Negli spazi della Fondazione Sozzani, a Milano, giovedì 16 inaugura ufficialmente la mostra che presenta il progetto fotografico “PEOPLE OF TAMBA” di Giovanni Hänninen e la serie di corti video-documentari “SENEGAL/SICILY” creata da Alberto Amoretti e Giovanni Hänninen. «I due progetti – ha spiegato la Fondazione – sono nati con l’obiettivo comune di affrontare i diversi aspetti della migrazione clandestina nella società africana e in quella occidentale» e «sono realizzati con il supporto di The Josef and Anni Albers Foundation e Le Korsa».
La mostra è visitabile già da qualche giorno per il pubblico della quattordicesima edizione del World Press Photo che la Fondazione Sozzani, dal 12 maggio al 2 giugno 2019, presenta per il venticinquesimo anno consecutivo.
Abbiamo posto alcune domande agli artisti, Alberto Amoretti e Giovanni Hänninen.
Come è nata la mostra? Perché avete scelto di esporre i progetti e “PEOPLE OF TAMBA” e “SENEGAL/SICILY?”
Alberto Amoretti: «Mentre io e Giovanni eravamo ospiti di Thread, la residenza d’artista che la Josef and Anni Albers Foundation ha creato in Senegal, Aisadou, una signora del villaggio lì vicino, è venuta da me con un foglietto con un numero di telefono che cominciava con +39. Dopo averla intervistata, abbiamo scoperto che il numero di telefono italiano apparteneva a suo figlio Alpha che era arrivato in Italia poco tempo prima. Tornati in Italia siamo andati a cercarlo e lo abbiamo trovato in Sicilia. Abbiamo intervistato anche lui e da questo dialogo a distanza fra madre e figlio è nato “ALPHA/AISADOU”, il primo episodio di quella che sarebbe poi diventata la serie “SENEGAL/SICILY”».
Giovanni Hänninen: «Abbiamo presentato i due progetti, “PEOPLE OF TAMBA” e “SENEGAL/SICILY”, insieme la prima volta a Dak’Art 2018, la Biennale d’arte africana contemporanea di Dakar. Ci siamo resi conto di come funzionassero bene accostati l’uno all’altro, anche se erano stati pensati come due entità separate. Da una parte creiamo un catalogo della società di Tambacounda, la regione del Senegal da cui partono la maggioranza dei migranti senegalesi che arrivano in Italia. Dall’altra diamo voce, attraverso le interviste dei documentari, alle persone la cui vita è stata toccata dalla migrazione».
Ci potete spiegare brevemente che tipo di progetto è “PEOPLE OF TAMBA”?
GH: «”PEOPLE OF TAMBA” è un progetto che si ispira al lavoro del fotografo tedesco August Sander che negli anni Venti creò una serie di ritratti a persone comuni ricreando un catalogo tipologico comprendente tutti i ruoli sociali della società tedesca a pochi anni dall’ascesa del regime nazista. Ho cercato di fare lo stesso con la società di Tambacounda, che come dicevo è il punto di partenza di molti migranti senegalesi che raggiungono l’Europa. Ho realizzato circa 200 ritratti a persone della regione, facendo emergere il loro ruolo nella società. Il mio obiettivo era di ridare identità e radici a una popolazione di cui noi sappiamo nulla. I media ci parlano sempre di numeri, di flussi. Di quanti migranti sono arrivati, di quanti sono morti. Raramente si pensa ai migranti come persone».
E “SENEGAL/SICILY”?
AA: «”SENEGAL/SICILY” è una serie di sei corti documentari che raccontano la migrazione da sei punti di vista diversi. Dopo l’intervista ad Alpha, ci siamo resi conto di quante poche informazioni avesse quando è partito da Tambacounda verso la Libia. Sì, la Libia, perché alla partenza lui non aveva intenzione di venire in Europa, ma solo di andare in Libia, pensando che fosse ancora un paese con buone possibilità di trovare un lavoro ben retribuito grazie al petrolio. Arrivato lì ha trovato un paese dilaniato dalla guerra civile e solo a quel punto ha capito che doveva continuare il suo viaggio verso nord. La serie “SENEGAL/SICILY” nasce per portare informazioni nella regione di Tambacounda, attraverso testimonianze in prima persona di chi conosce la migrazione dei giorni nostri. C’è un ragazzo dello staff Le Korsa, la ONG co-produttrice della serie insieme a The Josef and Anni Albers Foundation, che gira i villaggi della regione, luoghi spesso senza acqua corrente ed elettricità, e con un proiettore e mostra i documentari nelle scuole e nelle piazze, utilizzando la “meraviglia” del cinema per dare, a chi stia valutando di migrare, informazioni utili a prendere una decisione consapevole».
