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Palermo. 1978. 1992. Date importanti. L’una per l’assassinio di Peppino Impastato, l’altra per le due stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In mezzo, altri innumerevoli omicidi e altrettanti innumerevoli cadaveri. Letizia Battaglia (Palermo, 1935), da direttore della fotografia del quotidiano “L’Ora”, testimoniò con i suoi scatti quegli anni siciliani.
Le fotografie in mostra si rendono sanguinose tappe di un lavoro di denuncia che vide l’obiettivo di Battaglia sempre in prima linea. Il giudice Cesare Terranova e il segretario della Democrazia Cristiana di Palermo, Michele Reina, entrambi martoriati da scariche di mitra all’interno delle proprie macchine; il boss corleonese Leoluca Bagarella durante l’arresto; il corpo anonimo e straziato di un uomo, ucciso mentre andava in garage a prendere l’auto. Tutti frammenti di una verace realtà, fulminei momenti che Letizia Battaglia ha scippato allo scorrere del tempo.
Quasi quindici anni in cui la mafia sembrò avere le briglie sciolte. La fotografa ne manifestò la capillare presenza nella terra siciliana, immortalando non solo il brutale scorrimento di sangue, ma anche la corruzione che essa esercitò sulla città. Palermo e Cosa Nostra. Battaglia racconta, attraverso le sue immagini, il cedimento della prima in favore della seconda. La mafia s’impose nella città, che diventò presto complice, senza scelta, di un pareggiamento di conti interminabile. “Il danno che i mafiosi e i politici hanno fatto a queste persone… Hanno corrotto la gente nella testa. Le persone continuano a ritenere che si ha bisogno della giusta ‘raccomandazione’, delle conoscenze giuste, per avere un lavoro, persino all’università o negli ospedali”, scrive l’autrice sul catalogo Fotografie dalla Sicilia.
Di grande effetto risulta il collage fotografico allestito su una grande parete isolata. Al centro, l’origine del tutto: il volantino distribuito durante la manifestazione per la morte di Impastato. In quell’occasione, per la prima volta, si urlò a gran voce il nome del mandante: mafia. Attorno a esso si sparpagliano a macchia d’olio gli altri tasselli del puzzle palermitano. Dalla foto che immortala il legame tra l’ex Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, e Nino Salvo, esponente del clan mafioso siciliano e finanziatore diretto della Democrazia Cristiana, alla figura intera di una bambina che rende manifesto lo sguardo di chi è cresciuto troppo velocemente; dalle immagini che testimoniano i rituali religiosi palermitani allo scatto che ritrae Falcone al funerale del generale Dalla Chiesa.
Insieme a Franco Zecchin, amico e compagno di lavoro, Letizia Battaglia si è resa memoria pungente di un “processo” talmente radicato da rendersi invisibile. Un “processo” difficilmente descrivibile e comprensibile a parole, ma raccontabile attraverso la cruda verità dei suoi scatti in bianco e nero.
Le fotografie in mostra si rendono sanguinose tappe di un lavoro di denuncia che vide l’obiettivo di Battaglia sempre in prima linea. Il giudice Cesare Terranova e il segretario della Democrazia Cristiana di Palermo, Michele Reina, entrambi martoriati da scariche di mitra all’interno delle proprie macchine; il boss corleonese Leoluca Bagarella durante l’arresto; il corpo anonimo e straziato di un uomo, ucciso mentre andava in garage a prendere l’auto. Tutti frammenti di una verace realtà, fulminei momenti che Letizia Battaglia ha scippato allo scorrere del tempo.
Quasi quindici anni in cui la mafia sembrò avere le briglie sciolte. La fotografa ne manifestò la capillare presenza nella terra siciliana, immortalando non solo il brutale scorrimento di sangue, ma anche la corruzione che essa esercitò sulla città. Palermo e Cosa Nostra. Battaglia racconta, attraverso le sue immagini, il cedimento della prima in favore della seconda. La mafia s’impose nella città, che diventò presto complice, senza scelta, di un pareggiamento di conti interminabile. “Il danno che i mafiosi e i politici hanno fatto a queste persone… Hanno corrotto la gente nella testa. Le persone continuano a ritenere che si ha bisogno della giusta ‘raccomandazione’, delle conoscenze giuste, per avere un lavoro, persino all’università o negli ospedali”, scrive l’autrice sul catalogo Fotografie dalla Sicilia.
Di grande effetto risulta il collage fotografico allestito su una grande parete isolata. Al centro, l’origine del tutto: il volantino distribuito durante la manifestazione per la morte di Impastato. In quell’occasione, per la prima volta, si urlò a gran voce il nome del mandante: mafia. Attorno a esso si sparpagliano a macchia d’olio gli altri tasselli del puzzle palermitano. Dalla foto che immortala il legame tra l’ex Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, e Nino Salvo, esponente del clan mafioso siciliano e finanziatore diretto della Democrazia Cristiana, alla figura intera di una bambina che rende manifesto lo sguardo di chi è cresciuto troppo velocemente; dalle immagini che testimoniano i rituali religiosi palermitani allo scatto che ritrae Falcone al funerale del generale Dalla Chiesa.
Insieme a Franco Zecchin, amico e compagno di lavoro, Letizia Battaglia si è resa memoria pungente di un “processo” talmente radicato da rendersi invisibile. Un “processo” difficilmente descrivibile e comprensibile a parole, ma raccontabile attraverso la cruda verità dei suoi scatti in bianco e nero.
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Letizia Battaglia a Palermo
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Intervista a Letizia Battaglia
francesca orsi
mostra visitata il 21 maggio 2008
dal 21 maggio al 12 luglio 2008
Letizia Battaglia
a cura di Paolo Falcone
Galleria Cesare Manzo
Vicolo del Governo Vecchio, 8 (zon piazza Navona) – 00186 Roma
Orario: da martedì a venerdì ore 16-20; sabato ore 15.30-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 0693933992; roma@galleriamanzo.it; www.galleriamanzo.it
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