-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
exibinterviste la giovane arte – Eugenio Percossi
parola d'artista
Inquietanti e misteriosi. I suoi lavori parlano del tema più antico del mondo, il binomio vita-morte. Con profondità e consapevolezza a cui si unisce, però, un inconfondibile gusto estetico…
di Paola Capata
I tuoi lavori parlano dell’assenza, del vuoto, dell’ignoto che ci attende dopo la morte. Puoi parlarmi del fascino che esercita su di te il binomio vita-morte?
Non so se possa parlare di fascino, piuttosto direi un’ossessione. Certo non nego di essere attratto anche esteticamente dalla morte e soprattutto dalla lotta per la sopravvivenza, inutile ma naturale. E non parlo solo della simbologia di oggetti che poi uso nel mio lavoro, come appunto le foto d’epoca, le maschere antigas, gli animali ammalati, ma anche la cronaca nera, il cinema di Greenaway, le foto di Nan Goldin e Serrano, la disperata religiosità di mio padre. Direi che il mio è un desiderio ostinato e autolesionista di indagare le illusioni umane, capirne i processi inconsci, svelarli e mandarli in frantumi.
Il punto di partenza di molte tue opere erano delle antiche foto trovate nei negozi degli antiquari praghesi. Perché lavorare su immagini del passato e non del presente?
Non ho scelto coscientemente di lavorare con le foto antiche. Come per altri cicli l’incontro è stato casuale, mosso apparentemente da puro interesse estetico. Ho iniziato a girare per antiquari e mercatini ed a comprare foto ed interi album con la bramosia del collezionista. Solo dopo qualche anno ho capito perché fossi affascinato da queste immagini anonime. L’anonimato stesso tradisce e vanifica il senso di questi oggetti nati per ricordare. La foto souvenir rispecchia speranze e prospettive che sono ormai passato, morte, nulla. L’ingiallimento della carta svela la bugia propria dell’immagine: la memoria è solo un’altra illusione.
Qualche mese fa, lo scarto, la realizzazione di un progetto totalmente basato sui ratti (Life). C’è una simbologia precisa (ovviamente soggettiva) nella scelta di questo soggetto, di questo animale in particolare?
In realtà il lavoro sui ratti ha una gestazione molto lunga e non facile. I primi scatti che ho fatto in un laboratorio oncologico sono del 1999. Ma solo nel 2001 ho iniziato a dar corpo ad una ricerca, che però rischiava di essere fraintesa. Ci tengo quindi a precisare che il mio non è un lavoro in alcun modo animalista né ecologico. Non c’è condanna, anzi non giudico la ricerca, il mio lavoro coerentemente con i precedenti parla dell’uomo usando un simbolo. Il ratto ha molte cose in comune con l’uomo a partire dal patrimonio genetico, che è simile al nostro all’ 80%. E’ inoltre un animale sociale con sviluppata intelligenza e che come l’uomo riesce ad adattarsi a condizioni di vita estreme. Anche per me, come nella ricerca scientifica, uno dei fattori fondamentali nell’uso dei ratti è la velocità del ciclo biologico, che permette di studiare processi simili a quelli umani nell’arco ristretto di due anni. In Life l’attenzione è posta sulla malattia dell’animale, registrata nelle sue evoluzioni dalla cartella clinica appesa all’esterno della gabbia. L’animale, inconsapevole del suo destino, si contrappone alla presa di coscienza dell’osservatore. Possiamo vedere quello che ci è negato, ovvero la condanna a morte, quando il soggetto diveniamo noi. Eppure la salvezza del ratto ammalato è di non poter leggere la sua storia e vivere ottuso una quotidiana eternità.
Trattare un tema decisamente “lugubre” senza filtri, senza quel tocco “glam” ed in maniera disincantata ha reso ostica l’attenzione di galleristi e critici?
