Celata tra le pieghe di un paesaggio montuoso, alle pendici del Monte Alpi, in provincia di Potenza, si trova il piccolo borgo di Latronico. Un tessuto urbano vivacemente animato da viuzze allungate, piccole casette e palazzi eleganti, che si intrecciano e si mischiano ai tanti lavori d’arte contemporanea realizzati nelle diverse edizioni del progetto A cielo aperto, ideato nel 2005 dall’Associazione Culturale “Vincenzo De Luca”. L’evento, curato da Pasquale Campanella e Bianco-Valente, è sostenuto da circa cinquanta soci, che negli anni hanno garantito la continuità delle attività, mediante le proprie energie e stabilendo una forma di cooperazione e condivisione del progetto con la popolazione, rifiutando qualsiasi forma di sovvenzione pubblica. Un principio di “liberta” e di autonomia che nonostante le difficoltà ha garantito all’evento di discostarsi dalle logiche con cui si muovono altri progetti o istituzioni private, con il rischio di divenire l’espressione di un sistema legato a chi concede i fondi. Per di più, è stato capace di creare fra gli artisti e la comunità latronichese un’aura quasi magica, generata da forte senso di appartenenza degli abitanti al programma, alle sue opere e ai creativi che ogni anno operano in questo luogo. Una struttura relazionale e di coinvolgimento non strumentale che origina momenti di riflessione, processi educativi e comunicativi verso una fusione che lega arte contemporanea, pubblico, storia e paesaggio.
Anche per questa edizione, svoltasi l’11 e il 21 agosto scorso, l’intendo dei curatori di A Cielo Aperto è stato chiaro: invitare artisti e autori a lavorare sul paesaggio e il luogo, coinvolgere cittadini e turisti presenti a Latronico nel periodo estivo.
Iniziamo con l’opera di Giovanni Giacoia e Giuseppe Giacoia dal titolo (T)here, una mappa comunitaria iniziata nel luglio 2017, con azioni performative e percorsi sul territorio urbano del paese. I camminamenti sono stati proposti dagli artisti ai cittadini con lo scopo di raccogliere ed accumulare informazioni sensoriali sul panorama e il borgo, attraverso l’uso di scatole mnemoniche, al fine di realizzare un’installazione permanente. Il risultato di quest’operazione consiste in un blocco di pietra grigia, collocata in un ambiente naturale conosciuto come Arenara, in totale accordo con i profili delle imponenti montagne circostanti. Nella roccia sono stati creati 23 vuoti e 23 “tasselli sigilli” incisi con iscrizioni in forma simbolica che condensano memorie, auspici, ricordi e desideri dei partecipanti coinvolti. In definitiva (T)here è la rappresentazione del qui (here) e del lì (there): un dialogo sull’idea di luogo, sulla relazione tra migrazione e permanenza e sulla costruzione dell’identità di un territorio.
I sigilli mobili, incastonati dagli artisti sulla roccia naturale, mostrano non solo l’intervento attivo dell’uomo e il suo desiderio di comunicare una sua realtà visibile ma anche la loro natura portatile. Le formelle, infatti, sono tutte estraibili e rimovibili dall’opera, pronte ad essere spostate e custodite in altri luoghi, come “semi” da spargere ovunque, ma allo stesso tempo, grazie alle coordinate geografiche incise sul reto di ognuna di esse, sono ideate per ritornare e ricongiungersi alla “madre” e ai loro luoghi di appartenenza.
A pochi metri, quasi difronte all’opera (T)here dei Giacoia, la seconda installazione permanete del fotografo Maurizio Montagna dal titolo Billboards. L’opera nasce dall’esperienza di un workshop di fotografia del paesaggio tenuto da Montagna nel 2017 e dall’omonimo progetto editoriale pubblicato dallo stesso autore nel 2008, che ritrae più di 80 cartelli pubblicitari in disuso. L’installazione realizzata per Latronico, in effetti, ricorda un grande pannello promozionale, che però perde la sua funzione, acquisendo una sua autonomia scultorea e concettuale. Billboards è una “cornice” di 6 metri per 3, senza fondo, tramite il quale possiamo osservare, interpretare ed analizzare frammenti di paesaggio, in una visione di totale simbiosi con ambiente naturale e selvaggio, che muta con il passare del tempo e cambia la sua connotazione in base alla nostra posizione.
Il terzo progetto ha visto in mostra, in anteprima a Latronico nella sede dell’Associazione, i disegni preparatori di 13 bandiere, ideate da 13 artisti (ALAgroup, Simona Da Pozzo, Antonio Della Guardia, Emilio Fantin, Serena Fineschi, Radical Intention, Laure Keyrouz, Francesca Marconi, Elena Mazzi, Patrizio Raso, Michael Rotondi, Raffaella Spagna – Andrea Caretto, Museo Wunderkammer), invitati dai curatori a partecipare all’operazione Fuori luogo. Un’azione artistica ragionata sul concetto della migrazione economica, tema che coinvolge il Sud Italia e in modo più ampio i flussi migratori in Europa e del mondo. All’interno di questo pensiero la bandiera si pone come obiettivo di rappresentare un intricato rapporto tra chi resta e chi va, tra la speranza di farcela e il desiderio di ritornare. Questo doppio aspetto simbolico si contrappone all’idea di radicamento di un popolo e riprende la riflessione del migrante che vive la mancanza del proprio luogo di origine e contemporaneamente prova un senso d’isolamento nelle cosiddette “società di accoglienza”, nelle quali è assorbito ed escluso al tempo stesso.
I tredici disegni, esposti per A Cielo Aperto, a fine settembre, sotto forma di bandiere “migreranno” verso Palermo, nell’ambito del progetto Border Crossing (evento collaterale di Manifesta12), curato da Bridge Art (Lori Adragna con la assistenza di Helia Hamedani) e la collaborazione di Dimora Oz (Andrea Kantos), dove saranno installate sui balconi di alcune abitazioni private in piazza Magione, riafferrando il concetto di migrazione, di “doppia assenza” e di “fuori luogo”.
A Cielo Aperto chiude questa edizione 2018 con la performance sonora Composizione di retorica del musicista elettroacustico e compositore Knn (Renato Grieco). Un concerto ispirato al volume Composition de réthorique, stampato da Tristano Martinelli in singola copia nel 1601, in cui alcuni personaggi della commedia dell’arte sono presentati in una lingua incomprensibile: miscuglio di latino, volgare, francese e spagnolo, con una forte connotazione comica grottesca. Una struttura performativa che ha permesso al pubblico di perdersi in una miriade di sonorità acustiche e allo stesso tempo di relazionarsi con l’architettura di uno spazio poco abitato di Latronico. (Giovanni Viceconte)