21 luglio 2010

libri_interviste Il revisionismo debole

 
Sforna libri e mostre alla consueta rapidità industriale. E approda alla major Rizzoli con un pamphlet per certi versi sorprendente. Perché a Luca Beatrice piace Vezzoli e non disdegna affatto l’Italics di Bonami. Basta che Celant non gradisca...

di

Come nasce Da che arte stai?

Da un invito di Rizzoli la scorsa estate, in
occasione della mia chiamata al Padiglione Italia. Avevo già scritto un libro
sugli anni ‘90, ma questo fa il punto su un’altra visione dell’arte
contemporanea italiana.

Il libro ha uno stile quasi televisivo,
lontano dai tecnicismi. Miri al grande pubblico?

Scrivo spesso su Il Giornale dove il problema
principale è farsi capire da tutti. Lascio la critica agli specialisti perché
la ritengo poco interessante e anche poco sexy. Soprattutto per quel pubblico
che poi decreta il successo di un libro.

Sul Giornale dell’Arte gli addetti ai
lavori hanno eletto Luca Beatrice il peggior critico del 2009, Vittorio Sgarbi lo
ha definito il migliore. Una “sentenza” pesante?

Una frase a effetto che ho scelto in accordo
con la casa editrice per la quarta di copertina. Questa nomination in stile Grande Fratello
è
dovuta al fatto che ho curato il Padiglione Italia. Se avessi fatto una mostra
qualsiasi non sarebbe successo. Nonostante l’anno terribile della crisi
economica, la Biennale di Venezia ha fatto quasi il 20% di visitatori in più
rispetto all’edizione precedente.

A chi va il merito?

Al Padiglione Italia e al baccano mediatico.
Non certo a Birnbaum, che ha fatto una mostra corretta ma non particolarmente
diversa dalle altre. Il pubblico ha decretato il successo dell’iniziativa per
mezzo del suo strumento sovrano: il biglietto d’ingresso.

Andiamo ai fondamentali per un momento: cos’è
per te l’arte?

Nel libro non cerco definizioni teoriche ma
offro uno spaccato sociologico dell’arte, della storia e della cultura italiane
dagli anni ‘70 a oggi, rivedendo lo schema che vuole il nostro ingresso nella
contemporaneità a partire dall’Arte Povera e dal ‘68. Per me la data va
spostata al 1979, quando nascono fenomeni coma la Transavanguardia, quando il
design italiano, la moda, la cucina e la letteratura stabiliscono un made in
Italy
che
dà vita a un nuovo corso della nostra cultura, lontana dall’era della paura.

A un certo punto dici che la pittura è
underground…

È un paradosso, ci sono tante espressioni
artistiche che sono state avvalorate dal fatto che sono nei musei e la pittura,
che è la più antica tra tutte le forme artistiche e linguistiche, deve
recuperare questa posizione anche se per la gente normale, il popolo, resta
l’arte per eccellenza.

Eppure l’artista italiano che più eccita la
tua penna è Francesco Vezzoli. Inoltre denunci la presenza di molta cattiva
pittura. È davvero solo una questione di mezzo espressivo?

Ci sono artisti che fanno un quadro bellissimo
e poi mancano clamorosamente la loro seconda chance. Il punto è che una certa
pittura volutamente retrò, un po’ difensiva, di retroguardia, francamente non
mi interessa, non mi è mai interessata, però difendo la libertà di poterla
fare. La pittura non può essere contemporanea solo se mostra un quadro
completamente bianco esposto in un contesto particolare. E comunque Vezzoli è
l’artista italiano più geniale.

Che non ha mai dato una pennellata, ma non
è un problema…

Molti artisti che mi piacciono non dipingono.

