Il 17 aprile The Power Station of Art ha inaugurato la mostra principale di “Bodies of Water”, la 13ma Shanghai Biennale, dal titolo “PHASE 03: AN EXHIBITION”.
Questa edizione, hanno spiegato gli organizzatori, ha sfidato il tradizionale formato della Biennale ed è stata estesa a nove mesi, come un progetto in divenire: iniziato nel novembre 2020 con “PHASE 01: *A* WET-RUN REHEARSAL”, un programma inaugurale di cinque giorni, è proseguita con “PHASE 02: AN ECOSYSTEM OF ALLIANCES”, cinque mesi di attività, realizzazione delle opere e collaborazione tra i soggetti coinvolti. Questi diversi momenti hanno permesso agli artisti e ai curatori di sviluppare il loro lavoro in stretta collaborazione con la città di Shanghai, la sua popolazione, le reti di attivismo, le organizzazioni e le istituzioni del territorio e di arrivare alla “PHASE 03: AN EXHIBITION”, allestita in vari luoghi della città fino al 25 luglio 2021.
“Bodies of Water” ha coinvolto 64 artisti, 33 dei quali presenti con opere commissionate dalla biennale stessa, che vede Andrés Jaque nel ruolo di chief curator, affiancato dai curatori Marina Otero Verzier, Lucia Pietroiusti, Mi You e da Filipa Ramos a capo della ricerca e delle pubblicazioni.
Intervista a Andrés Jaque, chief curator
«Il tema della Biennale, “Bodies of Water”, riflette su come i corpi si infiltrano in altri corpi o vengono ibridati con altri corpi. Su come ogni corpo sia in realtà una moltitudine e un’alleanza di molte forme di vita e tecnologia. È sorprendete come questo tema, che parla intrinsecamente della realtà evidenziata dal Covid-19, fosse stato definito nel dicembre 2019, prima che scoppiasse la pandemia. “Bodies of Water” parla, in ultima analisi, di uno stato di vulnerabilità biologica, sociale e climatica. Uno stato di cose, che gli artisti stanno cercando di percepire, con cui provano a relazionarsi, e che tentano di rappresentare».
«A livello pratico, quando è scoppiata la pandemia, la questione di come si sarebbe dovuta muovere la biennale è diventata inevitabile. Molte biennali e mostre d’arte sono state annullate o rinviate. Per noi era fondamentale che la voce e l’azione dell’arte e degli artisti non venissero messe a tacere e che potessero essere parte del modo in cui la pandemia sarebbe stata affrontata. Era di vitale importanza che la pandemia non diventasse l’alibi per stabilire un regime tecnocratico.
Per questa ragione abbiamo deciso di sviluppare la Biennale come un processo in divenire che crescesse in 3 fasi. Abbiamo così aperto la biennale alla data annunciata, ma invece di esporre delle opere, abbiamo messo in contatto artisti, attivisti, scienziati, studiosi e la città di Shanghai in generale, attraverso cinque giorni di quella che abbiamo chiamato “Performer Assembly”. Questa prima fase è stata seguita da una seconda fase di cinque mesi, che abbiamo chiamato “An Ecosytem of Alliances”, in cui la biennale si è “infiltrata” nelle infrastrutture esistenti della città attraverso il lavoro nelle accademie d’arte, il canale Docu TV, gli schermi della rete metropolitana, etc. Quella che apriamo ora è la fase 3, una mostra, che presenta il lavoro di 64 artisti, 76 opere di cui 33 nuove commissioni».
«Il futuro dell’arte è imperscrutabile. Ma sicuramente un numero importante di artisti della Biennale sta operando in modo ecosistemico, ricostituendo il modo in cui le forme di vita si percepiscono e si relazionano tra loro.
L’impressionante lavoro dell’artista Carlos Casas trasforma i corpi umani in dispositivi che acquisiscono la capacità di percepire e provare su se stessi la situazione climatica e le scale su cui opera. Il lavoro di Michael Wang inverte il ciclo di produzione di energia che si collega alla rete elettrica della città per produrre un ghiacciaio dall’energia che risulta dalla capacità idroelettrica che il Three Gorges Damn ha ottenuto dallo scioglimento dei ghiacciai sull’altopiano del Tibet. Questi complessi strati di realtà transumani e transterritoriali vengono percepiti e rappresentati come luoghi in cui possono emergere altre forme di dissidenza e consenso, conflitti e alleanze. Questa è la grande capacità di queste opere».
«Shanghai è costituita sull’acqua. È il risultato della circolazione che caratterizza il fiume Yangtze. Questa realtà non è un elemento del passato. Nell’edificio della Power Station of Art (PSA) c’era la centrale elettrica che utilizzava il carbone estratto e trasportato lungo il fiume, per innescare l’industrializzazione di Shanghai. Oggi la connessione fisica con il fiume rimane inalterata: l’edificio del PSA continua a prelevare l’acqua dal fiume e la fa circolare nei propri spazi per regolare la temperatura interna. Shanghai e la PSA non sono solo i contenitori della biennale, la biennale è realizzata da e con loro come cooperatori».
«Abbiamo avuto lunghi dialoghi con tutti i partecipanti per definire passo dopo passo, in modo molto aperto, in cosa sarebbe consistita la loro partecipazione.
Sono felice di dire che il fatto di aver potuto contare su un periodo di tempo più lungo e con una cornice per collaborare con gli altri ha reso le nuove commisioni probabilmente più articolate di quanto ci saremmo normalmente aspettati».
«La biennale dovrebbe operare a diversi livelli. Gli spazi delle sedi espositive: la Power Station of Art e la Sunke Villa e le aree circostanti nel complesso del Columbia Circle, ma anche attraverso le pubblicazioni che la Biennale sta lanciando e con una raccolta di brani sonori. La Biennale sta reagendo al modo in cui lo spazio è vissuto oggi».
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