Il decimo episodio del progetto Dalle sculture nella città all’arte delle comunità, a cura di Marcello Smarrelli per Pesaro Capitale Italiana della Cultura – coinvolge Matteo Fato che, nel Quartiere 9 – Soria – Tombaccia – presenta questa sera l’intervento permanente Una favola equestre senza cavalcata (Caretta Caretta), con la curatela di Simone Ciglia.
L’intervento di Fato, racconta Simone Ciglia «nasce in stretta relazione con il territorio. Nei mesi scorsi abbiamo fatto un sopralluogo nel quartiere e abbiamo incontrato il presidente, Stefano Poderi, che è stato determinante per mettere a punto le opere che danno forma a Una favola equestre senza cavalcata (Caretta Caretta). Proprio lui infatti prima ci ha portati alla Biblioteca ‘Louis Braille’, dove siamo rimasti molto colpiti dall’identità del luogo in quanto tale e dall’attenzione nei confronti dell’utenza ipovedente e non vedente, e poi raccontarci la storia e le caratteristiche del quartiere ha citato un episodio che ha molto colpito Matteo, che ha iniziato a ragionare su questo fatto che è diventato una sorta di favola: il ritrovamento di una tartaruga che era venuta a depositare le uova qui in questa zona».
La zona protetta che è stata costruita a seguito dell’accadimento è valso come incipit poetico per Matteo Fato, che si è proposto di sintetizzare i due principi fondanti del dossier di Pesaro 2024, ovvero natura e cultura, riflettendo sulla possibilità di utilizzare l’immagine della tartaruga come come elemento simbolico e identitario di questa zona di Pesaro, della comunità e dei suoi bisogni.
Ecco dunque che il primo componimento – di due – di Una favola equestre senza cavalcata (Caretta Caretta) è una scultura in bronzo su plinto in pietra della Majella dedicata alla tartaruga marina e posizionata sugli scogli prospicienti il Molo Rosa dei Venti, visibile sia dalla spiaggia sia dal mare, a seconda delle maree. Con quest’opera Fato ha, a suo modo, aggiornato e in un certo senso anche smantellato la nozione classica di monumento tanto da ottenere un anti-monumeto: la tartaruga è sì rappresentata secondo i modi canonici della statuaria equestre – è in bronzo e posa su un plinto – ma è, appunto, un animale in scala ridotta – più vicina dunque alla quotidianità che alle monumentalità – ed è raffigurata a fianco di una figura umana, l’autoritratto dell’artista, sullo stesso piano dell’uomo, coesistendo, di fatto, per abbandonare la logica del dominio viene abbandonata in favore di quella della solidarietà.
L’altro componimento, in biblioteca, consiste invece in una serie di cinque quadri tattili, che riproducono matericamente i cinque elementi della corazza della tartaruga in senso astratto, che Fato ha realizzato partendo dal formato dei libri tattili – di cui la biblioteca possiede una ricca collezione – e trasformandolo in chiave pittorica. Nell’allestimento delle opere casse e tappi di copertura non sono gli unici elementi che trovano espressione in una progettualitа site-specific: c’è anche uno straccio, lo straccio di pulitura del pennello, che Fato espone come testimonianza della presenza umana, ristabilendo così il dialogo tra uomo e animale che si trova nella statua.
Le cinque tele più una, che a tutti gli effetti sono a disposizione del pubblico per essere non solo viste ma anche toccate, accompagnano la favola della tartaruga marina a cui è dedicata la statua. Ma qual è questa favola? «Un elemento di favola si era determinato all’inizio del progetto – racconta Simone Ciglia (e aggiungiamo noi che caretta caretta sta per piano piano) – poi nel mentre dello sviluppo non è stato elaborato, per non imporre una narrazione, ma è diventato una sorta di suggestione per il pubblico che può così completare questo evento. L’idea iniziale della favola era quella di un bambino che nasce da un uovo di tartaruga e impara la lentezza».
Quella lentezza che nella ricerca di Matteo Fato è sempre presentimento di altre possibilità, soprattutto nello spazio di oggigiorno, più simile al comporsi sfrenato e variegato di un paesaggio che non allo spazio vuoto delle traiettorie lineari, dove il passo e lo sguardo incontrano tanti ostacoli e altrettanti vincoli che impongono o suggeriscono di procedere con lentezza. Quella lentezza, ancora, che lo spirito di Henry David Thoreau riscopriva nella natura, ritrovando il senso di una continuità di vita per la quale la nostra memoria scritta non dispone di segni: tanto più è intensa la memoria quanto più ci affidiamo alla lentezza, perché la velocità si paga con l’oblio e quando cerchiamo di recuperare un ricordo sfuggente la saggezza del corpo ci induce a rallentare. Ha una morale Una favola equestre senza cavalcata (Caretta Caretta)? Forse no, o forse sì, ed è la consapevolezza che nell’incorrere lentamente si gioca l’occasione di dare al proprio percorso sviluppi sempre nuovi.
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