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13
luglio 2010
fino al 15.VIII.2010 Gabriel Kuri Bolzano, Museion
trento bolzano
“Coincidentia oppositorum?”, si sarebbe detto un tempo. Hard and/or soft, si dice oggi. In mostra in Alto Adige, un grande paradosso. A cui è difficile rispondere, naturalmente...
Per Giordano Bruno, Dio è sia creatore e ordinatore
che Natura stessa, in un’inscindibile unità panteistica di pensiero e materia. Sembrano
le parole giuste per definire i lavori di Gabriel Kuri (Città del Messico, 1970; vive a Città del Messico e
Bruxelles) esposti al Museion di Bolzano. Partire dalla materia come gli
artisti minimal ma svuotarla del suo peso, toccando l’insostenibile leggerezza
del pensiero.
Il molteplice reale affiora nel transeunte
dell’effimero quotidiano, attraverso scontrini, buste di plastica, lattine
gettate via, come nelle rocce, nei blocchi di cemento, invece ben saldati a
terra. È tutto un equilibrio fra nature, stadi e condizioni opposti. Come i
calzini stretti fra due rocce. Ricorre in quest’immagine il paradosso stesso
espresso dal titolo della mostra, Soft Information in Your Hard Facts.
C’è qualcosa di inafferrabile, di sottinteso in un
continuo evolversi delle forme, un sostanziale mutamento che sembra bloccarsi
nei lavori di Kuri in forme simmetriche che evidenziano una polarità creatrice
di strani equilibri.
22 opere scultoree realizzate negli ultimi sette anni,
divise tra due diversi ambienti. Soft e hard, il binomio che diventa il fil
rouge della mostra, a partire da
Untitled (fridge trinity), tre
frigoriferi in cui aleggiano sospese come nuvole delle buste di plastica. La
pesantezza che preserva al suo interno la leggerezza, in un equilibrio insolito
che addita al di là della materia al mondo esterno del consumo.
Nei tre Selfportrait as a retention and flow
diagram, due sacchetti di plastica
contenenti liquidi diversi e sospesi a una corda, in una staticità che sembra
innaturale e precaria, contrastando con la natura del liquido, di per sé collegato
all’idea di movimento. E ancora, una bottiglia con liquido e noci di cocco
dentro una busta di plastica, sospesi a riecheggiare la forma della bilancia.
La scultura è di per sé statica, immobile, e il lavoro
di Kuri muove innanzitutto da un interesse scultoreo. Eppure qualcosa sfugge. Per
esempio l’immagine stampata di montagne che finiscono risucchiate dalla parete,
assumendo la leggerezza di un’immagine astratta. Sul lato opposto, una
protuberanza che sporge come il picco di una montagna. E di nuovo l’opposizione
del tessuto che si avvolge su se stesso e delle montagne “dure” ridotte a
immagine.
Ma il mondo è anche questo: una finta colonna composta
da innumerevoli scontrini che segnano il perno della nostra società tra due
rocce all’estremità del soffitto e del pavimento. Una sfida alle leggi di
gravità che l’uomo lancia con le sue costruzioni mentali, leggere, effimere,
frutto di pure convenzioni.
In scena è il contrasto tra questa sfuggente
precarietà della vita e la necessità umana di cogliervi un significato
sostanziale, solido. Un paradosso che esiste da sempre, ben rappresentato dai
lavori di Gabriel Kuri. Per il quale qualsiasi affermazione può sempre esser
contraddetta dal suo contrario, altrettanto valido.
Nonostante le figure geometriche, i numeri che servono
a dare ordine e forma al molteplice, resta sempre l’inafferrabile: un movimento
tra condizioni differenti, un processo dialettico attraverso cui le cose
continuano a vivere.
che Natura stessa, in un’inscindibile unità panteistica di pensiero e materia. Sembrano
le parole giuste per definire i lavori di Gabriel Kuri (Città del Messico, 1970; vive a Città del Messico e
Bruxelles) esposti al Museion di Bolzano. Partire dalla materia come gli
artisti minimal ma svuotarla del suo peso, toccando l’insostenibile leggerezza
del pensiero.
