«Ciò che mi affascina maggiormente è la ricerca di forme strutturali ambigue, a cavallo tra il regno animale e quello vegetale che alludono alla polpa del corpo e alla sembianza da esse stesse sottesa», racconta Raffaello Galiotto avvicinandoci a quella sua ricerca che lui, in prima persona, muove attratto dalle peculiarità della materia naturale e artificiale, ricercandone le potenzialità espressive attraverso l’impiego sperimentale della tecnologia. «A metà tra il fossile di un lontano futuro e l’inquietante potenza del monolite, i diversi tipi di simmetria esplorati in questi lavori mostrano presenze viventi che sfidano la tenace fissità del marmo» afferma il curatore e filosofo dell’arte Alfonso Cariolato per introdurci ad Artefacta Lapis, la mostra personale di Galiotto che nasce da quella ricerca e anima gli spazi del’Ex chiesa di San Pietro in Monastero nel centro storico di Verona nei giorni del fermento mosso da ArtVerona – il presidente di VeronaFiere, Federico Bricolo, sostiene in merito: «Artefacta Lapis sintetizza mirabilmente il ruolo di Veronafiere quale catalizzatore di innovazione e cultura sul territorio. Per questo siamo orgogliosi di presentare questo progetto che esemplifica la sinergia tra memoria storica e futuro, e ringraziamo Raffaello Galiotto per averci donato queste suggestioni, capaci di ispirare tutti noi verso nuovi orizzonti».
Quella che Galiotto mette a punto per dare forma alle proprie idee è una pratica complessa, una pratica che forgia gli strumenti che concretamente sono chiamati a modellare la pietra, forzandola, incidendola, levigandola per lasciar affiorare in superficie le forme organiche disegnate al computer dall’artista. Arte e tecnologia come espressione dello spirito del tempo ma con un limite, quello che il curatore definisce «la rivincita della materia» così descritta nel testo in catalogo: «Le forme sono opera dell’uomo, ma in esse il materiale si prende la rivincita. Si lascia plasmare e nell’attimo più alto quando ormai si sarebbe indotti a credere che l’idea abbia campo libero, quasi affrancata dalla materia, dunque nel momento platonico della pura forma, a emergere è l’elemento materico con i suoi colori, le gradazioni, i toni allo stato brado. Si comprende così che non c’è forma separata dalla materia, o meglio: la forma è sempre forma-dei-materiali, con le loro peculiarità e idiosincrasie».
Nelle sculture in mostra – 21 in tutto di cui 5 inedite allestite lungo l’asse centrale della navata e nei quattro altari laterali illuminate per esaltare le increspature e le pieghe della pietra, le percettibili variazioni cromatiche delle superfici e degli spessori della materia – i colori dei marmi interagiscono di volta in volta con la figura in una modalità tale da scompaginare i limiti tra l’ideato e il naturale. L’esito di questo intreccio, tra la prestazione tecnica spinta alle estreme possibilità e il risultante dalla persistenza inaggirabile del materiale, è una singolare serie di esseri biomorfi che sembrano provenire da altri mondi. Anche gli spessori — talmente sottili da influenzare la percezione della luce e del colore — concorrono ad alimentare la creazione di un mondo altro. Nel catalogo che accompagna la mostra, Cariolato scrive in proposito che «I colori dei marmi vengono esibiti nelle loro vene più nascoste tanto da confondere i confini tra artificio e natura».
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