Al MIC Museo Internazionale della ceramica in Faenza sarà presentata oggi alla stampa “Alfonso Leoni. Genio ribelle”, a cura di Claudia Casali, che con 200 opere costituisce la più estesa antologica mai dedicata al lavoro di Alfonso Leoni (1941, Faenza – 1980, Rimini), scomparso quarant’anni fa.
«Un lungo lavoro di ricerca, a cura di Claudia Casali, in collaborazione con l’Archivio Alfonso Leoni, che raccoglie per la prima volta in una antologica tutto il lavoro dell’artista, con l’obbiettivo di analizzare la ricca e intensa produzione dedita non solo alla ceramica ma anche ai diversi linguaggi della contemporaneità (pittura, grafica, design, scultura)», ha spiegato il museo. «Nonostante Alfonso Leoni abbia vissuto in provincia […] la sua ricerca artistica è costantemente controcorrente, proiettata al nuovo: a scardinare la ceramica da meri aspetti tecnici e funzionali per elevarla a materia scultorea».
«Nella sua pur breve carriera Leoni ha lasciato un’impronta e una eredità fondamentali per tutto il mondo della ceramica faentino e non solo. “Leoni è stato in grado di porre al centro della riflessione la ceramica, come provocazione, come canto fuori dal coro, metafora di cambiamento intellettuale innanzitutto. Egli è ripartito dalla ceramica riconsiderandola dal punto di vista concettuale quale materiale dell’arte contemporanea. Aveva compreso che la ceramica era materia tanto antica quanto attuale”», ha spiegato Claudia Casali.
La mostra sarà aperta al pubblico dal primo ottobre 2020 al 19 gennaio 2021.
«Il MIC è la raccolta più importante al mondo per la materia fittile. Da anni attua una politica di valorizzazione di figure locali di respiro nazionale e, come in questo caso, internazionali. A 40 anni dalla scomparsa e 80 dalla nascita, ci è sembrato opportuno celebrare un talento impetuoso prematuramente scomparso a soli 39 anni, lasciando un’eredità importantissima non solo nel mondo della scultura ceramica. Seppur giovane, è stato un visionario, intuitivo, ricercatore ed estremamente contemporaneo».
«Fu un grande innovatore inserendo nella ceramica le modalità dell’arte contemporanea, una assoluta novità per l’epoca. Egli sperimentò tanti linguaggi, dalla pittura alla scultura, dalla performance al design. Per lui ogni occasione era buona per trovare nuovi percorsi. Una sua celebre frase: «Guardare la ceramica con altri occhi» mette in luce un assioma che lo accompagna tutta la vita. Faenza era una città di antica tradizione ceramica, lui vive un momento di grande fermento in cui esiste ed è vivo il dibattito tra nuovo e tradizione, in cui si iniziano a sperimentare nuove soluzioni anche per il design. Leoni mette in discussione certe modalità, soprattutto dei concorsi internazionali a cui partecipa, certe scelte critiche, museali ed espositive, in questo legandosi alla linea dell’arte partecipativa che Enrico Crispolti stava portando avanti ad esempio a Gubbio.
«Crispolti trovò in Leoni il portavoce artistico delle sue teorie. Egli stava portando avanti un discorso molto nuovo e interessante sull’arte di comunità, che si sviluppa e si inserisce nel territorio, nei territori di antica tradizione ceramica. Ovvero come la cultura assumesse “il ruolo di momento di valore politico nella capacità appunto di sollecitazione di processi di consapevolezza e crescita sociale e politica”. Tre azioni performative di Leoni vanno in quella direzione: a Faenza, durante il Concorso da lui vinto, Leoni dispose il pubblico seduto sulla gradinata d’accesso al Museo, distribuendo argilla cruda da tenere in mano (“perchè ne sentissero la dolce mollezza (cosa dimenticata) la plasticità”), mentre lui distruggeva a martellate opere realizzate negli ultimi dieci anni. Alla fine impastò i frammenti in una grande sfera adducendo “in fondo noi viviamo su questa sfera, sui rifiuti delle civiltà passate (…). Vita e morte… viviamo tutto e non viviamo veramente niente in un disagio che ci divide… questo materiale ci conduce per mano a sentire i fatti più minuti e sinceri più veri alla fine di tutta la nostra storia”. A Castellamonte nel 1976 coinvolge il pubblico, all’inaugurazione della loro Biennale, in una azione di “Attivazione”. Il pubblico fu invitato a pressare argilla cruda in stampi per la produzione delle stufe locali, proponendo di riprendere il rapporto con l’amata terra, in un’azione primaria ma anche didattica. Come era accaduto a Faenza, Leoni cerca nuovamente di instaurare un rapporto con i visitatori proponendo una riflessione sull’attualità del fare ceramica. Azione poi ripetuta a Montefiore Conca nel 1977, sotto la direzione artistica di Crispolti.
«Lavorare e vivere in provincia non significa essere provinciali o incapaci di comprendere gli sviluppi e i percorsi dell’arte. Leoni viaggiava moltissimo, visitava mostre e frequentava gallerie. Egli dimostra come la periferia e la provincia abbiano espresso (ed esprimano ancora tutt’oggi) idee innovative portatrici di cambiamenti epocali, soprattutto in quei territori dove la tradizione possiede un radicamento secolare. La ricerca innovativa di Leoni parte proprio da quella tradizione che lui conosceva benissimo, dalla ceramica che lui amava. E proprio per questo desiderava renderla contemporanea, al passo con i tempi.
«La mostra è articolata su oltre 200 opere che ripercorrono il suo percorso artistico dagli esordi scolastici alle ultimissime opere. È in parte cronologico e in parte tematico.
«Solo due o tre… un po’ difficile direi. Al centro della sala è allestita una parete di “ciotoloni”, sculture in ceramica con ingranaggi assemblati che riprendono i mobiles metallici. Certamente un lavoro straordinario e d’avanguardia per l’epoca (parliamo degli anni 1964/67). Le carte intagliate ed assemblate in composizioni optical sono un lavoro molto particolare realizzato dal 1961. Poco noto ma di grande impatto. Un gioco sui volumi, le ombre, la profondità.
Altro lavoro poco noto sono le sculture realizzate in sfrido di lamiera, con gli scarti di produzione della manifattura Malaguti. Assemblaggi cromaticamente incisivi, studi per spazio e volume. Leoni era molto “green”: la maggior parte dei suoi lavori utilizzavano materiali assolutamente riciclati, che riabilitava nella poetica “objets trouvés”.
«Abbiamo dovuto posticipare gli eventi del 2020 al prossimo anno. Quindi a fine marzo ci sarà la nostra Biennale d’Arte ceramica contemporanea, a maggio apriremo la nuova sezione permanente di design, a novembre un’antologica su Galileo Chini. Il nostro Museo cerca di proporre attività che valorizzino le proprie collezioni, abbiamo attinenza con la contemporaneità o valorizzino epoche o personaggi di rilievo.
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