Il molteplice reale affiora nel transeunte
dell’effimero quotidiano, attraverso scontrini, buste di plastica, lattine
gettate via, come nelle rocce, nei blocchi di cemento, invece ben saldati a
terra. È tutto un equilibrio fra nature, stadi e condizioni opposti. Come i
calzini stretti fra due rocce. Ricorre in quest’immagine il paradosso stesso
espresso dal titolo della mostra, Soft Information in Your Hard Facts.
C’è qualcosa di inafferrabile, di sottinteso in un
continuo evolversi delle forme, un sostanziale mutamento che sembra bloccarsi
nei lavori di Kuri in forme simmetriche che evidenziano una polarità creatrice
di strani equilibri.
22 opere scultoree realizzate negli ultimi sette anni,
divise tra due diversi ambienti. Soft e hard, il binomio che diventa il fil
rouge della mostra, a partire da
Untitled (fridge trinity), tre
frigoriferi in cui aleggiano sospese come nuvole delle buste di plastica. La
pesantezza che preserva al suo interno la leggerezza, in un equilibrio insolito
che addita al di là della materia al mondo esterno del consumo.
Nei tre Selfportrait as a retention and flow
diagram, due sacchetti di plastica
contenenti liquidi diversi e sospesi a una corda, in una staticità che sembra
innaturale e precaria, contrastando con la natura del liquido, di per sé collegato
all’idea di movimento. E ancora, una bottiglia con liquido e noci di cocco
dentro una busta di plastica, sospesi a riecheggiare la forma della bilancia.
La scultura è di per sé statica, immobile, e il lavoro
di Kuri muove innanzitutto da un interesse scultoreo. Eppure qualcosa sfugge. Per
esempio l’immagine stampata di montagne che finiscono risucchiate dalla parete,
assumendo la leggerezza di un’immagine astratta. Sul lato opposto, una
protuberanza che sporge come il picco di una montagna. E di nuovo l’opposizione
del tessuto che si avvolge su se stesso e delle montagne “dure” ridotte a
immagine.
Ma il mondo è anche questo: una finta colonna composta
da innumerevoli scontrini che segnano il perno della nostra società tra due
rocce all’estremità del soffitto e del pavimento. Una sfida alle leggi di
gravità che l’uomo lancia con le sue costruzioni mentali, leggere, effimere,
frutto di pure convenzioni.
In scena è il contrasto tra questa sfuggente
precarietà della vita e la necessità umana di cogliervi un significato
sostanziale, solido. Un paradosso che esiste da sempre, ben rappresentato dai
lavori di Gabriel Kuri. Per il quale qualsiasi affermazione può sempre esser
contraddetta dal suo contrario, altrettanto valido.
Nonostante le figure geometriche, i numeri che servono
a dare ordine e forma al molteplice, resta sempre l’inafferrabile: un movimento
tra condizioni differenti, un processo dialettico attraverso cui le cose
continuano a vivere.
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2010
Gabriel Kuri – Soft Information In Your Hard Facts
a cura di Vincenzo de Bellis
Museion
Via Dante, 6 – 39100 Bolzano
Orario: da martedì a domenica ore 10-18; giovedì ore 17-22
Ingresso: intero € 6; ridotto € 3.50
Catalogo disponibile
Info: tel. +39 0471312448; fax +39 0471223412; info@museion.it; www.museion.it
[exibart]
bellissima mostra, spazio utilizzato benissimo
Kuri esprime uno dei migliori stereotipi che si possono respirare. E’ straniero, città del Messico..rassicura ancora una volta la visione international del curatore, del pubblico e del museo. Ottimamente complementare alla proposta ruffiana neo arte povera di vascellari.
Alcuni buoni lavori, ma che nella sola Europa fanno centinaia di artisti, e in italia, semmai, anche studenti freschi di iuav o ratti….
Ma come e’ possibile non vedere la necessita’ di porre quanto meno il dubbio su alcuni codici e convenzioni?
Questo trend di stereotipi si conferma quasi identico tra altri curatori italiani, ubriachi di arte povera. Il sospetto nasce da come questo codice visivo viene utilizzato dagli artisi, da come viene indagato dai curatori e da come viene applicato in modo acritico e manieristico ad ogni esposizione e percorso artistico. L’arte povera rischia di divenire uno strumento per veicolare consenso apparente, dove il “nuovo” fatica ad emergere.
ancora commenti su arte povera e arte nuova, su vascellari e ruffiani, ma basta scrivete qualcosa di diverso. la mostra di kuri è ben fatta, asciutta e con un ottimo spaccato sull’opera dell’artista. bravo l’artista, il curatore e museion.
capolavoro: Boetti, colonna, 1968.
