Continua l’avventura della Tommaso Calabro Gallery, il prezioso spazio milanese in Piazza San Sepolcro che dal 2018 propone mostre originali, ricercate, sempre arricchite da una personalissima contaminazione tra gli interessi del suo fondatore. Twombly, Tancredi, Dubuffet, Rosso, Morandi, Ziegler, ma anche galleristi, moda e design. Tommaso Calabro (Feltre, classe 1990) ci accoglie nel suo studio e si racconta attraverso progetti passati, presenti e futuri. Incluso Casa Iolas. Citofonare Vezzoli, che inaugura il 24 settembre sotto il cielo di Milano.
«È eclettica, questa è la cosa più importante per me. Quando ho aperto la galleria, ho scelto di dar vita a progetti interdisciplinari, filologicamente accurati, incentrati su artisti e grandi galleristi – come Cardazzo e Iolas – attraverso cui abbracciare gli ambiti più vari. Poi ci sono le interconnessioni con la moda e con il design, che avvicinano un maggior numero di persone rispetto alle mostre più tradizionali. A me interessano le storie, mi piace sentirle, raccontarle».
«Sono passioni che ho coltivato nel corso degli anni. La mostra su Iolas deriva dal mio interesse per i cataloghi che lui produceva negli anni Sessanta, Settanta. Questo mi ha spinto a informarmi sulla sua figura e così è nato tutto. Qualcosa di simile è accaduto quando, studiando Cardazzo, ho scoperto che Dubuffet avesse fatto dei dischi con lui. Sono molto aperto, le mie mostre nascono dai miei studi, dalle mie conoscenze, da interazioni anche recenti, come nel caso di Incontri e di Palomba. Il fil rouge di tutto è la mia curiosità».
«Come ti dicevo, adoro le storie, mi piace raccontarle, ma questo significa che debba anche passare del tempo prima di poterlo fare. Io non voglio rappresentare artisti, è un’enorme capacità che però è nello stile delle gallerie del mercato primario, quelle che fanno fiere, che danno visibilità museale ai loro artisti. Tutto questo non rispecchia il mio profilo attuale. A me ad esempio non piacciono le fiere…».
«Miart mi piace e ci tengo a supportare Milano, ma voglio farlo a modo mio, tramite una mostra su Iolas. È una figura storica interessante sotto molteplici prospettive».
«Alexander Iolas nasce ad Alessandria d’Egitto, all’inizio è ballerino, ma negli anni trenta scopre de Chirico a Parigi e inizia la carriera di gallerista: si trasferisce a New York, dirige la Hugo Gallery – dove si tiene la prima mostra di Andy Warhol – finché non sceglie di aprire la sua galleria. All’apice della carriera ne avrà ben sei. Proprio recentemente l’artista Fausta Squatriti mi raccontava di questa figura un po’ dandy e dei suoi rapporti straordinari con artisti, collezionisti, nomi come Yves Saint Laurent. Nella sua villa, oggi abbandonata e completamente vandalizzata, aveva creato un’atmosfera incredibile. Non voglio sembrare troppo di parte parlando solo positivamente di Iolas, ha ricevuto anche molte critiche, soprattutto in merito al modo in cui recuperava i reperti archeologici. Io e Francesco Vezzoli però amiamo entrambi la sua storia…».
«Esatto. Ne parliamo da quando, a Londra, dirigevo la Nahmad Projects. Finalmente siamo riusciti a trovare nei rispettivi calendari un punto di incontro per dar vita a una mostra scenografica, sviluppata su più livelli (dai mobili che Iolas avrebbe amato, alle opere d’arte, ad aggiunte peculiari di Vezzoli). Ed è importante anche dal punto di vista dei prestiti, con opere che provengono da fondazioni o da collezioni private, italiane e internazionali».
«Dall’apertura a oggi abbiamo sviluppato otto o nove progetti, portando in mostra artisti, opere e confronti che non è scontato vedere qui a Milano. Quindi direi che sono molto contento. Adesso abbiamo in mente idee altrettanto belle…».
«Vorrei fare una mostra su Sol LeWitt, poi su Luigi Boille, collaborare con Alberto Salvadori e con Paola Nicolin… Ho un bel programma in cantiere. C’è anche un’artista italiana contemporanea molto brava che seguo con interesse, spero di organizzare presto qualcosa insieme».
«Io sono stato molto fortunato, desidero lavorare in questo ambito da sempre. Il mio consiglio è di capire il prima possibile cosa si vuole fare e poi concentrare subito le energie in quella direzione. Siamo in un mondo in cui le occasioni non mancano, ma bisogna anche sapere creare opportunità ex novo. La galleria è stata una scommessa, non l’ho aperta con la certezza che il progetto funzionasse. Bisogna crederci. Il rischio nel buttarsi, secondo me, è inferiore a quanto si possa perdere posticipando le decisioni della vita».
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