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Via Sammartini, zona Stazione Centrale. Da settimane stanno lì, saranno un centinaio. A qualsiasi ora del giorno sulle panchine nel piccolo parco, non fanno nulla. Chiacchierano, a volte giocano a palla. Hanno tutti smartphone che sì, possiamo intuire chi lo abbia fornito.
“Dove li mettiamo?” abbiamo titolato solo pochi giorni fa, parlando dello sgombero – pressoché fallito – del campo di Calais. Dove li mettiamo oggi, quelli arrivati a Milano, se qualcuno prepara le barriccate? L’Italia, da Lampedusa in su, ha fatto sfoggio di saper accogliere, e non è di certo un bel biglietto da visita fare muri umani per resistere.
Resistere a chi? Possibile che una parola profonda e storica oggi si leghi per “contrastrare” chi non ha nulla? Fantasmi.
“Pensiamo che un’accoglienza dignitosa e trasparente sia l’unica strada per l’integrazione” dichiara il Municipio 8, mentre protesta anche l’Anpi: “L’Europa, nella quale si sta pericolosamente ripresentando il virus del nazionalismo, della xenofobia, dell’antisemitismo, sembra soltanto capace di erigere muri, reticolati e barriere di filo spinato: un’Europa profondamente diversa da quella prefigurata dai Resistenti europei”.
E Milano, cari Salvini e Co. ricordate che ha dato casa a lavoratori di ogni epoca e zona, ha passato l’onda dei “terroni”, poi quella dei “marocchini”, poi quella degli “albanesi” e così via, appellando i “diversi” con termini di bassa lega in bassa lega, ma trasformando il suo tessuto dal basso e, appunto, tentando di integrare, evolvendosi. Forse non sempre le ciambelle verranno con il buco, ma prendere ad esempio Goro, con la sua strana paura respingente, con uno strano odio (condivisibile soltanto nei confronti delle istituzioni che decidono spazi, numeri e affini di questo esodo), perdonateci – di qualunque idea siate – no.
Potrà andare bene o meno la Caserma Caracciolo, potranno andare bene i tunnel della Stazione Centrale, potrà andare bene o meno qualsiasi struttura. L’accoglienza però, oltre che temporanea, dovrebbe essere finalizzata a poter dare un futuro vagamente dignitoso. Mettendo in mezzo, ancora, quell’Europa che sembra non voler sentire e che, senza troppi giri di parole, se ne vuole fottere di chi sta peggio. (MB)