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Alla Fondazione smART – polo per l’arte, inaugura oggi, 15 ottobre, “BLAC ILID”, la prima personale a Roma di Andrea Kvas (1986, Trieste).
La mostra, a cura di Davide Ferri, «include un ciclo di lavori apparentemente irriducibili ad un unico autore, ma realizzati attraverso una processualità che caratterizza il lavoro dell’artista fin dagli esordi, e approda nel vasto territorio dell’astrazione – un’astrazione imprevedibile e involontaria, agile – ed esclusivamente dipinti su tela: un aspetto significativo, perché di rado l’artista utilizza la tela come unico supporto per un intero ciclo di lavori. BLAC ILID, espressione arbitraria e incomprensibile scritta con le lettere di un font disegnato dall’artista che ricorre in molti dei suoi dipinti recenti, è anche titolo della sua personale presso smART», ha spiegato l’organizzazione.
Abbiamo raggiunto Andrea Kvas per alcune domande
Come è nata la mostra?
«Nel settembre 2019 ho partecipato ad una collettiva a Villa Medici, “#80|#90” a cura di Pier Paolo Pancotto. Stephanie Fazio, la direttrice dello spazio espositivo della Fondazione smART, è venuta in quella occasione a conoscermi. Già da tempo seguiva il mio lavoro, questo incontro ha reso il dialogo più fluido. Come consuetudine della Fondazione mi è stata proposta una residenza con un progetto di mostra inedito. Le circostanze della pandemia hanno reso necessario il rinvio della mostra prevista per maggio e impossibile la residenza. Questo tempo dilatato ha tuttavia permesso di entrare più in confidenza col luogo che ha una forte dimensione domestica. Anche la scelta di Davide Ferri, curatore della mostra, nasce da questo dialogo, Stephanie aveva lavorato con Davide ad altri progetti espositivi. Io e Davide pensavamo da tempo ad un progetto da sviluppare insieme e questa ci è sembrata l’occasione ottimale!».
Quali aspetti della tua ricerca, in particolare, emergono dal percorso espositivo?
«Il titolo della mostra, BLAC ILID, sono due parole che compaiono su diversi lavori presenti in mostra e sono scritti con dei caratteri disegnati da me tra il 2014 e il 2015. Ad aprire la mostra è proprio una piccola tela del 2015 che riporta questi segni – BLAC ILID – e che aveva e ha tutt’ora la funzione di “insegna”. Il significato di questo binomio non è fondamentale in quanto l’invenzione di questo carattere nacque dall’esigenza di trovare nuove spinte generatrici nella mia produzione. Ai tempi sentivo la necessità di trovare un significato tangibile (ma non per forza intellegibile) ai segni che tracciavo sulle tele, disegnare un carattere incomprensibile mi sembrò la strada giusta da seguire. Quell’invenzione determinò un passaggio importante nel mio modo di intendere la pittura ed ho voluto celebrarlo ora che con questa mostra sancisco (dopo la personale “Coppiette” presso Gelateria Sogni di Ghiaccio di Bologna) un ritorno al formato canonico della pittura su tela dopo anni di sperimentazioni che mi hanno portato a smontarla e ricomporla».
Puoi ricordarci quali sono i cardini della tua ricerca?
«Ho passato gli ultimi dieci anni a decostruire ed analizzare la pittura in tutte le sue componenti, ora sto rimettendo tutto al proprio posto con la consapevolezza delle proprietà di ogni singolo elemento (tela, telaio, pigmenti, leganti, cornice ecc..). Quando penso infatti ai miei dipinti li considero delle vere e proprie costruzioni. L’esito dei lavori è il risultato di molteplici stratificazioni di materie differenti, spesso non appartenenti alle belle arti quanto all’edilizia o alla decorazione, che portano a creare interazioni inaspettate. Nell’ultimo anno ho scelto di usare materiali molto meno coprenti rispetto la precedente produzione, in modo tale da far risalatare queste stratificazioni».