Quando accenni all’idea di “singola opera”
penso a Francesco Bonami che in Italics
, a Palazzo Grassi,
ha selezionato le opere singole più che gli artisti in generale. Fra l’altro
citi questa mostra come precorritrice del tuo revisionismo…

L’ho apprezzata e può sembrare inquietante che
Bonami e io spesso abbiamo pareri comuni, malgrado le cose che ci siamo detti
in questi anni. In realtà non abbiamo fatto altro che battibeccare sui
quotidiani, l’uno facendo un gran piacere all’altro e viceversa. Italics è una mostra che ho
apprezzato, intanto perché non è piaciuta a Germano Celant. È una mostra
importante che ha posto il problema: l’arte italiana non è solo quella Povera.

Poi citi Jean Clair, Robert Hughes e John
Berger. C’è una linea internazionale in cui ti riconosci?

Assolutamente no, voglio solo dire che ci sono
degli intellettuali che non fanno, come i curatori, la solita lista della spesa
sul mercato internazionale per dimostrare che esiste una sola idea dell’arte.

La tua difesa del Padiglione Italia è uno
dei capitoli più convincenti. Il diritto ad averlo è sacrosanto. A ciò
corrisponde uno specifico dell’arte italiana?

Difendere il Padiglione Italia è doveroso. Non
credo che esista una linea dell’arte italiana, un carattere specifico, a meno
che non vogliamo parlare di forma, di eleganza, di sobrietà e di qualità, anche
se con i dovuti distinguo.

Nel libro fai cenno al provincialismo.

Il provincialismo non è un limite, bensì un
dato caratterizzante. Per esempio vai a comprare le maglie di Cucinelli a
Perugia o vai a mangiare fuori porta nel reggiano, scoprendo realtà eccelse.
Nei piccoli centri italiani trovi tesori dell’arte. Il nostro territorio è
fatto di tanti comuni e province e ciò si proietta nella contemporaneità. Ecco,
questo potrebbe essere il nostro specifico.

Sì certo, anche se Giancarlo Politi è una
vita che si sgola per mandare tutti, critici e artisti, a quel paese che è New
York…

Ognuno può andare dove vuole oppure stare
chiuso in camera a guardare la realtà attraverso lo schermo di un computer. Rimane
il fatto che andare in giro per il mondo non ti garantisce di diventare un
artista internazionale.

In un mondo debordiano, assuefatto allo
spettacolo, che senso acquisisce il concetto chiave del successo: la
popolarità?

La popolarità avvicinata alla parola cultura
spesso dà fastidio, ma popolarità significa anche libero accesso per tutti alla
cultura ed è una conquista ottenuta con fatica. Per me è un concetto
assolutamente positivo, anzi bisognerebbe lavorare su questo.

In Italia il peso della politica è un danno
o una salvezza per la cultura?

La politica è essenziale nella vita culturale
di un paese. Le obiezioni sulla politica vengono fatte solo quando c’è un
governo di centrodestra, ma sono convinto che sotto governi conservatori la
cultura ha dato il meglio di sé.

In Italia è poco elegante parlare di
denaro, ma quanta influenza ha per te?

Per me ha un valore fondamentale, perché quel
che faccio non è un hobby. Io sono una S.a.s., altrimenti non potrei
permettermi uno studio con due assistenti che lavorano e che vengono
regolarmente pagate. Poi ci sono le dichiarazioni Iva, i saldi Irpef e tutto il
resto. Cose che i critici d’arte conoscono poco.

A cosa stai lavorando?

Siccome il libro è andato bene ne faremo un
altro, poi ci sono due mostre a Perugia, Il teatro del sogno, e un mio cavallo di
battaglia al Pecci di Prato: su arte e rock.

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in provincia… di Alessandria

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musica e l’arte a Bologna

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Intervista
con Luca Beatrice sul Padiglione Italia

a cura di nicola davide angerame


Luca Beatrice – Da che arte stai?

