverse gallerie giovani a Brooklyn, ho esposto nei migliori no profit space della città come White Columns, Exit Art, e Momenta Art, nei prossimni mesi sono stato invitato a partecipare a mostre in luoghi come l’Artist Space e il Drawing Center a Manhattan. Il pubblico e i curatori, e in generale gli addetti ai lavori stanno cominciado a familiarizzare con il mio lavoro. I contatti con l’Italia sono ottimi, si stanno rafforzando sempre di più, certo mi piacerebbe lavorare con alcuni curatori che stimo (Pinto, Senaldi, Beatrice), ma per ora mi accontento. Vengo spesso in Italia almeno una volta ogni tre mesi, per le mostre e le fiere organizzate dalla mia galleria di riferimento italiana, la Fabio Paris Art Gallery di Brescia. Con loro sono anche ad Artissima.
bio Federico Solmi è nato a Bologna nel 1973. Dal 1999 vive a New York.
In Italia, nel settembre 2004, ha partecipato con l’istallazione di disegni ‘Ideal City’ alla mostra “Da lontano era un’Isola” presso la Fabbrica del Vapore a Milano organizzata dal gruppo ‘con-cura’, sempre a Milano nella collettiva “Senza Freni” alla galleria Antonio Colombo”, a Torino nella collettiva dal titolo ‘ Quarto piano, porta destra, citofonare Luciana’ organizzata da Fabio Paris a casa dell’attrice Luciana Littizzetto. Le sue installazioni sono state inoltre esposte nel 2004 in Italia al Flash Art Fair, MiArt e ad Artissima presso la Fabio Paris Art Gallery. Nel Dicembre 2003 a Milano la sua prima mostra personale in Italia curata da Fabiola Naldi. Nel 2005 ha in programma una personale presso la Fabio Paris Art Gallery di Brescia, sua galleria di riferimento in Italia.
massimiliano tonelli
[exibart]
Bravo
….non si scrive Nietszche ma Nietzsche
..non si scrive Zarathrusta ma Zarathustra
ah e non si scrive neppure sopravallutato….
ma chi l’ha battuta questa intervista? Topo Gigio???
in quanto a Solmi non si capisce dall’intervista cosa voglia dire con la sua arte…sì vabbeh abbiamo capito che si è spostato a NYC per stare con altri 200 artisti, ma non si capisce nulla dall’intervista…
scusate ma mi sembra la solita intervistuccola di rito giusto per fare pubblicità ad un artista su una rivista specializzata…dopo non so