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Dep Art Gallery riparte con Addamiano, Biasi, Pinelli e Simeti
Opening
di Silvia Conta
Oggi, 20 maggio, a Milano Dep Art Gallery riapre, su appuntamento, i propri spazi al pubblico con la collettiva con opere di Natale Addamiano, Alberto Biasi, Pino Pinelli, Turi Simeti “In the Matter of Color” (fino al 4 luglio), a cura di Matteo Galbiati.
«Dopo alcune personali di artisti internazionali, la Dep Art Gallery sceglie di riprendere l’attività espositiva dopo il lockdown con una mostra “made in italy” dedicata a quattro tra i più rappresentativi maestri italiani – viventi – dell’arte del secondo dopoguerra», si legge nel comunicato stampa.
Antonio Addamiano, fondatore e direttore di Dep Art e delegato ANGAMC Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea per la Lombardia ci ha raccontato i mesi recenti di Dep Art e la situazione delle gallerie di Milano.
L’intervista a Antonio Addamiano
Per Dep Art la mostra “In the Matter of Color” è un “ritorno alle origini”, puoi spiegarci perché?
«Questa mostra vede protagonisti quattro degli artisti con cui la Dep Art ha iniziato il suo percorso nel 2006. Con loro abbiamo prodotto, non solo mostre e cataloghi in galleria e nei Musei, ma abbiamo pubblicato anche due cataloghi ragionati, ri-fondato un archivio e organizzato un “discreto” numero mostre all’estero. Questa è l’idea con cui ho fondato la Dep Art: lavorare insieme ai propri artisti, pochi e selezionati, per diventare sempre più internazionali. Nello specifico, il progetto “In the Matter of Color” è nato nel 2018 per essere esposto a Taipei e Hong Kong nelle due sedi della Whitestone Gallery, con l’obiettivo di proporre una collettiva che fosse espressione dell’arte italiana contemporanea, che si evolve dal secondo dopoguerra, e che rappresenti diversi gruppi e movimenti. Nel 2019 viene esposta a Palazzo del Monferrato di Alessandria e, adesso, torna nello spazio che l’ha concepita».
Come avete affrontato la lunga chiusura della galleria dovuta al lockdown e la ripartenza?
«Inizialmente abbiamo sostenuto lo spot “Milano non si ferma” del 27 febbraio. Devo ammettere che aprire il 3 marzo la mostra “Il gesto dell’Oriente. Cinque voci dell’Avanguardia coreana”, con Chun Kwang Young, Park Seobo, Lee Bae, Lee Ufan, Kim Tschang-Yeul, su cui avevamo lavorato per mesi con il curatore Gianluca Ranzi, si è rivelato un errore, un’occasione mancata, e purtroppo non è stato possibile prorogarla.
Durante la chiusura di marzo ho tenuto lo staff in smart working, completando comunque il catalogo della mostra, riorganizzato il database interno e tutto il materiale fotografico dal 2006 ad oggi, tenendo contemporaneamente aggiornati i portali e i social. Ad aprile abbiamo usufruito della cassa integrazione, poiché rientravamo tra le attività commerciali cui faceva riferimento il Decreto, senza però abbandonare i portali online, gestiti da me.
Con la ripartenza e il rientro dell’intero staff in galleria, stiamo pianificando le mostre e le strategie della stagione 2020/2021».
In questi mesi molte gallerie hanno incrementato l’uso dei social, come si è mossa Dep Art rispetto a questo?
«Siamo sempre stati attenti ai vari social, fin dalla loro ideazione, analizzando via via il loro appeal, gli utenti, le nuove applicazioni e i riscontri/interazioni che hanno, nella società “connessa” in cui viviamo.
Per esempio, dieci anni fa era fondamentale avere una presenza su Facebook e Youtube, poi negli ultimi tre anni sono divenuti leader i social come Instagram, che non ha bisogno di spiegazioni, ma anche Pinterest, molto apprezzato dagli algoritmi di Google che oramai analizza tutto ciò che “mente e corpo” compiono durante la giornata.
Vista la nuova situazione, la strategia è stata quella di concentrarsi sugli aggiornamenti costanti di Facebook e Instagram, con storie quotidiane e post settimanali; arricchire il canale Youtube, colmando i vuoti delle mostre precedenti, come quelle di Turi Simeti (che potete vedere qui sotto, ndr), Tony Oursler o Mario Nigro. Inoltre, abbiamo aggiornato e postato contenuti su Linkedin, un social particolare, da noi abbondonato per anni, che invece potrebbe rivelarsi un’interessante piattaforma».
Nella chiacchierata al telefono di poco fa hai ricordato come, nonostante la gravissima situazione di questi mesi, siano anche rintracciabili degli aspetti positivi nelle modalità di lavoro imposte dalla pandemia. In che termini?
«Sicuramente il principale aspetto positivo è stata la disponibilità di tempo. Tempo per leggere, non solo sfogliare, i testi all’interno dei cataloghi, delle riviste e dei saggi. Tempo per controllare e riorganizzare il lavoro che si è fatto in questi anni, e tempo per dedicarsi ai propri artisti, collezionisti e curatori, parlare e ascoltare».
Sei il delegato ANGAMC per la Lombardia, come è la situazione attuale delle gallerie in regione? Con che spirito si riparte? Quali sono le principali necessità delle gallerie lombarde in questo momento?
«ANGAMC alla fine di aprile, ha inviato una lettera al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Dario Franceschini, per provare ad allineare la situazione fiscale e giuridica delle gallerie d’arte sui modelli internazionali degli altri stati membri, decisamente più snelli. In particolare, le gallerie lombarde, che hanno dovuto chiudere prima delle altre, ed abituate ad un costante presenza di visitatori internazionali, hanno subito un duro colpo.
Ho avvertito, da parte di tutti i miei colleghi, la voglia di ripartire e di unirci in un nuovo progetto, che potrebbe essere una nuova piattaforma on line o la nuova sede di ANGAMC a Milano. Vogliamo creare in Lombardia un luogo d’incontro per tutti i galleristi italiani, che sia aperto agli associati, magari per la presentazione di un libro, o per un progetto/mostra comune a tutti. Sarebbe bello diventasse una biblioteca “privata”, contenente tutte le preziose edizioni realizzate dalle gallerie d’arte, e quindi messe a disposizione, per esempio, dei numerosi studenti che costantemente ci contattano».
Come vedi l’immediato futuro delle gallerie lombarde e dell’intero Paese?
«Sarà una ripresa lenta, ma che potrà portare benefici nel lungo periodo se questa dura esperienza che ci ha riorganizzato “interiormente” non verrà dimenticata. Bisogna essere positivi, continuare a trasmettere la nostra passione con il lavoro che facciamo, ma anche far tesoro delle conseguenze negative che i mesi di quarantena ci hanno portato».