Da oggi al 20 aprile Dust of Dreams è al Palazzo Ducale di Genova, un’installazione cross-disciplinare che esplora la vita onirica delle persone attraverso i linguaggi delle arti visive, della musica, della performance e della video arte: «i sogni trascendono le culture di appartenenza di chi li esperisce: alcuni topos si ripresentano identici in ogni popolazione e angolo della terra, rivelando un linguaggio universale dell’inconscio». Dust of Dreams, promossa da AlbumArte, e ideata da Eva Frapiccini,partirà da Genova, dove saranno attivate delle iniziative di produzione partecipata: la registrazione dei sogni, invitando i cittadini ad entrare nell’installazione della Dreams’ Time Capsule presso il Cortile Maggiore di Palazzo Ducale; (dal 16 al 20 Aprile 2022) e un ciclo di workshop sul video e la sartoriafinalizzati alla co-creazione di materiali video per l’opera conclusiva. I workshop si terranno in collaborazione con il Comune di Genova negli spazi di Sala Dogana e l’Associazione Limone Lunare, nei mesi di aprile e maggio e saranno destinati a partecipanti selezionati tramite open call, con una restituzione pubblica in Sala Dogana il 2 maggio.
Nella giornata del 3 Giugno, è invece prevista la première dell’opera multimediale presso Porta Siberia, al Porto Antico di Genova,come anteprima del festival Electropark 2022. L’opera sarà fruibile anche nelle giornate del 4 e del 5 giugno, con repliche della performance in orario pomeridiano.
A Torino lo spettacolo sarà ospitato presso gli spazi del Polo del ‘900, e sarà parte della programmazione del Festival di teatro danza Interplay 2022, per tornare a Genova dopo l’estate, il 24 settembre presso il Teatro del Ponente all’interno dell’ottava edizione del Festival “Resistere e Creare” del Teatro della Tosse e nell’ambito della programmazione multidisciplinare di Electropark 2022.
Abbiamo parlato di tutto questo con Eva Frapiccini, ideatrice del progetto, e Cristina Cobianchi, project manager di AlbumArte.
Come è nato il progetto cross-disciplinare di Dust of Dreams?
Cristina Cobianchi: «“Dust of Dreams” nasce dall’incontro con la ricerca di Eva Frapiccini, che seguo da tempo e di cui avrei voluto produrre un nuovo progetto. L’occasione si è creata con la possibilità di partecipare al bando ART~WAVES. Per la creatività, dall’idea alla scena della Fondazione Compagnia di San Paolo nella linea “Produzioni artistiche”.
Il progetto riesce a superare le categorie tra le arti e tra i contesti culturali e organizzativi, infatti è inserito nelle programmazioni di tre Festival completamente differenti, il Festival di musica elettronicaElectropark, a Genova, il Festival di Teatro Danza Interplay, a Torino, il Festival “Resistere e Creare” organizzato presso il Teatro del Ponente dal Teatro della Tosse di Genova. Il collante tra tutte queste realtà è la sperimentazione estetica e il dialogo tra le arti performative, quelle della video arte e della fotografia. Il connubio è gestito da Eva in relazione a tutte le maestranze che ha scelto per accompagnarla, dalla compositrice Sara Berts, al coreografo Daniele Ninarello, la curatrice Giulia Palomba, i performers Ilaria Quaglia, Valerie Tameu, Giacomo Arrigoni Gilaberte, la montatrice Ylenia Busolli, la costumista Daniela Di Blasio del Teatro della Tosse e molti altri. Siamo molto soddisfatte della sinergia con i nostri partner: Forevergreen nell’ambito di Electropark 2022, Mosaico Danza di Torino, Palazzo Ducale Fondazione per la cultura, Genova, Polo del ‘900 di Torino, Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, Comune di Genova – Sala Dogana, l’Associazione Il Limone Lunare di Genova, Associazione CodedUomo e Porto Antico di Genova S.p.a.».
L’installazione cross-disciplinare di Dust of Dreams parte da un archivio audio analizzato da una data analyst e sulla sua lettura poggiano una struttura sonora e una visiva. Quali discipline sono coinvolte e come è avvenuto il processo di elaborazione del lavoro?
Eva Frapiccini: «C’è una stretta relazione e un equilibrio tra performance, tecniche multimediali e video arte. I video appaiono su quattro schermi la cui sequenza, alternanza e sincronia è gestita da un software. Ho deciso di lavorare anche sul tempo di visione, stop motion, rallentamento o velocizzazione dell’immagine, perché il tempo nei sogni non corrisponde a quello della realtà. Lavorare sulla percezione del tempo, significa rendere anche una distorsione del reale. C’è la musica elettronica di Sara Berts, e ci sono gli audio dell’archivio che si fondono con essa.
