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24
settembre 2007
Immaginare è anche guardare. Eppure guardare, in fondo, è accettare. È prenderla così, come un invito. Senza avversione. Guardare è azione e passività. È somma e sottrazione. È amplificazione e riverbero degli spazi che ci si trova di fronte. Basta abituare con lentezza gli occhi. Divaricati e divisi sul senso primo della realtà. Guardare, è dunque, prima di tutto, lasciarsi pensare. Senza necessaria risposta. Al di là del paesaggio. Oltre quei luoghi che sembrano prendersi cura della nostra stessa immagine, ribaltata e a volte smontata, sulle pareti del globo oculare.
Nel caso dei 160 lavori di Mimmo Jodice (Napoli, 1934) sono il bianco e il nero, sparsi sui contorni, a fare luce. A illuminare l’autorità della visione, restituendo intensità ieratica a ogni scena. I lavori esposti sono la certezza della testimonianza. Intatta. L’occhio sempre allerta del fotografo partenopeo proietta su chi guarda la serenità del proprio presente, stretto e catturato dallo scatto. All’interno di questo Grand Tour intellettuale, a tratti introspettivo -per citare la presentazione della mostra-, sfilano trent’anni di pose e appostamenti. Dettagli e curiosità estrapolati da indagini condotte su suolo italiano. Chi osserva questi scatti, riprodotti in formato poster, compie un viaggio statico. Ogni fotografia è un finestrino mobile, lucido, argenteo e spalancato su realtà fatte di contraddizioni. Ma anche d’immensa semplicità. Sottolineando le differenze balenanti del nostro Nord-Sud. Per questo motivo, può succedere di perdersi nei primi piani di volti e rovine. La luce fissa, morbida ed eterea rimane sempre in agguato, impreziosendo radici, foglie, ringhiere e specchi d’acqua.
L’impronta estetico-stilistica di Jodice è, infatti, la chiarezza della ribalta. È la capacità di non confondere primi piani e scene di dettaglio, regalando un’impostazione materica e tridimensionale, ben marcata, nei confronti del paesaggio che si fa incontro. Impostando un rispetto metafisico nei riguardi di quei luoghi solidi, costantemente ponderati e sotto stretta speculazione. Come in Sibaria, 1999, le linee prospettiche e i punti di fuga si mischiano per lasciar unire, fuori dalle gabbie geometriche, luci e ombre. Ogni foto esalta il contrasto senza ispessire tanto le circostanze della presa (Baia, 1997) quanto il contesto istantaneo che ne racconta antecedenti e prospetti futuri. Il punto di vista di questo campione della fotografia italiana è quindi capace di intagliare vicoli e isole, porte abbandonate e scranne con la stessa posata misura di un cesellatore.
Il “rischio” è di lasciare questa mostra con una coscienza visiva che supera la realtà stessa. Modificando, inaspettatamente, il significato più profondo di fotografie viste e riviste, inglobate per catacresi nel linguaggio dell’osservazione comune. Sotto l’egida di Jodice, dunque, sarete colti crudeli, fra mostri e potenze solitarie, fra guglie e volti che, forse, solo sotto forma di silenzi riescono a passare le lenti dell’obiettivo.
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Mimmo Jodice – Perdersi a guardare. Trenta anni di fotografia in Italia
Spazio Forma – Centro Internazionale di Fotografia
Piazza Tito Lucrezio Caro, 1 (zona Bocconi) – 20136 Milano
Orari: tutti i giorni dalle 10 alle 20. Giovedì dalle 10 alle 22. Chiuso il lunedì
Ingresso: intero 7.50 euro. Ridotto 6 euro. Scuole 4 euro
Catalogo Contrasto
Info: info@formafoto.it, www.formafoto.it
[exibart]
bah, è un po’ come se l’avessi già letto.