Posso ammettere che il soggetto della mia ricerca, morte e illusione, sia poco glamour, si tratta però di un tema sotteso all’intera storia dell’arte e della cultura. Con risposte sempre diverse, questo interesse chiave per l’uomo porta alla nascita delle religioni (di Dio) e della filosofia. Tornando al mio lavoro non credo che manchi un filtro estetico al concetto. Cerco di costruire belle immagini senza però farle diventare immagine per l’immagine. Credo che le immagini glamour senza contenuto siano pura moda ovvero destinate a passare. Rispondendo alla domanda specifica debbo confessare che ho avuto pochi contatti con galleristi ma fondamentale è stato quello con Elga Pellizzari, della galleria Estro, che ho conosciuto un anno fa. Le ho mostrato il progetto di Life e lei, nel giro di sei mesi, mi ha fatto una mostra. Per quanto riguarda la critica ho frequentato per lo più la generazione a me coetanea operante su Roma, instaurando con alcuni rapporti di stima ed amicizia. Insomma mi sento coccolato ed apprezzato.
A cosa stai lavorando ora? Hai qualche progetto in corso?
Ho diversi progetti in cantiere. Ho intenzione di continuare a lavorare con ratti e topi, ed a questo scopo ho messo su, nel mio studio di Praga, un piccolo allevamento. Il primo risultato è stato un nuovo ciclo, Arcadia, in cui ricreo l’illusione del mondo felice, stile Mulino Bianco. Da poco ho prodotto il mio primo video, Demiurgo, che mi vede protagonista insieme a due topi. E poi, con Landscape, affronto per la prima volta il soggetto paesaggio…
bio
Eugenio Percossi nasce ad Avezzano nel 1974. Vive e lavora tra Roma e Praga. Ha all’attivo numerose personali tra cui nel 2002 Life presso la galleria Estro di Padova, nel 2001 The End presso Radost, Praga e nel 2000 Composita Solvantur presso la Galleria Approdi a cura di A. Bellini e F. Pietracci.
Tra le collettive: 2003 Perspective, a cura di P.Capata, M.C. Bastante, Galleria El Aleph, Roma; 2002 Sulla Pittura Galleria Estro Padova, Art Confusion Museo Laboratorio della Sapienza, Roma; 2001 Artisti Emergenti della Roma del 2000 a cura di A. Arevalo, Galleria Mistral Cile.
articoli correlati
Doppia personale alla Galleria Estro
Eugenio Percossi al Radost, Praga
Art Confusion al Museo Laboratorio
paola capata
exibinterviste_la giovane arte è un progetto editoriale a cura di paola capata
[exibart]
finalmente! Questo sì che è un artista tosto! Bellissima intervista!
Conosco Eugenio da circa 10anni, purtroppo x motivi di lontananza(CHIETI-PRAGA)non siamo più molto in contatto come quando viveva ad AVEZZANO, ma, nonostante tutto continuo a seguirlo nelle sue esposizioni. Il mio intuito di 10anni fà mi ha dato ragione confermando oggi che Eugenio ha le palle 🙂
Complimenti e in bocca al lupo a tutti!
Fabio
una precisazione, le palle si possono anche avere ma dipende da quanto sono grandi e soprattutto dove si tengono………………..
ho fatto vedere il lavoro del percossi ai miei figli,
e i miei due ragazzi mi hanno detto: papa’ che palle!…………….
una bella intervista!
mi fa molto piacere,
ciao eugenio,
dalla sicilia paolo
Complimeti a Paola Capata. Bellissima intervista ad un artista senza dubbio interessante. La sezione exibinterviste è un utilissimo servizio per chiunque si avvicini all’arte contemporanea e cerca di capire il lavoro dei giovani. Dunque grazie, da parte mia la massima stima e un augurio a continuare.
roberto
Mi piace, ben scritta, molto interessante il tema che meriterebbe maggiori approfondimenti.
è la prima volta che visito il vostro sito che trovo interessante.
Complimenti Eugenio, ti ho lasciato a Roma nel 2000 con la personale ” composita solvantur ” devo dire che hai fatto progressi notevoli, un abbraccio Rolando