01 settembre 2017

Angelo Maisto: giochi e misteri di palazzo

 
Mezzocorona, a nord della città di Trento, ospita il “Settembre Rotaliano”, una tre giorni che inizia oggi per celebrare il Teroldego, il vitigno più rappresentativo del territorio. Quest’anno il programma prevede un evento esclusivo, "Naturalia", la mostra personale di Angelo Maisto, ospitata nelle stanze del prestigioso Palazzo Conti Martini.

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Le terre di confine sono luoghi di allerta e di difesa, di veglia e di ristoro, di incontro e scontro, scambio e accoglienza. Sono porte d’ingresso, vie d’uscita, aperte o socchiuse, spalancate o serrate, il cui attraversamento evoca storie antiche, leggende popolari, miti ancestrali, saperi e sapori che si perdono nella notte dei tempi. È il caso della cittadina di Mezzocorona, a nord di Trento, nella Piana Rotaliana, una pianura circondata su tre lati da un alto baluardo di pareti rocciose che la proteggono dai venti freddi, racchiusa fra le sponde dell’Adige e quelle del Noce, i fiumi che l’hanno formata. Al termine dell’estate, e in concomitanza con i primi fermenti della vendemmia, Mezzocorona ospita il “Settembre Rotaliano”, una tre giorni che inizia oggi per celebrare il Teroldego, il vitigno più rappresentativo del territorio. Quest’anno il programma prevede un evento esclusivo, “Naturalia”, la mostra personale di Angelo Maisto, organizzata da Cellar Contemporary (la giovane galleria di Davide Raffaelli e Camilla Nacci), in collaborazione con lo Spazio KN, concepita per il prestigioso Palazzo Conti Martini, nel cuore di Mezzocorona. Passeggiare per il Palazzo, risalente alla seconda metà del Seicento, tipica dimora della nobiltà di campagna dell’epoca, coincide con il percorso espositivo. L’edificio padronale a due piani, nello stile che coniuga il decoro della nobiltà con il temperamento contadino, schietto e pragmatico, è infatti disseminato di opere dell’artista partenopeo. I suoi acquerelli e le sue sculture-assemblaggi fanno capolino dalle pareti delle camere da letto, sull’altare della cappella, su un tavolino accanto alla gigantesca stufa in maiolica. Il visitatore è, pertanto, invitato a esplorare le antiche stanze della dimora, a sbirciare nei suoi anditi più nascosti, avvolti dal mistero del tempo, per incontrare le opere di Angelo Maisto e, attraverso queste, ripercorrere le orme che gli abitanti di questa magione hanno lasciato nei secoli, nel silenzio della pianura. Il percorso che attende il visitatore non è un mero salto indietro nel tempo, quanto un’immersione in una realtà parallela evocata dall’artista. Abitata da un tripudio di giganteschi quanto coloratissimi fiori e piante lussureggianti. Che sembrano usciti da un erbario figurato del Cinquecento. All’improvviso, però, ecco farsi incontro strani personaggi, partoriti da una fantasia prorompente e da una manualità versatile. Così appare una papera con il becco preso in prestito dal bocchino di una pipa, oppure un damerino con la testa che, in realtà, è una cloche per dolci. E, ancora, un riccio che, al posto del manto di aculei, ha i denti di una spazzola per capelli. Un’atmosfera che ricorda quella di “Alice nel paese delle meraviglie”. Ma qui occorre andare oltre le apparenze, il desiderio di sognare e di stupirsi. Maisto è un artista colto. Il suo interesse enciclopedico e la ricerca di oggetti inusuali, rari, sono alla base delle sue Wunderkammern, collezioni di meraviglie nelle quali l’interesse per la sperimentazione di nuove forme si unisce alla ricerca del bizzarro, del fantastico, talvolta del mostruoso. Con prestiti dichiarati da Bosch e Brueghel. E anche, a mio avviso, dalle Macchine anatomiche conservate nella cavea sotterranea della Cappella Sansevero, a Napoli. In tali creazioni, gli animali fantastici dell’artista partenopeo, ora ad acquarello, ora sculture di oggetti assemblati, rispondono soprattutto a criteri estetici, essendo più ornamentali di qualsiasi paesaggio o rappresentazione umana, e non avendo mai un fine scientifico, bensì rivestendo soprattutto un significato simbolico e allegorico. Non senza rinunciare a quell’ironia, tra atmosfere dissacranti e dolci follie, che sembra fuoriuscita direttamente dal teatro di Eduardo De Filippo. E che ci dischiude le porte su interrogativi e misteri che non sono solo quelli propri di Palazzo Conti Martini a Mezzocorona ma, più in generale, quelli del reale e della vita. Ricordandoci che, al di là delle ansie e delle frenesie che catturano la nostra quotidianità, la vita potrebbe avere l’aspetto del gioco, del costruire e del fare, in armonia con la natura. (Cesare Biasini Selvaggi) 
In alto: Der Blumenweld, 2016. Acquerello su carta, 50 x 60 cm. (Courtesy Cellar Contemporary)
In homepage: Caballus Florens, 2017. Assemblaggio, 50 x 45 x 35 cm. (Courtesy Cellar Contemporary)

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