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Agostino Bonalumi: si apre il sipario del Teatro delle Forze
Opening
«L’interazione tra le arti deve essere di sperimentazione, lavorando nello stesso laboratorio: nel nostro caso, i percorsi, i metodi di strutturazione, la formazione e l’immaginazione del pittore e del musicista che si incontrano nella pratica», sosteneva con consuetudine Agostino Bonalumi.
Nel decimo anniversario dalla sua scomparsa, nel grande fermento che Artissima porta in città di Torino, Mazzoleni dedica al maestro Bonalumi una grande retrospettiva, a cura di Marco Scotini, che unisce una ricca selezione di opere plastiche e tridimensionali di grandi dimensioni, insieme a una serie di documenti e bozzetti originali, grazie alla collaborazione con l’Archivio Bonalumi di Milano, la Fondazione Cini di Venezia e ai prestiti dell’Archivio Storico del Teatro dell’Opera di Roma e della Fondazione Egri per la Danza di Torino.
Il titolo della mostra, Il Teatro delle Forze, fa riferimento alla macchina teatrale come suo oggetto – da un lato, così come – dall’altro – allude alle forze plastiche che ogni lavoro di Bonalumi esibisce e formalizza. Parlandone con il curatore, ecco cosa emerge: «Il Teatro delle Forze nasce dalla presenza in mostra di due azioni coreografiche, messe in scena per il Teatro Romano di Verona e per il Teatro dell’Opera di Roma. Si tratta, di fatto, di un teatro delle forze perché attraverso queste due opere, realizzate nell’arco temporale di tre anni, tra il ’70 e il ’73, si intende leggere o rileggere il rapporto di Agostino Bonalumi con la propria opera. Credo che dietro ogni tela, e sopra ognuna di essa non ci siano soltanto segni quanto delle forze, questo significa che ogni opera – sia essa nel formato del quadro, della scultura o dell’environment – abbia sempre una dimensione performativa, intendendo con questo termine la presenza di un’estroflessione, di un pieno e un vuoto, tra situazioni differenti che sono messe in atto».
Dalla dialettica tra pressioni interne di un corpo e resistenze o sollecitazioni esterne che la superficie della tela oppone a tali tensioni è nata ogni opera di Bonalumi, fin dal principio, quando era già presente una forza che dall’interno dell’opera preme estroflettendo la superficie, distribuendosi in una spinta disuguale. Non segni, dunque, ma forze, non rappresentazioni ma grandezze fisiche. Già nel 1967, di fatto, l’ambiente Blu abitabile e Ambiente bianco, segnano non solo uno spostamento dimensionale dell’opera dell’artista, ma anche un cambio paradigmatico nella spazialità in cui si trova immesso il fruitore.
Così anche i grandi volumi in fiberglass dalle silhouette nette e taglienti presentati nella mostra alla Galleria del Naviglio nel 1969, Vorrei incontrare gli architetti, Grande Nero per il Museum am Ostwall di Dortmund, e ancora la sala per la Biennale di Venezia del 1970 con l’indimenticabile Struttura modulare bianca: sono tutte esperienze plastiche che confluiranno nella definizione scenica, spaziale e drammaturgica di Partita e di Rot, molte delle quali sono riallestite nella mostra torinese.
Teatro è, dunque, solo e sempre lì dove c’è una cosa e il suo opposto, due entità, o due maschere, in conflitto. Per questo, all’inizio degli anni Settanta, i due spazi scenici di Partita e di Rot diventano i luoghi per eccellenza della ricerca plastico-dinamica di Bonalumi. Proprio perché vi incontriamo anche forze acustiche, forze coreografiche, luministiche che entrano in un rapporto di mutua dipendenza e simultaneità con quelle plastiche e cromatiche delle sculture dell’artista. Ma questi grandi spazi scenici sono anche un osservatorio privilegiato per valutare lo spostamento di Bonalumi dalla pittura-oggetto all’ambiente plastico, così come sono stati definiti dalla letteratura critica sull’autore.
Al centro dell’opera di Agostino Bonalumi, ci sono pressioni, intensità, spinte: forze fisiche dunque, simili ai movimenti del corpo umano danzante. E dunque, su il sipario, le forze sono all’opera.