Rizzoli, Milano 2010

Pagg. 224, € 16,50

ISBN 9788817037839

Info: la scheda dell’editore

[exibart]

27 Commenti

  1. I critici d’arte, quelli veri, non conoscono certe cose, caro Beatrice, perchè non si prostituiscono intellettualmente e cercano di essere una vera, e non finta, alternativa ad un sistema di cui tu sei semplicemente il lato speculare

  2. Mi sembra un critico con i piedi per terra, come ce ne sono pochi. E anche un certo cinismo che sposa i piccoli comuni italiani non mi dispiace. Mi chiedo solo come abbia potuto partorire il padiglione italia. Il problema di quella mostra è che tu la visitavi e non rimaneva nulla, tanti colori che decadevano subito. Per non parlare del video dei masdebo (o come si chiamano) in cui il vero lavoro era riuscire a stare in quella sala proiezione al caldo, senza ossigeno e con varie puzze nell’aria. Mi sembrava a suo agio solo Montesano per la specificità del suo percorso che gioca con gli odori della cadavere-pittura.

  3. Al”magutt”dell’arte contemporanea Beatrice
    senza alcun dubbio conviene sfornare libri
    come si dice in Veneto “a tuto manego”.Sa,
    ovviamente,che appena l’eco della sua “memorabile” Biennale di Venezia si sarà un fià attenuato
    potrebbe subirne enormi ripercussioni.
    Sembra,però,si stia già precauzionando.
    Si da per certa una sua entrata trionfale
    nelle Televendite ad assecondare l’amico
    “magutt”2 Carletto Vanoni quello che ti spiega con estrema dovizia di particolari come mischiando due colori,
    sorprendentemente, se ne possa formare un’altro.
    Comunque sempre felicitazioni ad entrambi con l’augurio di lunga durata
    alla loro importante presenza nell’altra
    arte contemporanea:la “maguttiana”.

    Giuliano Perezzani

  4. Hai ragione Luca Rossi, all’ultima Biennale di Venezia c’era una puzza fortissima, sei forse l’unica persona che l’ha sentita, perche’ nessuno fino ad ora ne aveva mai parlato. Siamo stati noi della New Gallery con la nostra performance abusiva, a suo tempo rivendicata, a sollecitare l’olfatto dei presenti, assopiti ed annoiati.

  5. Al di là degli odori della sala video, il padiglione italia sembrava tanto una nuova ala dell’ikea impegnata a coniugare arte e arredamento da interni. Come possiamo già vedere all’ikea, c’è una tendenza dell’arte a diventare artigianato. La cosa è legittima ma interessante fino ad un certo punto. Se dobbiamo stare su questo piano molto meglio, e molto più avanti il cinema. E allora ecco che i personaggi di basilè diventano i protagonisti di film fantasy, stessa cosa per gli scenari di Costa, stessa cosa per le insegne di Lodola, o ecco che l’unicorno di svarosky si anima e ci porta altrove. Po i semmai usciamo del multisala e ci prendiamo un gustoso hamburger. guardando la scollatura dacanti e con i bambini che urlano (questo è il corrispettivo di nicola verlato). Per questi motivi il padiglione italia rimane spuntato rispetto una realtà che è ben oltre.

    Ciò detto in controbiennale non si stava meglio. In questo caso Milovan Farronato presenta lo stereotipo di una certa arte contemporanea, giovane colta e modaiola. Non si tratta di ikea, ma ikea evoluta. Le tende, gli obrelli destrutturati, la cornice che proietta fili in terra e lascia il despositarsi di polvere, ecc ecc.

    L’arte se non vuole diventare artigianato e accessorio deve finalmente abbandonare alcuni codici e mettere in discussione alcune convenzioni.

  6. caro Luca Rossi, a dire la verita’anche delle corderie e del padiglione centrale di Birnbaum a me sembrava che non ne rimanesse nulla una volta lasciata la biennale.
    Per motivi diversi forse, ma il nulla.
    E questo e’ sicuramente un grosso problema.
    Se pero’ ti piace il pragmatismo provinciale di Beatrice, come fai a non accettare il padiglione Italia che e’il frutto piu’ importante e coerente della sua attitudine?
    Anche l’atteggiamento di Beatrice mi sembra piuttosto contraddittorio: l’Italia provinciale e’ il meglio che si possa godere su questa terra ( buon cibo, bei vestiti, buon vino) ma poi e’ Vezzoli il suo preferito, l’internazionalismo dello star system fatta persona.
    Sembra che il modello provinciale sia, in fondo, il risultato di una rinuncia.

