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1968-2024: dal primo viaggio di Maria Lai in America a “Maria Lai. A Journey to America”

di - 4 Novembre 2024

«Maria Lai. A Journey to America esplora il percorso creativo e personale di Maria Lai, con la Sardegna come punto di ancoraggio e fonte inesauribile di ispirazione», parola di Paola Mura, direttrice artistica di Magazzino e curatrice della mostra che ci accompagna alla sorpresa e alla scoperta della prima retrospettiva negli Stati Uniti dedicata a Maria Lai. «Da queste radici profonde – prosegue – Lai ha espanso la sua ricerca artistica, intrecciando le tradizioni sarde con i principi dell’Arte Povera. In questo processo, si è confrontata con i dibattiti culturali e sociali del suo tempo, accogliendo le influenze degli artisti e degli scrittori americani che ammirava. Queste combinazioni uniche fanno di Maria Lai un’artista straordinariamente attuale in un mondo in cui la fusione di tradizioni storiche, filosofie diverse e immagini contrastanti è parte integrante della nostra quotidianità. Sono profondamente orgogliosa di presentare la prima retrospettiva statunitense del suo lavoro a Magazzino Italian Art, dove l’eccezionale collezione di Arte Povera del museo offrirà il contesto ideale per valorizzare il contributo unico di Maria Lai».

Maria Lai, Veduta di Cagliari, 1952. China acquarellata, 34 x 102 cm. Magazzino Italian Art Foundation. Photo by Marco Anelli. © Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)

La storia di Maria Lai attraversa un secolo di conflitti e contraddizioni, che l’artista ha affrontato con il coraggio e la determinazione necessari per affermarsi in un mondo prettamente maschile. La sua è una ricerca artistica segnata da difficoltà e ostacoli in cui, con un’originalità assoluta, ha sempre cercato e trovato una propria dimensione autonoma, spesso al prezzo di un lungo isolamento e di una problematica alterità. Nel 1945 Lai inizia a creare disegni a matita, inchiostro e acquerello (in mostra Veduta di Cagliari, 1952, MIA; Ritratto di Salvatore Cambosu, 1952, Collezioni civiche di Cagliari); nel 1956 si trasferisce a Roma, dove il suo lavoro si evolve anche grazie al confronto con gli artisti dell’Arte Povera, ma è alla fine del decennio che la sua produzione subisce una trasformazione significativa: il realismo che aveva caratterizzato le opere degli anni precedenti evolve in uno stile più essenziale, dove la sintesi poetica diventa sempre più marcata. Maria Lai. A Journey to America – che narra la sua storia evidenziando la portata innovativa di questo viaggio, nello spazio, nel tempo e nell’arte, che muove dalla Sardegna, per allontanarsene e poi di nuovo tornare, e che si apre con una rassegna delle opere che indagano il paesaggio e la cultura sarda – testimonia questo cambiamento con opere come Ovile (1959) della collezione del MAN di Nuoro e Gregge di pecore (1959) del Consiglio Regionale della Sardegna, dove la semplicità formale si intreccia con una profonda tensione narrativa.

Maria Lai, Ovile, 1959. Mixed media on canvas, 50 x 70 cm. MAN – Museo d’arte della provincia di Nuoro. Photo by Confinivisivi, Pierluigi Dessì. © Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)
Maria Lai, Notturno n.2, 1968. Oil or acrylic, mixed media on linen, 15 x 15 cm. Private Collection. Photo by Richard-Max Tremblay. Courtesy ©Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)

Lai, innamorata della poesia di Walt Whitman e conoscitrice della pittura di Jackson Pollock e Robert Rauschenberg, decide di visitare per la prima volta l’America nella primavera del 1968. Nel frattempo si era lasciata alle spalle la figurazione per abbracciare l’astrazione e si era allontanata dalla pittura e dal disegno per orientarsi verso una ricerca più radicale, con cui diede vita a un linguaggio artistico innovativo. Di ritorno dagli Stati Uniti, dove si spinge fino all’Ontario sviluppando un forte interesse per le culture visive dei nativi americani, Lai trova il coraggio di presentare i risultati delle sue sperimentazioni alla Biennale di Bolzano nel 1969 e alla Galleria Schneider di Roma nel 1971: qui, nel mentre dava vita alla serie forse più nota nella sua produzione, ispirata agli strumenti utilizzati storicamente dalle donne della Sardegna per creare oggetti quotidiani, tappeti, tele di corredo, spesso di elevato valore estetico, presenta per la prima volta i suoi Telai – di cui Maria Lai. A Journey to America ospita alcuni esemplari come Telaio (1965) dei Musei Civici di Cagliari, Telaio del Mattino (1969) della Collezione d’Arte della Fondazione di Sardegna, il Telaio in sole e mare (1971) e il telaio Senza titolo (1975), mai esposto finora, di MIA.