La struttura sonora, performativa e visiva si incontrano nelle narrazioni registrate e raccolte nell’archivio, come si sposano le poetiche dei vari artisti coinvolti e si è arrivati al campo comune. Ci sono centinaia di ore di audio che sono state trascritte e poi setacciate da un software che realizzava un’analisi quantitativa delle parole ricorrenti, e poi qualitativa del loro peso o senso nel contesto del racconto. Questo era facile in lingue classiche come il francese, inglese, italiano, meno facile con arabo, cinese, russo. Per questo mi sono dovuta appoggiare a traduttori, che anche negli anni hanno lavorato a questo esercizio di comprensione. In seguito, è arrivata l’individuazione dei simboli e azioni ricorrenti come il volare, correre, o la spiaggia, il fiume, la notte. Da questo è emerso che molte situazioni anche peculiari ritornano da persone che vivono in Bahrein o in Colombia. Per esempio, perdere i denti, essere a scuola, ma anche essere incinta o far nascere un bambino deforme. Quello che mi attrae è la differenza tra le culture, che persiste nonostante la globalizzazione, ma anche la forza del racconto, la proiezione immaginifica, come uno scarto della normale sfera onirica. Questo aspetto di connessione tra le menti, come una mente collettiva sottende il lavoro di coreografia di Daniele Ninarello, che ci ha accomunato nel pensare la drammaturgia della performance. Ora stiamo lavorando al rapporto tra l’installazione multimediale e il movimento dei corpi, perché ci sia un buon equilibrio. É un gioco di spazio da dosare con cura, nei movimenti delle immagini e quello dei corpi. In questo ci aiutano le bellissime musiche di Sara, che portano verso scenari neutri e intensi al tempo stesso, sono sospese come un cielo stellato, sotto il quale tutto può avvenire. Con Sara stiamo tornando a montare gli effetti sonori nei momenti di sincronia tra gli schermi, e la performance sarà sicuramente influenzata anche da questi, quindi nessuna delle discipline coinvolte si muove in autonomia rispetto alle altre. E si presuppone un tornare indietro in più fasi, per ascoltare l’altro processo e poi andare avanti verso un’armonia del lavoro. Il mio ruolo è quello di portare tutti, anche il designer degli schermi Michele Tavano verso un terreno comune, e ovviamente scegliere la direzione, ma non sarebbe possibile senza la qualità del lavoro di tutti che è fonte di ispirazione tra di noi».
In Dust of Dreams assume un ruolo rilevante il concetto di archivio, sia come elemento di partenza che, in parte, di sviluppo. Su quale visione di archivio e del suo rapporto con la produzione artistica avete lavorato?
Eva Frapiccini: «Volevo riattivare l’archivio dei sogni, perché, essendo sonoro, lo sento come vivo, e l’installazione multimediale mi sembrava la forma migliore per dare voce a migliaia di sogni raccolti, immagini, simboli ricorrenti. Molto ha influito la natura rizomatica dell’archivio stesso, che mi ha portato a immaginare un’installazione multimediale di questo tipo, e a sperimentare sistemi di programmazione algoritmica. All’interno di una stessa cartella di raccolta, per esempio gli audio raccolti al Cairo nel 2012, o a Berlino nel 2021, si possono trovare lingue, età, nazionalità, contenuti diversissimi tra di loro. Molti sono dettati dal contesto storico della registrazione (quelli raccolti nel Regno Unito durante il referendum sulla Brexit, mostrano un ricorrente ritorno della parola anxiety, o gli audio registrati durante la settimana delle elezioni al Cairo, riportano alcuni riferimenti alla libertà e speranza di quei giorni). Ma molti non sono legati al momento storico. Questo porta ad una molteplicità di visioni, suoni, toni, respiri e soprattutto emozioni diverse. Se non fosse stato sonoro non sarebbe successo questo. Il suono della voce ha la forza incredibile di proiettare in una realtà parallela, senza coordinate di spazio o tempo. Questo ha facilitato la riattivazione di molte immagini presenti nelle narrazioni, e di coglierne il potenziale oggi».
Quale relazione stabilisce il progetto con le città che lo ospitano, Genova a Torino? A Genova ci saranno una serie di iniziative partecipate. Quali saranno le possibilità per il pubblico?