  7. c’è un equivoco di fondo, secondo me, che traspare dalle dichiarazioni di Luca.
    Beatrice crede che: “l’arte è di tutti ed è per tutti!”.
    Io non faccio parte di nessuna elite intellettuale classista et aristocratica come ce ne sono tante in Italia e all’estero; però credo che l’arte è sì di tutti, ma non per tutti!

    Non sò cosa pensare dell’atteggiamento e delle parole e degli scritti del nostro critico nostrano; del suo revisionismo…che, come dice bene il titolo dell’intervista, visti i presupposti, non può che esser debole e, mi permetto di aggiungere, poco o per niente costruttivo et fertile.

    Se Beatrice fosse della generazione dei Celant e dei Bonito si potrebbe giustificare la condotta “astiosa” et “livorosa” col fatto che lui non ce l’ha fatta, ovvero non è riuscito a imporre ed a imporsi come invece gli illustri colleghi hanno saputo magistralmente fare.
    Invece Beatrice ha la fortuna (o sfortuna, a seconda da dove si guarda) di vivere un momento storico “molliccio”, dove, per esempio, i “gruppi” e le “confraternite” sono tabù.
    Che senso ha parlare e scrivere dell’oggi solo come “reazione” a quegli anni e a quegli artisti “irripetibili”?

    Caro Luca, quando scrivi, ti dovresti premurare di analizzare “oggettivamente” i fatti artistici, non esagerare in “parallelismi” interdisciplinari -che va a finire che si argomenta di tutto un po’ ma non si snocciola un bel niente- e, nelle pubbliche dichiarazioni, permettimi, ci vorrebbe giusto qualche dose in meno di cazzeggio strafottente da salottino di potere.

    un caro saluto.
    Paolino

  8. Luca Beatrice:”sotto i governi conservatori la cultura ha dato il meglio di sé”.
    E chissa’ che Capolavori con la Dittatura!
    il tutto allietato dai sonetti di Bondi e dal ciufolo di checco zalone.
    Annamo beenee!

    carlo vanoni che bell’uomo, educato! niente a che vedere con la supponenza di beatrice.

  9. per quanto siamo diversi luca rossi a commentare, non vedo contraddizioni. I presupposti teorici di beatrice sono anche condivisibili, ma poi questi non trovano un controaltare nella proposta-mostra. E anche la biennale di birnbaum aveva grandi momenti di vuoto ma poi poteva sostenersi con alcuni artisti consolidati e alcuni-pochi picchi di opere…lasciamo stare il format biennale: titolo strainclusivo (fare mondi), selezione alla benemeglio (con artisti italiani avanzati timidamente dal sistema) e decine e decine di opere….mha….

    Io credo che szeman (o come si scrive) avesse avuto un intuizione, bonami l’ha esagerata incasinandola e poi tutti dietro…poi è chiaro che alla biennale ci si va, anche la crisi può favorire eventi del genere, anche un buon marketing…ecc ecc

    Io penso che si debba innovare il format di certe mostre. Poi se ce la cantiamo e ce la suoniamo tutto andrà sempre bene…

  10. Il tono della maggior parte dei commenti conferma la mia tesi che asserisce come Beatrice sia null’altro che il lato speculare del sistema. Si tratta di un personaggio che ha avuto una fortuna enorme nella sua vita. Negli anni ’90 (nel decennio precedente era assente dalla scena anche se c’è chi ha pensato ad inventargli un curriculum inesistente vedi Artegiovane)è stato supportato da varie gallerie tra cui ha spiccato In Arco di Bertaccini con stampa di cataloghi e pubblicità su Flash Art che gli ha dato visibilità. In quel periodo gettava strali contro la politica e chi lavorava con le istituzioni pubbliche salvo poi nel decennio successivo inventarsi uomo di centro-destra, amico di Bondi e nemico dell’Arte Povera, lui che con l’ideologia centra come i cavoli a merenda. Speriamo che il futuro sia meno propizio, professionalmente parlando, per questo incoerente ed opportunista individuo

