Come possiamo immaginare, e soprattutto creare, il futuro che vogliamo vivere? Come possiamo contribuire al bello comune? La mostra “Contaminazioni” alla saracenoArtgallery arriva, e ci risponde, come un’obbligatoria nota di speranza: nel momento di cauta e iniziale ripresa, dopo un lungo periodo in cui il concetto di contaminazione è diventato quasi un tabù, assimilando l’accezione negativa del sinonimo “contagio”, è decisa e tenace Marilena Saraceno nell’affermare che «la parola contaminazione deve perdere la valenza che ha avuto in quest’ultimo anno e riprendere la sua accezione positiva di condivisione di vissuti, di esperienze, di scambio».
Condivisione, dunque, che stimola la contaminazione e ci fa apparire il percorso espositivo come un caleidoscopio vivo, animato da diciassette opere di sette artisti, ognuno dei quali sembra esplorare le possibilità di ciò che si può fare, ciò per cui si può lottare in questo nostro mondo mezzo distrutto.
Con questa premessa scopriamo “Contaminazioni”
«I protagonisti di “Contaminazioni” sono tutti artisti ‘solidi’, con un percorso professionale ben definito e già conosciuto dal pubblico, ognuno per le proprie peculiarità e cifre stilistiche. La mia scelta di raggrupparli in una collettiva è stata da un lato il tentativo di dare una risposta ‘corale’ alla ricerca del bello e all’idea dello stesso che ognuno di noi coltiva, fornendo allo spettatore più spunti di riflessione e stimoli possibili, dall’altro quella di proporre la mia idea del bello (con molti di questi artisti convivo da anni perché presenti nella mia collezione) e della mia ricerca del bello (alcuni sono frutto di incontri e di fascinazioni recenti).
Provo ad introdurli secondo la mia percezione e secondo le opere che ho scelto per “Contaminazioni” non certo esaustiva del loro lavoro: Lucio e Peppe Perone mi ricordano la semplicità e la concretezza della mia infanzia, la visita nel loro studio che è un posto magico ha dato alle opere che colleziono una valenza ancora maggiore, trasformare in un’arte immediata e giocosa il proprio quotidiano è, a mio avviso, la sublimazione del concetto di arte.
Alex Pinna con le ’sue figure silenziose, fragili e dubbiose, effimere’ – come lui stesso le definisce – induce a riflettere sul senso della vita e sulla caducità della stessa esprimendo con la loro semplice eleganza che sulla fragilità si può vincere e diventare immortali.
Antonella Zazzera con i suoi ‘gomitoli’ di rame che tesse e trasforma in lavori archetipi, rigorosi ed eterni, sembra suggerire che il tempo può essere tessuto e che tutti siamo responsabili della trama e dell’ordito della nostra vita.
Paolo Ceribelli in ogni suo lavoro ci conduce per mano alla ricerca di una seconda possibilità, e così i carri armati diventano coloratissimi come un arcobaleno e l’immagine perde la sua valenza originaria e diventa colore e gioco.
Matteo Peretti con la serie di dinosauri trafitti che simboleggiano la fine di un mito evoca come un percorso evolutivo, di qualunque natura esso sia, preveda fasi cicliche di morte/nascita/rinascita/evoluz
Alessandro Valeri con il suo neon dove la parola ‘ancora’ è più volte ripetuta suggella la bulimia di cui siamo tutti vittime – io per prima – e con il suo colore rosso (gas primario presente in natura) evoca passioni che dovrebbero continuare a bruciare alimentandoci».
«Unire loro, le loro opere e le declinazioni del bello che ci propongono è stato un tentativo di far arrivare messaggi diversi allo spettatore. Le opere fungono da stimolatori sensoriali e chi guarda da un lato deve supinamente lasciarsi contaminare, dall’altro deve farsi parte attiva nel ricondurre, in maniera autonoma, le opere esposte a quell’evento eccezionale, per l’appunto unico, che è l’arte».
«Per rispondere a questa domanda non posso che citare uno stralcio dall’Eleganza del riccio, in cui, oramai in un tempo remoto, lessi il ‘sempre nel mai’: «Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita è così: molta disperazione, ma anche qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai. Sì, è proprio così, un sempre nel mai». Bene in questo caleidoscopio di esperienze, di messaggi, di vissuti diversi, lo spettatore può e deve lasciarsi contaminare fino a riconoscersi e a trovare la sua traccia, il suo sempre nel mai… Le opere esposte in contaminazioni sono le mie note musicali…».
«Dopo “Contaminazioni” dedicherò
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