Eva Frapiccini: «La novità di questo progetto è anche il modello scelto come metodologia produttiva, l’insieme dei laboratori di video e sartoria sociale, organizzati per produrre e includere un pubblico più vasto sul territorio di destinazione della prima fase del progetto, Genova. In ogni sede il progetto si modella sullo spazio a disposizione, se con due o quattro schermi, ed anche la performance in base allo spazio. A Genova, insieme a Forevergreen nell’ambito di Electropark abbiamo lanciato una call rivolta sia ad under 35 che ad un pubblico più maturo, per il workshop video gratuito gestito da me e dal collettivo video SqueasyFilm, che si terrà presso la Sala della Dogana, a Palazzo Ducale, in collaborazione con il Comune di Genova. Alla fine del workshop alcuni dei video prodotti saranno inclusi nell’installazione multimediale. Così come gli elementi scenografici che saranno realizzati da donne in stato di fragilità sociale e migranti, nel workshop di sartoria sociale, organizzato da Il Limone Lunare nei suoi spazi genovesi. Infine, il pubblico potrà già durante l’evento partecipativo dal 16 al 20 aprile a Palazzo Ducale, entrare nell’installazione “Dreams’ Time Capsule” e partecipare alla raccolta di sogni, che contribuiranno al progetto. Infine, il 3 Giugno ci sarà la premiere dello spettacolo o opening, che dir si voglia, accessibile liberamente presso la sede di Porta Siberia, presso il Porto di Genova, con due repliche quotidiane della performance.
Su Torino, abbiamo lavorato con il Festival Interplay e l’Associazione Mosaico Danza sin dalla strutturazione del progetto e hanno sposato l’interdisciplinarità della produzione, insieme al Polo del ‘900 che lo accoglierà nella sua sede il 14 Giugno come unica data di visione nel programma del Festival di teatro danza Interplay. Ancora su Torino collaboriamo con CodedUomo che ha gestito e gestirà il workshop di produzione della performance coordinato in due tappe da Daniele Ninarello, tra fine marzo e maggio».
Per AlbumArte, si legge nel comunicato stampa, è un ritorno all’azione nomade. Che cosa significa questo per la ricerca di AlbumArte?
Cristina Cobianchi: «Dopo undici anni di intensa attività nel campo dell’arte contemporanea, come racconta il nostro ultimo corposo libro, “ALL BOOM ARTE Artisti/e italiani/e ad Albumarte 2011-2020” (Ed.Quodlibet, 2021), vincitore dell’ottava edizione dell’Italian Council, AlbumArte attinge all’energia di tutto il lavoro realizzato, delle sinergie che è riuscito a creare e mantenere nel tempo, alla qualità dei progetti svolti, ai riconoscimenti degli artisti e delle artiste che ha scoperto o sostenuto e si trasforma in qualcosa di più incisivo, diventando un Centro di Produzione Artistica Internazionale Indipendente (sempre senza scopo di lucro) e siamo fiere di essere state incluse tra gli ETS (Enti del Terzo Settore). Anche come ETS continueremo a presentare artisti/e italiani/e e
internazionali, collaborando, come in passato, con Istituzioni in Italia e all’estero e continuando a credere che i centri di produzione artistica indipendente siano una preziosa risorsa per la cultura e le comunità. Alcune particolarità significative del nostro nuovo percorso, già si definiscono nella realizzazione di progetti più articolati, con nuovi partner, come prima molto interessanti e sperimentando nuovi itinerari e nuove narrazioni. Stiamo riflettendo con attenzione su nuovi stimoli esterni, che ci portano a pensare che il no profit potrebbe crescere molto anche in Italia e ci stiamo organizzando in modo più strutturato riguardo attività e strategie, allargando la nostra sfera d’azione, come la partecipazione a tre importanti Festival in questo progetto di Eva Frapiccini, un’artista che stimiamo da anni e le sue declinazioni di media differenti.
Ecco come torniamo ad essere fisicamente e spiritualmente nomadi, come eravamo all’inizio del nostro percorso, che iniziò con tanti progetti all’estero, perché anche oggi siamo pronte a vivere nuovi scenari e stimoli diversi. Direi che il grande e complesso progetto “Dust of dreams” rappresenti in pieno questa nuova svolta».
Il progetto, dopo Genova, si sposterà a Torino. Quali saranno le maggiori differenze tra le due tappe?
Cristina Cobianchi: «Cambiano le disposizioni degli schermi, che continuano ad essere quattro, ma creano un rapporto diverso rispetto allo spazio, ai performer e agli spettatori. Le prove coreografiche si svolgeranno a Torino, mentre i laboratori saranno per la maggior parte a Genova, come la raccolta dei sogni a Palazzo Ducale, che a Torino era già stata in passato al Castello di Rivoli. Probabilmente l’installazione video sarà a due schermi al Teatro del Ponente a Settembre 2022, dove il progetto è stato invitato dal teatro della Tosse, questo genererà una sequenza video differente. Pensiamo che “Dust of Dreams” dopo queste prime due tappe, possa continuare a girare in varie declinazioni, abbiamo già avuto inviti interessanti in Italia e all’estero».
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