  11. “Aria permettendo”
    “Disgressione: come sempre, la galleria pienissima di pubblico ha accolto, accanto agli addetti ai lavori, un’enormità di presenzialisti mondani. Tra la folla, un burlone (uno o più d’uno?) ha pensato bene di ammorbare l’ambiente, che si supponeva profumatissimo, con maleodoranti fialette – tipologia da Carnevale – in segno di critica: all’arte dell’artista o proprio all’artista? Più probabilmente in spregio al gallerista, a un certo potere mediatico, al Sistema…: comunque, contro qualcosa… Molti hanno pensato – sbagliano clamorosamente: Vezzoli non olet! – facesse parte dell’opera dell’artista; io l’ho intesa come azione di futuristica memoria. Perfetta. Come il lavoro di Vezzoli”.
    Da venerdì 6 febbraio 2009 ore 18.30, e sino a al 21 marzo 2009, da Gagosian, Via Francesco Crispi 16 a Roma. Info: 0642746429, roma@gagosian.com; http://www.gagosian.com
    Barbara Martusciello
    Art a part 5 Febbraio 2009

  12. Nel teatrino politico italiano si balla solo l’arte delle poltrone. Il materiale scenico è il degrado morale nel quale è immerso il sistema dell’arte. I protagonisti sono sempre i soliti curatori, critici, galleristi, mercanti. Un teatrino dove troneggia il vuoto di idee.I meritevoli sono relegati ai margini o più o meno esclusi. Compito essenziale di questi protagonisti di turno, nominati dal trend politico è la costruzione di un sistema di orientamento culturale che produca consenso. Un sistema clientelare utile, politicamente regolato, monotono e ripetitivo che raccoglie consensi nella cerchia ristretta degli addetti ai lavori, dove vengono premiati progetti curatoriali e artisti spesso omologati a codici linguistici di marketing o materiali convenzionali, non destabilizzanti al suo interno, ma funzionali alle necessità del mercato.

  13. Cos’è l’arte contemporanea se non stravolgere anche in modo incoerente lo stato precedente? Per fare pensare, riflettere…
    Chi difende con i denti l’arte povera e i suoi figliocci fa ormai la figura del conservatore rincoglionito. Con questa biennale Beatrice crea scandalo, stupore, rabbia in tutto l’ambientino neo accademico. Questo risultato è già un grande successo.

  14. Ma quale rabbia…io sono stato in prima fila e ho pagato le conseguenze nel contrastare Arte Povera e derivati come statico sistema di potere ma attaccarne il ruolo e la necessità storica è una banale provocazione. Quanto alla Biennale l’unico scandalo è stato l’osceno allestimento

  15. Cosa aveva poi di “osceno” quel allestimento?
    Era tutto chiaro, ben disposto e ben illuminato.
    C’è gente che vuole affogare il cane accusandolo di avere la rabbia. è stato il contenuto a mandare giù di testa la nomenclatura artistica imperante ed intollerante. Il giocattolo gli è stato tolto di mano e sarebbero pronti ad uccidere pure di riprenderselo.

  16. è vero, la pittura è underground nel senso che molti la vorrebbero vedere sotto terra, e quando la vedono appesa alla biennale gli fa venire i vermi. Io spero che con i tagli si farà sparire questi snob dell’arte “internazionale”. Hanno rotto le balle con le loro stron… Cattelan deve rimanere a New York, hanno bisogno di lui per ridere e tirarsi su il morale.

  17. Caro X, non ne fai parte e ti dispiace. Sei uno di quelle numerose vittime del sistema. Sei formattato, convinto e senza sbocco, senza futuro.

