Inaugura oggi la personale di Allison Katz “Works on Paper” con cui Giò Marconi presenta una serie di disegni nuovi che, fino al 7 gennaio 2021, sarà possibile vedere nell’allestimento virtuale a questo link.
“Works on Paper” è accompagnata da una conversazione tra Allison Katz e l’artista Fredrik Værslev in cui si riflette sulle opere proposte e sulle mostre online. Ve ne proponiamo due passaggi.
Le opere esposte sono tutte disegni, tecnica che ricopre un ruolo preciso nel lavoro dell’artista: «Sono libertà per me. Disegno quello che non dipingerei. Non di regola, ma in generale. Penso ai lavori su carta (con qualsiasi mezzo: gouache, inchiostro, matita) come un gioco, perché ci sono dei perimetri fissi e la scala è come un “campo di gioco”. Non è come mettersi a scrivere un romanzo, è più come un giro di carte. Quindi durante quel periodo posso essere veloce, correre dei rischi, vedere cosa possono fare i materiali in relazione a uno scorcio, una domanda, un colore, un materiale di partenza: le associazioni possono accumularsi rapidamente e portare ad altre mosse. Anche se un disegno richiede alcune ore, è comunque un processo completamente diverso dalla pittura. Sento sempre che il punto dovrebbe essere quello di espandere lo spazio di ciò che è possibile a livello del polso, come prova per il braccio. […] Immagino solo che disegnando, a caso e con curiosità, sto elaborando dipinti che non ho ancora visto. Un atto di fede, di liberare fantasmi».
Allison Katz ha pensato questa mostra come un dialogo, più che come un percorso espositivo in senso classico, perché privo dell’esperienza diretta tanto per l’artista in fase creativa quanto per il pubblico: «Questi sono tempi complicati e limitati; Comprendo il valore nel cercare di espandere l'”esperienza” online, ma è chiaro che questo dovrebbe dipendere dalla scrittura, piuttosto che dall’istinto visivo, poiché lo schermo interrompe qualsiasi aspetto esperienziale. Il mio solito processo attorno a una mostra è stratificato, è un gruppo di dipinti sviluppati in relazione l’uno con l’altro e un luogo, con architettura, poster, ecc. – quindi no, questa non è una mostra in quel senso. È più come una conversazione guardando insieme la documentazione».
«Abbiamo pensato con lei a delle opere su carta inedite, accompagnate da un’intervista con Fredrik Værslev in cui i due, amici da anni, riflettono sull’esperienza stessa della viewing room. In mostra sono raccolti esempi del modo di lavorare di Allison Katz mai esposti, disegni e dipinti realizzati con diverse tecniche: pastelli, college, gouache, inchiostri…».
«Abbiamo appena iniziato il programma di viewing room sul nuovo sito della galleria realizzato da Double Standards, lo studio di Chris Rehberger. Questa è la seconda mostra che proponiamo, la prima presentava dei lavori di Oliver Osborne. La risposta del collezionismo e del pubblico è buona. In precedenza abbiamo sperimentato questa nuova modalità online, con una discreta attenzione, partecipando a due fiere: Art Basel, dove abbiamo portato i lavori di artisti storici del Novecento – Valerio Adami, Enrico Baj, Emilio Tadini, Hsiao Chin e Mario Schifano – e poi Frieze, dove abbiamo presentato un solo show di Kerstin Brätsch».
«Penso che in futuro il digitale farà parte a tutti gli effetti delle nuove modalità di fruizione, integrando l’esperienza con l’opera d’arte, ma senza la volontà di sostituire quello che si prova vivendo la dimensione di una mostra reale».
«Per preparare una mostra online ci vuole molto tempo per organizzare siti e contenuti, ma soprattutto per pensare come proporre le opere al pubblico. Una volta si scattava una fotografia nell’attesa di vedere il lavoro dal vero in una fiera o in galleria, adesso quando si fotografa un’opera è necessario cogliere molti dettagli e diverse angolazioni sforzandosi di immedesimarsi nello sguardo di un ipotetico spettatore. E poi è necessario creare un racconto: quello che una volta nasceva come una conversazione spontanea, come quella tra Allison Katz e Fredric Værslev che accompagna le opere».
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