Maria Lai, Telaio in sole e mare, 1971. Nails, wood, twine, tempera, 72 x 152 x 15 cm. Magazzino Italian Art Foundation. Photo by Marco Anelli. Courtesy ©Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)
Maria Lai, Tenendo per mano l’ombra, 1987. Cotton, linen, tread, 38 x 28 x 5 cm. Magazzino Italian Art Foundation. Photo by Marco Anelli. Courtesy ©Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)

Periodicamente, nel corso di una vita votata alla sperimentazione – ai Telai seguono le Tele cucite e le Geografie, poi i Libri cuciti asemantici (in mostra Non era un sogno, 1979, di MIA) e le Fiabe cucite (in mostra Tenendo per mano l’ombra, 1987, MIA e Maria Pietra, 1994, collezione privata) che riflettono la sua fascinazione per le leggende, i sogni e gli archetipi, temi ricorrenti nella sua opera – Maria Lai torna nella sua isola e nel suo villaggio natale, dove intraprende la prima incursione italiana in quella che oggi è conosciuta come arte relazionale. Nel 1981, coinvolgendo gli abitanti del villaggio di Ulassai e collegando gli edifici del paese tra di loro e con la montagna, utilizzando 26 chilometri di un nastro azzurro di tela jeans, realizza una delle sue opere più significative, Legarsi alla montagna. Di questo evento unico, di cui la mostra presenta il video realizzato da Tonino Casula e le fotografie di Pietro Berengo Gardin con interventi di Maria Lai, Filippo Menna nel 1982 scrisse «Forse che il grande sogno ad occhi aperti dell’arte moderna di cambiare la vita si è realizzato, sia pure una volta soltanto, proprio qui, in questo luogo lontano dove i nomi prestigiosi dell’avanguardia artistica non sono altro che nomi? Credo di sì: qui, l’arte è riuscita là dove religione e politica non erano riuscite a fare altrettanto. Ma c’è voluta la capacità di ascolto di Maria Lai che ha saputo restituire la parola a un intero paese e rendersi partecipe della memoria e dei fantasmi della gente comune, aiutandola a liberarsi della parte distruttiva di sé e ad aprirsi con disponibilità nuova al colloquio e alla solidarietà».

Maria Lai, Voce di infinite letture, 1992. Cotton thread, ink, canvas, 25 x 16 x 5 cm. Magazzino Italian Art Foundation. Photo by Marco Anelli © Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)

«Lasciai a ciascuno la scelta di come legarsi al proprio vicino. E così dove non c’era amicizia il nastro passava teso e dritto nel rispetto delle parti, dove l’amicizia c’era invece si faceva un nodo simbolico. Dove c’era un legame d’amore veniva fatto un fiocco e al nastro legati anche dei pani tipici detti su pani pintau» spiegò Maria Lai, che con Legarsi alla montagna liberò la consapevolezza del valore terapeutico dell’arte e della cognizione profonda che è questo un canale per stringere legami e per riflettere sull’uomo e sul mondo. Così facendo Lai aveva tolto il velo a tutti i significati dell’essere comunità e del vivere collettivo. Il suo intervento risuona nelle parole di Adam Sheffer, direttore di Magazzino, che afferma che «Proprio come Maria Lai ha creato un ponte tra luoghi e culture nella sua arte, e nella sua iniziativa più celebre ha letteralmente legato un villaggio per unire la sua gente, così Magazzino crea un luogo singolare dove i visitatori possono incontrare la più grande arte dell’Italia del dopoguerra. Siamo eccezionalmente orgogliosi di poter offrire al nostro pubblico un’esperienza più ampia dell’arte italiana contemporanea, proponendo la prima retrospettiva nordamericana di questa straordinaria artista».

Maria Lai, Li trammi, 2006. Mixed media, 80 x 80 x 10 cm. Magazzino Italian Art Foundation. Photo by Marco Anelli. ©Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)

Maria Lai. A Journey to America accoglie anche i lavori successivi al suo ritorno in Sardegna negli anni ’90 e il ricorrente rapporto con l’America di Maria Lai, confermato negli anni ‘70, dalla partecipazione alla collettiva, From Page to Space: Women in the Italian Avant-Garde between Language and Image, tenutasi nel 1979 presso il Center for Italian Studies della Columbia University di New York e curata da Bentivoglio. Non manca, infine, un focus sull’ultima azione collettiva di Lai, Essere è tessere, realizzata nel 2008 nella cittadina sarda di Aggius, nota per la sua tradizione tessile. In quest’occasione, Maria Lai, quasi novantenne, ha voluto che l’azione collettiva e la creazione di una serie di opere tessili fosse accompagnata da letture di versi di Walt Whitman.

«Quando ci siamo imbattuti nel lavoro di Maria Lai, tre decenni fa, abbiamo capito subito che era essenziale per lo sviluppo dell’Arte Povera. Eppure, il suo ruolo è ancora poco riconosciuto. Impareggiabile tra i suoi colleghi nel perseguire una visione singolare, Lai ha portato avanti il suo mestiere con ingegno e determinazione», dichiarano Nancy Olnick e Giorgio Spanu. Maria Lai. A Journey to America non è solo una retrospettiva: è l’occasione per il pubblico americano di conoscere quell’artista che fu sempre capace di vedere nuovi mondi e modi di pensare.

Maria Lai, Fili di vela spaziale, 2007. Nails, wood, thread, tempera, velvet, 186 x 88 x 4.5 cm. Magazzino Italian Art Foundation. Photo by Marco Anelli. © Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)
Nancy Olnick and Giorgio Spanu. Garrison, August 2018. Ph. Marco Anelli

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