  18. deregulation mollala li, io sono orgoglioso di non fare parte di un certo sistema e ti assicuro che gli spazi per lavorare non mi mancano..comunque vedo che gli amichetti di Beatrice si sono mobilitati

  19. Il padiglione italia doveva essere ben digeribile come una nuova ala dell’ikea. Questo non è scandalo perchè potete vedere lo stesso tenore di cose ogni giorno all’ikea appunto. Si tratta solo di un’opportunità mancata; era pop e piaceva al ministro e al popolo che ogni giorno deve combattere contro problemini ben più grandi. Rifletteva sicuramente una temperatura italiana. Ma io non ne andrei fiero francamente.

    Prendiamo le foto di Basilè; si tratta di foto di scena di un film, forse interessante. La realtà, ma anche solo il cinema, è cento volte più avanti della biennale di beatrice. Vezzoli gli fa bene a piacere (vedi trailer caligula ecc) ma evidentemente a vezzoli non piace beatrice visto che nel padiglione italia non c’era.

    La prima regola dell’artista che nasce oggi è imparare a non fare l’artista; alcuni codici e ruoli sono totalmente spuntati perchè la realtà ne possiede già gli anticorpi. E poi anche questo narcisismo; a mio parere si deve diventare più lateriali, ma non necessariamente meno pop…

  20. Caro Luca Rossi, da quando hai scoperto l’ikea la citi una frase su due. Sbagli pure il riferimento visto che l’ikea stilisticamente s’ispira più all’arte povera e minimal che al semi barocco di Beatrice. Vezzoli alla biennale si era già visto, cosa chiedi? Di vedere i soliti 3 noti coccolati dalla nomenclatura ad ogni biennale? A dire il vero non se ne può più di quella cricca snob che ha come unico obbiettivo di fare parte del gruppo “international”. Non vi vogliono, all’estero nessuno vi caga. Smettetela di volere fare gli americani, all’estero tutti ridono di voi.

  21. Io a questo punto chiudo con le repliche.Noto solo che è impossibile sviluppare una polemica magari serrata ma corretta. Intervengono subito cialtroni come quelli le cui prodezze verbali si possono leggere più sotto. Ho già fatto notare e lo faccio di nuovo agli amici di Exibart che commenti che scadono nel gratuito insulto forse andrebbero meglio monitorati considerato che a me sono stati censurati interventi assolutamente privi di queste odiose caratteristiche

  22. Ikea per intenderci, perchè non ci vedi delle belle serigrafie alla basiilè?
    o l’unicorno di svarosky, o una bella paretina in salotto con gli immaginari ci Costa…..?

    Ma ti assicuro che la cosa non è del tutto negativa (brivido) rispetto certa arte pretenziosa (peccato che spesso lo sia anche il padiglione di beatrice) di quella cricca di cui parli…

    La cricca di cui parli (penso all’80% di moussocope, all’internazionalismo di viafarini a cui basta invitare IN RESIDENZA due artisti con passaporto britannico o messicano per sentirsi coool, ecc) cercando di essere quello che non è, finisce per diventare una copia sbiadita dell’originale, diventando poco appetibile per lo stesso sistema a cui aspira….

    Recentemente sono stati tutti invitati alla fiera del no profit alla tate modern…giustamente…vuoi lasciare fuori l’italia? (organizzavano pure degli italiani)…ma questa cricca italiana cos’è se non una copia omologata a decine e decine di spazi no profit nel mondo, spesso migliori e meglio supportati?

    Ciò detto esiste anche un problema identitario del no profit, che sembra tanto un termine per riempirsi la bocca quando le aspirazioni e i contenuti sono i medesimi del profit…

  23. Basta ergersi a paladini e riempirsi la bocca di no profit, che il pranzo e la cena tutti la fanno, e tutti vogliono magna”
    “esiste anche un problema identitario del no profit, che sembra tanto un termine per riempirsi la bocca quando le aspirazioni e i contenuti sono i medesimi del profit…”
    quoto appieno! basta con l’ipocrisia,

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