@Francesco: ma se in mostra c’e’ “una finta colonna composta da innumerevoli scontrini” come fai a non pensare all’arte povera?
se hai sfogliato qualche catalogo o visto qualche mostra e’ logico che pensi a lavori come questi
http://www.museomadre.it/it/opere.cfm?id=470
@ Francesco, la mostra e’ corretta e stuzzicante, in Europa e non solo si vedono decine di mostre del genere. Considero Kuri un ottimo artigiano rispetto un certo stereotipo di arte contemporanea. Rimane una sorta di burocrazia creativa che rassicura. Ma si perde un’opportunita di essere diversi.
Clitoride:
Il punto è che certe soluzioni “intelligenti” (come dire che sia sbagliato rielaborare il meglio che è stato?) sono funzionali alla realtà e ad un certo ordine precostituito. Sono soluzioni spuntate che dopo una piacevolezza fugace e momentanea non trovano più motivi di tensione. Questo perchè trovano già nella realtà alcuni anticorpi.
Un buon esempio estremo è dato da questa immagine dove un’opera di boetti diventa una bella borsa frigo:
http://whitehouse.splinder.com/post/22931892
Al fine di capire meglio questa tendenza che vede la riproposizione di alcuni codici rassicuranti dell’arte povera suggerisco 3 link:
http://arte-milano.blogspot.com/2010/07/gabriel-kuri-museion-bolzano.html
http://undo.net/eventinvideo/209/
http://www.google.it/imgres?imgurl=http://multimedia.museomadre.it/foto/web/opera1067_museo_madre.jpg&imgrefurl=http://www.museomadre.it/opere.cfm%3Fid%3D1067&usg=__sRqBldPks5xFeLIVW5KYjNqNeDA=&h=533&w=799&sz=48&hl=it&start=3&um=1&itbs=1&tbnid=3ehdA-I3TPEvLM:&tbnh=95&tbnw=143&prev=/images%3Fq%3Dmicol%2Bassael%2Bmadre%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26sa%3DN%26rls%3Den%26tbs%3Disch:1
La mostra è allestita benissimo e ha dei pezzi molto belli e che fanno pensare. Forse non cambierà la storia dell’arte come vorrebbe Luca Rossi, ma l’importante è che sia una mostra intelligente ed acuta. Complimenti all’artista e al curatore.
Caro Daniele,
ti sembrerà strano ma concordo con te. Anche a me è piaciuta. Infatti bisogna riflettere su una certa “impersonalità” dei giovani artisti, che appaiono come ottimi discepoli di artisti-madre, artisti-gesù. In questo caso si tratta di un ottimo artigianato dell’arte contemporanea. Questa può anche essere una tendeza legittima e rispettabile, ma bisogna prenderne atto.
Il problema nasce, poi, quando giri l’europa e non solo, e vedi altre 10 mostre così. Allora forse stiamo parlando di uno buono standard e quello che fa la differenza sono le relazioni pubbliche e private che lo sostengono. Ma allora l’opera di Kuri è altrove, e quello che vediamo sono solo opere standard che sono accessorie rispetto una lunga trafila relazionale…
io di mostre così ne ho viste tante e devo dire che c’è una perdita di identità forte.
infatti come dice rossi: il problema nasce, poi, quando giri l’europa e non solo, e vedi altre 10 mostre così.
tanti artisti e tante mostre simili: come si fa ad appassionarsi ad un qualcosa già visto decenni fa, rivisto ancora e riproposto da altri artisti… non vedo una concettualità forte e neanche il sacro fuoco della passione e dell’arte in queste mostre.
Ma perché l’arte deve avere necessariamente un aspetto identitario? Mi pare che sia ben diversa del terroir di un vino o di altri prodotti alimentari, no?
infatti, sono parzialmente d’accordo con te Daniele. Ma a me sembra ci sia proprio un livellamento dei sapori, che siano le nuove norme della UE?
E’ accettabile un livellamento identitario. Basta che ne prendiamo consapevolezza. Prima di Whitehouse non esistevano luoghi critici (se non questo spazio di commenti fugaci). E Whitehouse ha innescato tante piccole reazioni positive, come per esempio il blog arte-milano.blogspot.
