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Come si guarda e cosa si vede in un mondo sommerso di immagini? E cosa è, Luigi Ghirri, un viaggio?
Opening
«Non era curioso, era gentile» racconta in un video in mostra Adele Ghirri, figlia di Luigi Ghirri, a proposito di quel suo modo di fotografare che oggi il MASI Lugano restituisce tout court con Luigi Ghirri. Viaggi, la mostra a cura di James Lingwood che racconta della fascinazione per il viaggio e anche, soprattutto, della sua poetica – e della sua etica, mai giudicante ma sempre sensibilmente gentile nei confronti dell’altro – che ha guidato l’umano desiderio di riuscire a creare un equilibrio tra mondo interno e mondo esterno, tra memoria personale e memoria collettiva. Non c’è, infatti, solo il suo vissuto: c’è il suo e c’è quello degli altri, sempre ripresi di spalle, per quella gentilezza, appunto, che rende le fotografie di Ghirri uno straordinario unicum testimone di chi fosse questa figura pioneristica e influente pensatore della fotografia e del suo modo di guardare tutti, nessuno escluso e nessuno privilegiato, e di fotografarli, a colori perché «perché il mondo non è in bianco e nero».
L’opera di Ghirri, come lui stesso la definì nell’introduzione a Paesaggio italiano e come ricorda il curatore nel testo in catalogo che accompagna la mostra, presenta «una cartografia imprecisa, senza punti cardinali, che riguarda più la percezione di un luogo che non la sua catalogazione o descrizione, come una geografia sentimentale dove gli itinerari non sono segnati né precisi, ma ubbidiscono agli strani grovigli del vedere». Già, quegli strani grovigli che in qualche modo, per qualche sottile ragione, ci appartengono fino a sembrarci – loro, ma anche Ghirri – familiari. Perché del resto ognuno di noi e tutti noi, almeno una volta, come lui, con la macchina fotografica, o con le fotocamere dei telefoni, abbiamo guardato qualcosa e documentato una gita: «non c’è gita senza fotografia», soleva dire. Ma se un viaggio non è pensabile senza fotografia e se «la fotografia è un viaggio, con molti scarti e ritorni, casualità e improvvisazione, una linea a zig-zag» – ha ricordato Lingwood in fase di presentazione – che cosa è un viaggio, Luigi Ghirri?
Concetto e fonte di immagini, certo, dalle gite domenicali nelle città che chiamava «avventure minime» alle mete più frequentate, e poi cos’altro? Uno spostamento geografico, un’esplorazione, immaginazione o esperienza, una ricerca del sé, un incontro con l’altro? Forse tutto. Perché sovente capita, nel percorso espositivo, di trovare – si, trovare, come Ghirri fin dalle fotografie dei primi brevi viaggi all’inizio degli anni ’70 fu attratto dalle immagini trovate – un aspetto, un luogo, un segreto o un vissuto in cui riconoscersi. Per qualcuno sarà Hergiswill, o Modena, o Scandiano, o il Passo Rolle. Per altri sarà Roma, o Trieste. Per qualcuno, addirittura, sarà magari Porto Recanati. Sono gli strani grovigli del vedere no?
