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22
marzo 2010
fino al 31.III.2010 Ibrido Milano, Pac
milano
Una ricca rassegna porta al Pac così tante ibridazioni da non sapere quante sfaccettature osservare contemporaneamente. Tra Paolini e Cuoghi, Kuri e Roccasalva, Cattelan e Mendini, la genetica sfonda nell’arte...
di Ginevra Bria
L’uomo sopporta il molteplice nel bel mezzo della sola
distanza creata dalle differenze; punto in cui l’evidenza dell’essere coincide
con l’evidenza del dubbio, cioè attraverso la certezza che il pensiero diviene
emergendo tanto
e contemporaneamente. Il pensiero diviene e nel suo essere si ibrida al resto, perché nel
suo essere si coglie come diveniente, come dubitare. Ma se il pensiero diviene
è perché non riesce a rappresentare la totalità dell’essere. Allora il divenire
nel suo essere è un divenire meticciato nell’essere che lo trascende: è
l’accogliere in sé l’altro da sé.
Se è vero dunque che dubbio, molteplicità,
contraddittorietà e mutamento consacrano il pensiero umano nel caos della
libertà, è anche possibile affermare che la messa in scena di tanta ibridazione
è prima di tutto comprensione e inclusione della diversità.
Questa premessa diventa doverosa dal momento in cui al Pac
– sotto l’egida di Giacinto Di Pietrantonio e del giovane Francesco Garutti –
espedienti del pensiero e intuizioni estetiche dialogano su diverse soluzioni
create dalla molteplicità. Ibrido. Genetica delle forme d’arte è infatti una collettiva che,
riunendo quasi sessanta artisti e un’ottantina di opere, inaugura la stagione
espositiva del Padiglione sotto il segno della mescolanza.
La collettiva avvicina artisti del calibro di Wolfson, che introduce la mostra con una
insolita “natura morta”, ai padri storici dei mutamenti, come Beuys e Pistoletto, il primo presente con una
classica rievocazione di Pelizza da Volpedo e il secondo attraverso il suo Mediterraneo intagliato nello specchio di un
enorme tavolo.
Tra Warhol e i pensieri neutri di Paolini, Pettena si presenta con l’installazione
più eclatante dell’evento. Il suo Archipensiero, infatti, infiamma la prima
stanza, decomponendo prospetticamente (attraverso i filamenti di rafia) lo
statuto simbolico degli spazi, fra estetica dell’architettura e materialità
della Land Art.
Nelle sale successive, da notare sono gli accenni cinetici
di Getulio Alviani
ed Enzo Mari,
accompagnate (senza alcun intervallo allestitivo) dalle segmentazioni
cromatiche di Mendini. Non bisogna dimenticare inoltre lavori più o meno noti provenienti
dagli studi di Armleder, Huyghe,
Parreno, Eliasson, Cattelan (presente con l’ingannevole Punizioni), Tuttofuoco, Tiravanija, Roccasalva (presente a sua volta con lavori
già esposti nel 2007 alla Gamec), Hirst e l’iconico Jan Fabre (sfruttato come vessillo di Ibrido, attraverso il mezzo busto dal
titolo Homage a Jaques Mesrine).
Al di là delle combinazioni multiarticolate ed eteroclite di questa divertente
wunderkammer,
restano da osservare con attenzione alcuni lavori: i contenitori di Kuri, il busto di Vedovamazzei, i video di Pong e gli spaccati filosofici di Arena.
Da non mancare infine la lettura comparata delle opere in
mostra (sotto-percorso presente all’interno di ciascuna didascalia) e la
galleria di busti posta di fronte alla vetrata del Padiglione: breve gipsoteca
difforme, che restituisce la sensazione di molteplicità attraverso una
gelatinosa serie di ritratti.
distanza creata dalle differenze; punto in cui l’evidenza dell’essere coincide
con l’evidenza del dubbio, cioè attraverso la certezza che il pensiero diviene
emergendo tanto
e contemporaneamente. Il pensiero diviene e nel suo essere si ibrida al resto, perché nel
suo essere si coglie come diveniente, come dubitare. Ma se il pensiero diviene
è perché non riesce a rappresentare la totalità dell’essere. Allora il divenire
nel suo essere è un divenire meticciato nell’essere che lo trascende: è
l’accogliere in sé l’altro da sé.
Se è vero dunque che dubbio, molteplicità,
contraddittorietà e mutamento consacrano il pensiero umano nel caos della
libertà, è anche possibile affermare che la messa in scena di tanta ibridazione
è prima di tutto comprensione e inclusione della diversità.
Questa premessa diventa doverosa dal momento in cui al Pac
– sotto l’egida di Giacinto Di Pietrantonio e del giovane Francesco Garutti –
espedienti del pensiero e intuizioni estetiche dialogano su diverse soluzioni
create dalla molteplicità. Ibrido. Genetica delle forme d’arte è infatti una collettiva che,
riunendo quasi sessanta artisti e un’ottantina di opere, inaugura la stagione
espositiva del Padiglione sotto il segno della mescolanza.
La collettiva avvicina artisti del calibro di Wolfson, che introduce la mostra con una
insolita “natura morta”, ai padri storici dei mutamenti, come Beuys e Pistoletto, il primo presente con una
classica rievocazione di Pelizza da Volpedo e il secondo attraverso il suo Mediterraneo intagliato nello specchio di un
enorme tavolo.
Tra Warhol e i pensieri neutri di Paolini, Pettena si presenta con l’installazione
più eclatante dell’evento. Il suo Archipensiero, infatti, infiamma la prima
stanza, decomponendo prospetticamente (attraverso i filamenti di rafia) lo
statuto simbolico degli spazi, fra estetica dell’architettura e materialità
della Land Art.
Nelle sale successive, da notare sono gli accenni cinetici
di Getulio Alviani
ed Enzo Mari,
accompagnate (senza alcun intervallo allestitivo) dalle segmentazioni
cromatiche di Mendini. Non bisogna dimenticare inoltre lavori più o meno noti provenienti
dagli studi di Armleder, Huyghe,
Parreno, Eliasson, Cattelan (presente con l’ingannevole Punizioni), Tuttofuoco, Tiravanija, Roccasalva (presente a sua volta con lavori
già esposti nel 2007 alla Gamec), Hirst e l’iconico Jan Fabre (sfruttato come vessillo di Ibrido, attraverso il mezzo busto dal
titolo Homage a Jaques Mesrine).
Al di là delle combinazioni multiarticolate ed eteroclite di questa divertente
wunderkammer,
restano da osservare con attenzione alcuni lavori: i contenitori di Kuri, il busto di Vedovamazzei, i video di Pong e gli spaccati filosofici di Arena.
Da non mancare infine la lettura comparata delle opere in
mostra (sotto-percorso presente all’interno di ciascuna didascalia) e la
galleria di busti posta di fronte alla vetrata del Padiglione: breve gipsoteca
difforme, che restituisce la sensazione di molteplicità attraverso una
gelatinosa serie di ritratti.
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Ibrido.
Genetica delle forme d’arte
a cura di Giacinto Di Pietrantonio e
Francesco Garutti
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro, 14 (zona Porta Venezia) – 20121 Milano
Orario: lunedì 14.30-19.30; da martedì a domenica ore 9.30-19.30; giovedì fino
alle ore 22.30
Ingresso libero
Catalogo Silvana Editoriale
Info: tel. +39 0276020400; www.comune.milano.it/pac
[exibart]