Il problema sorge quando un certo sistema si chiude al confronto. In italia vediamo “piccole famiglie” basate su rapporti morbosi ed esterofili. Questa chiusura deprime il linguaggio e finisce per indebolire gli stessi artisti che iniziano a muoversi in questo sistema ( prime vittime di questo meccanismo). Per capire meglio possiamo vedere cosa è successo in italia negli ultimi 15 anni: tutte le promesse anni 90 sono sparite nel nulla. Ma ogni anno riemergono nuovi giovani, che a loro volta propongono soluzioni artigianali e spuntate.
Peep-hole sta facendo un buon lavoro con gli scritti degli artisti, ma il sistema italiano è talmente piccolo che cadono anche loro nel conflitto di interessi:
Peep hole è gestito anche dalla sorella di pietro roccasalva (insieme al fidanzato de bellis che ha curato questa mostra al museion). Il prossimo scritto di artista di peep hole ospiterà Massimo Grimaldi che lavora per la Galleria Zero dove lavora anche Pietro Roccasalva. Tutte le entità italiane proiettate sull’estero sono collegate in una sorta di clan-famiglia…questo in italia è deleterio…perchè non ci potrà mai essere confronto critico, sicuramente non c’è apertura…
Ma si tratta di una classe critica e curatoriale che ha subito una fase formativa traumatica ed esterofila: e oggi vive un contesto che osteggia il contemporaneo. Quindi si pensa a sostenere se stessi e i propri amici (e questo è deleterio per se stessi e i propri amici). Quindi non c’è nè tempo e nè voglia di aprirsi..molto meglio continuare a fare le stesse scelte, “aiutando” e favorendo un amico…perchè sbattersi per approfondire? Peep hole se può aiuterà la galleria Zero, per una forma di solidarietà amicale e di interessi….
Ma queste dinamiche creano valore? I collezionisti della Galleria Zero sono protetti? A mio parere no. Perchè per quanto Massimo Grimaldi produca un buon lavoro, in italia non esiste confronto critico, e il lavoro di Grimaldi viene sostenuto e storicizzato in modo artificiale…
Perchè comprare un’opera di un giovane artista a 5000 euro, se costui si limita a declinare l’arte povera o un certo concettualismo anni 70? Quella stessa opera la posso fare io o tu, e l’effetto è il medesimo.
Capisco che queste parole stridono con tutto un sistema che vuole vivere sopra queste dinamiche. Ma se questo sistema fa sul serio deve essere pronto ad aprirsi e non avere paura del confronto. Se no si tratta solo di una grande inganno…
esatto lucarossi, comprare un’opera di un giovane artista a 5000 euro, quando questo si limita a declinare l’arte povera o un certo concettualismo anni 70, non ha molto senso.
trovo gradevoli questo tipo di opere, ma mancano di mordente.
Cosa facciamo chiudiamo tutte le gallerie GGGiovani in italia? Non credo sia bello.
Nessuno ha interesse nel dire che il re è nudo…e ci può anche stare.
Più ottuso e non accettabile è bypassare una riflessione sul linguaggio. Molti critici, curatori e opinionisti rilevano l’affaticamento linguistico di cui stiamo parlando. Però serve un ruolo più fluido per poter anche fornire un’ alternativa. Quanto meno una base alternativa. Si tratta di esorbitare quello che già tende ad avvenire nella realtà, e quindi un fusione e confusione di ruoli : critico, artista, curatore, spettatore, osservatore, collezionista, ecc ecc.
Ognuno può fornire la sua interpretazione alternativa, luca rossi non serve a nulla, è solo un suggerimento del cavolo.
Non servirebbero nemmeno i fondi che stanno tagliando alla cultura. Servirebbe volontà e interesse. Ma queste componenti ci sono? Perchè se non ci sono queste componenti tanto vale allontanarci e semmai tenere un blog da lontano.
Questo, paradossalmente, porta ad una pratica “amatoriale” (vicina allo stile gonzo di alcuni film pornografici), più naturale, più sostenibile e più “umana”. Questo non significa poca professionalità. Ricordo l’intervento di Jeremy Deller allo sculpture project del 2007: evidenziare semplicemente una comunità di giardinieri amatoriali nelle cui geometrie e nel cui ordine si respirava una professionalità enorme, data ovviamente dalla passione, dalla dedizione e dalla gestione del proprio tempo.