Mutating bodies imploding stars | Mutanti sotto un cielo che implode, visitabile fino al prossimo 17 settembre, s’incentra su uno dei topos più attuali e frequentati dell’arte contemporanea: il rapporto del corpo umano con la natura e l’ambiente, in una girandola di immaginazioni e mutazioni, secondo un’impercettibile, ma inesorabile, scivolamento dal culturale al naturale.
In mostra sono esposte opere di artisti nati tutti negli anni ottanta. Sono: Alex Baczyński-Jenkins (1987, Polonia/Regno Unito/Germania), Eglė Budvytytė (1981, Lituania/Paesi Bassi), Guglielmo Castelli (1987, Italia) e Raúl de Nieves (1983, Messico/Stati Uniti). Il percorso espositivo si snoda, così, in un mix di media differenti, che vanno dalla sound art alla pittura più tradizionale, passando per un’opera video e alcune installazioni realizzate con materiali eterogenei, come stoffe e lustrini. Per il 7 e il 15 di settembre sono previsti anche alcuni eventi aperti al pubblico (qui il dettaglio) con sound performances ispirate all’antica musica giapponese mixed up con la musica noise.
Protagonisti della mostra, secondo le diverse declinazioni, sono i corpi che mutano, come recita il titolo dell’evento. La mutazione avviene secondo una mutazione biologica e chimica, prima ancora che psichica. Trasformandosi in piante o minerali, con lo spirito muto e sordo di sorta di avveniristici robot, i corpi si ricoprono alternativamente di licheni o lustrini, a volte riecheggiando le visioni volutamente distorte di Francis Bacon in salsa à la (Sigmund!) Freud (Castelli), altre certe opere di Damien Hirst (Budvytytė).
Visione terrificante e incubo che paventa la perdita di sé, esattamente agli antipodi dal principium individuationis, oppure desiderio struggente di trascendere i limiti dell’umano, precisamente nella sua corporeità, per farsi fisicamente e concretamente parte dell’ambiente circostante, oltre ogni limite o confine, senza soluzione di continuità.
Questo, alla fine, sono i corpi mutanti: corpi senza limiti, anzi, senza limite, che si estendono senza controllo di coscienza, a identificarsi con un ambiente che non è più paesaggio. Mostruosamente interdipendenti e iperconnessi, senza individualità soggettiva che sia capace di porsi in relazione, non più identificabili come persone, i corpi sono, così, protagonisti di una transizione verso una sorta di non-luogo naturale, di cui è difficile identificare i confini anche concettuali. Siamo in un ambiente in cui l’archetipo si è mangiato tutto, e il corpo annega in una materialità senza alcun tipo di argine razionale.
La mostra, nel suo complesso, è insieme un incubo e un avvertimento, un sogno delirante e un monito. Ma è soprattutto uno stimolo alla riflessione, il tutto all’interno di un percorso espositivo variegato e intenso, godibile e suggestivo.
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…
Si intitola “Lee and LEE” e avrà luogo a gennaio in New Bond Street, negli spazi londinesi della casa d’aste.…
Un'artista tanto delicata nei modi, quanto sicura del proprio modo d'intendere la pittura. Floss arriva a Genova in tutte le…
10 Corso Como continua il suo focus sui creativi dell'arte, del design e della moda con "Andrea Branzi. Civilizations without…