Aprirà al pubblico ufficialmente il prossimo 5 novembre (visite su prenotazione) ma oggi, con una anteprima stampa, si è potuto visitare l’appartamento-studio di Carol Rama (1918-2015, Torino) di via Napione 15, zona Vanchiglia a Torino, nel quale l’artista ha vissuto dagli anni Quaranta fino alla sua scomparsa nel 2015.
Al di là di comunicati stampa e notizie ufficiali, oggi mi affido un po’ al sentimento, perché ho avuto la fortuna di poter entrare nell’abitazione durante la settimana di Artissima nel 2016, anno in cui l’immobile è stato vincolato dalla Soprintendenza come studio d’artista.
Allora mi ero chiesto se lei, Carol Rama, da poco scomparsa, sarebbe stata d’accordo nel far entrare gruppi di estranei nel suo privatissimo regno; mi sono chiesto se gli occhi degli “spettatori” in cerca di un tesoro, di un’emozione, guardinghi e guardoni, non avrebbero appannato la magia di questo luogo.
Avevo cercato di rispondermi con le stesse parole dell’artista, quando nel 2011 in una intervista con Barbara Codogno affermava che “la bellezza è vicina all’intelligenza, e se non è vicino allora va bene per una foto”.
Coloro che guarderanno questo tesoro di cui oggi si arricchisce ulteriormente Torino dovrebbero tenere conto di questa affermazione.
A casa di Carol Rama, allora, non ci permisero di scattare foto. Ne scattai una io di straforo, non all’ambiente ma dalla finestra della cucina, inquadratura perfetta sulla Mole Antonelliana, l’unico quadro disponibile in un ambiente che è un’opera: un bricolage – come definiva la sua produzione in “tecnica mista” fatta di colori, unghie e occhi di vetro – l’amico Edoardo Sanguineti.
Uno scrigno del quale non mi voglio immaginare migliaia di hashtag #acasadicarol, come se fossero le stanze di una bambola-icona-feticcio.
Pensavo, e penso ancora, che non ho mai conosciuto Carol Rama. Uno dei pochi casi in cui avrei voluto il contrario, quantomeno per scoprire dal vivo quella sua irriverenza, quell’aria ironica che si può riservare solo alle questioni importanti e che lei raccontava con apparente noncuranza.
Ho sempre amato Carol Rama perché non sono mai riuscito perfettamente a capire come sia riuscita a passare dai corpi delle installazioni realizzate con le camere d’aria per le ruote di bicicletta alle Dorine sanguinanti ed erotiche all’Arte Concreta ma, forse, come diceva lei stessa, era questione di talento. Che fa rima con impegno e costanza.
Lo stesso talento che c’è nel vivere osando, sempre. Vi ricordate l’ormai vecchio episodio del 2006, quando Carol aveva posato nuda per l’amico fotografo Dino Pedriali (che aveva ritratto tra l’altro anche Pasolini e Man Ray) e subito le fotografie furono bandite, giudicate oscene come lo furono le sue figure nude negli anni ’40, e lei interdetta dal tribunale?
Una storia scomoda, come era scomoda la vecchiaia per Carol (ancora nell’intervista di Barbara Codogno) che finì con la restituzione dei negativi e due gradi di giudizio che indicarono che, quando vennero scattate le fotografie, l’artista era “priva delle necessarie capacità di prestare validamente il consenso”.
Ecco, credo che bisognerebbe entrare nell’appartamento con la consapevolezza di non essere in un territorio incantato e incantevole ma dove ogni cosa, ogni immagine, ogni taccuino, ogni cuscino, ogni parete, ogni specchio continua a bruciare e a riflettere il fuoco di Carol Rama.
Il fuoco di una vita, e non di una serie di immagini. In barba a chi oggi vuole renderla un “originale” episodio dell’arte, per renderne mansueta la libertà, in barba all’alta borghesia e al pensiero debole, e in barba agli instagramers che cercheranno l’angolo giusto per una foto. Dimenticando l’intelligenza.
L’appartamento, insieme a tutto ciò che contiene, è oggi affidato in comodato all’Archivio Carol Rama grazie alla Fondazione Sardi per l’Arte, che lo ha acquisito nel corso del 2019.
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