Proprio quelle immagini trovate, nell’ambiente quotidiano, come manifesti, cartelloni pubblicitari e cartoline che raffigurano persone, luoghi, esperienze, souvenir, mappamondi, palle di vetro e cieli stellati, aprono il percorso di Luigi Ghirri. Viaggi. Queste fotografie, che appartengono ai primi anni ’70, ai viaggi del fine settimana, da Modena verso il Nord Italia e la Svizzera, Ghirri le riunì nel 1973 in una serie che scelse di chiamare Paesaggi di cartone – poi confluita nella più ampia Kodachrone – e stimola, come ricordano il curatore e Ludovica Introini che ha coordinato il progetto e gli Eredi, un’interessante riflessione tra quello che siamo e quello che dobbiamo essere. Ghirri a tal proposito scrisse che «La realtà in larga misura si va trasformando sempre più in una colossale fotografia e il fotomontaggio è già avvenuto: è nel mondo reale». E proprio di mondo reale, di montagne, laghi, sole e mare, vive la seconda sezione del percorso espositivo, che accoglie un’attenta selezione di gite di Ghirri: Modena, Rimini, Marina di Ravenna, le Dolomiti, le Alpi Svizzere, e anche qualche classica destinazione turistica come Parigi, Versailles, Venezia, Amsterdam, Roma, Napoli e Capri, con i suoi Faraglioni. Questa sezione comprende anche alcune fotografie della serie Vedute, frontali, con contorni netti e senza alcun elemento di disturbo, e altre della serie Diaframma 11, 1/125, luce naturale, dove compaiono persone nel tempo libero – che giocano sulla spiaggia o camminano in montagna – viste, gentilmente, di spalle o da lontano.
Nel cuore della mostra sono esposti due progetti che Ghirri ha realizzato a casa e che sono fondamentali per la sua opera. «Il primo si intitola Atlante e consiste in fotografie ravvicinate di mappe dell’atlante personale di Ghirri. l’Atlante era uno dei suoi libri preferiti e come amava dire, “nell’Atlante sono descritti tutti i viaggi. Perché il viaggio inizia nella mente”. Il viaggio inizia immaginando o sognando o pianificando di andare in un luogo, e poi ci si va davvero. E nel periodo in cui Ghirri iniziò a scattare le sue fotografie, negli anni ’70, sia i viaggi verso destinazioni per le vacanze o per svago o la fotografia, iniziavano a essere più accessibili. Per questo l’idea di viaggio è molto importante per Ghirri. Il secondo lavoro che realizzò a casa si chiama Identikit, che iniziò nel 1975 e consiste in scatti ravvicinati di una stanza della sua casa dove teneva i suoi libri e i suoi dischi e le mappe con cui pianificava i suoi viaggi, e anche souvenir e ricordi dei suoi viaggi. Identikit è una sorta di autoritratto, di tutte le diverse influenze che alimentarono il suo lavoro», racconta Lingwood.
La sezione successiva è dedicata all’Italia in Miniatura, un parco a tema, a Rimini, che divenne per Ghirri il soggetto di un’opera intitolata In scala. Questo parco fu per lui – che intuì molte somiglianze con la fotografia, dalla riduzione in scala alla compressione del tempo e dello spazio – come «un atlante tridimensionale»: ci sono le Dolomiti, il Monte Bianco, i grattacieli Pirelli di Milano, l’Autostrada del Sole, la Basilica di San Pietro, Piazza del Campo di Siena. C’era, e c’è, quell’Italia che è protagonista dei viaggi che chiudono la mostra. Negli anni ’90 Ghirri percorse tutta l’Italia, da Nord a Sud, da Est a Ovest, dalla Valle d’Aosta a Trieste alla Sicilia: era stato invitato dall’ente del turismo a scattare fotografie. Anche il Touring Club gliene commissionò, e anche il Ministero della cultura francese. Il suo archivio ormai era grande, ed era in continua crescita, tanto da permettere la nascita di diversi viaggi attraverso le immagini: Viaggio in Italia, Paesaggio italiano, Il profilo delle nuvole. Immagini di un paesaggio italiano e Viaggio dentro un antico labirinto.
Quello di Ghirri è sempre stato un approccio diretto. E parimenti lo è, da un punto di vista curatoriale, quello di Lingwood qui a Lugano. Giunti alla fine la mostra può essere percorsa a ritroso, guardando e lasciandosi colpire da ciò che si trova, spiando il mondo, allargando lo sguardo, ricercando qua e là elementi di affezione: come in un flusso di coscienza che procede per scarti e per stupore. Come Ghirri, come le sue fotografie gentili.