Potreste raccontarci, in estrema sintesi, quali sono gli elementi principali della vostra ricerca? Quali tematiche affrontate? Come procede per realizzare i vostri lavori?
GH: «Nasco come fotografo di architettura e la mia ricerca si è sempre svolta nell’ambito del rapporto fra individuo e città. Da qualche anno mi occupo anche di ritratto, ma Alberto mi dice sempre che anche i miei ritratti sono fotografie d’architettura, nel senso che molto spesso l’ambiente intorno a soggetto racconta molto del soggetto stesso».
AA: «Io invece nasco come sceneggiatore. Per me è importante trovare e raccontare storie importanti, che abbiano un carattere universale. Nel senso che possano riguardare e toccare chiunque, come appunto la migrazione, vista nel rapporto fra madre e figlio, o come desiderio di migliorarsi. Oppure la ricerca della propria identità che era il tema del progetto precedente, “ATOPOS, generi teatranti”, sempre creato insieme a Giovanni».
Alcune stampe con le vostre opere verranno affisse sui muri della città, a Milano. Perché questa scelta?
GH: «Già dalla prima mostra durante la Biennale di Dakar abbiamo scelto di installare i ritratti di “PEOPLE OF TAMBA” nelle strade, creando un’esperienza di arte pubblica, con stampe due metri per tre incollate sui muri nella Medina di Dakar. Volevo che fossero i veri abitanti di Dakar a poter fruire liberamente delle fotografie, mentre svolgevano le attività di tutti i giorni, e potendo specchiarsi con dignità e orgoglio in questo ritratto della loro stessa società. A Milano abbiamo portato dodici fotografie installate sulla terrazza della Fondazione Sozzani, sempre in grande formato, e altre undici in giro per la città, da via Padova a Gratosoglio, passando per Porta Nuova e i Navigli. Dopo Dak’Art 2018, l’esperienza è stata ripetuta a Parigi durante la Nuit Blanche 2018, a Firenze in occasione del Black History Month Festival presso la Fondazione Studio Marangoni e nella Medina di Marrakech come parte del public programme di 1-54, Contemporary African Art Fair, presentato da MACAAL, Musée d’Art Contemporain Africain Al Maaden».
Una domanda a cui ha risposto Maddalena Scarzella per la Fondazione Sozzani: Come si inerisce questa mostra nella programmazione della Fondazione Sozzani? Quali mostre ospiterete nei prossimi mesi?
«La mostra “PEOPLE OF TAMBA” viaggia in parallelo al World Press Photo, è una diversa forma di reportage, meno legata all’avvenimento, più affine al ritratto, che racconta, insieme al video documentario “SENEGAL/SICILY”, le persone che sono state migranti o che pensano di emigrare, riprese nel loro contesto di partenza o di arrivo. A giugno, in occasione di Milano Photoweek la Fondazione Sozzani dedica una grande mostra alla fotografia di Roger Ballen, uno tra i fotografi contemporanei più originali che indaga l’invisibile. Roger Ballen sarà presente all’inaugurazione della sua mostra “The Body, the Mind, the Space”. In settembre invece una mostra personale sarà dedicata al lavoro iperrealista della fotografa americana Alex Prager, a cura di Nathalie Herschdorfer». (Silvia Conta)
Giovanni Hänninen
“PEOPLE OF TAMBA”
e
Alberto Amoretti e Giovanni Hänninen
“SENEGAL/SICILY”
Dal 16 maggio al 2 giugno 2019
Fondazione Sozzani
Corso Como 10, Milano
Opening: 16 maggio 2019, dalle 18.00 alle 21.00
Orari: tutti i giorni, dalle 10.30 alle 19.30, mercoledì e giovedì dalle 10.30 alle 21.00
www.fondazionesozzani.org