Categorie: Opening

Di fronte a Hockney, | state seduti comodi? |

di - 23 Giugno 2017
Immaginatevi seduti, perfettamente immobili, bloccati su una sedia non troppo comoda (modello vagamente Biedermeier), con un vecchio uomo intento a scrutarvi intensamente, per tre giorni consecutivi, per venti ore di posa. Forse vi sentireste un po’ a disagio, con le terga indolenzite e un formicolio di inquietudine. Come in un sequel di Saw-L’enigmista. Ma è questo il prezzo che avreste dovuto pagare al grande David Hockney se aveste accettato di posare per uno dei suoi 82 ritratti in mostra a Ca’ Pesaro. Eseguiti con colori acrilici tra il 2013 e il 2016, sono tutti identici nel formato (121,9×91,4 cm), hanno la stessa intensa luce del suo studio californiano e il medesimo sfondo colorato in blu e verde, tanto da essere considerati dall’artista come un unico corpus di lavori. Questi ritratti accolgono una tassonomia di tipi e caratteri diversi, un saggio visivo sul corpo umano che trascende le classificazioni di genere, identità e nazionalità. All’interno dell’apparentemente limitato formato della figura, assisa su uno sfondo bitonale, si frammenta e si esprime un’infinita gamma di temperamenti umani.
Con queste premesse, va in scena un particolare spaccato della vita di Hockney a Los Angeles, delle sue relazioni con il mondo artistico internazionale, con galleristi, critici, curatori, artisti, amici, volti del jet set, ma anche di familiari e gente comune. Ecco allora, tra gli altri, John Baldessari, Celia Birtwell, Dagny Corcoran, Larry Gagosian, Frank Gehry, Barry Humphries, David Juda, Jean-Pierre Gonçalves de Lima, Stephanie Barron e Jacob Rothschild, così come il fratello e la sorella di Hockney, John e Margaret.
Il risultato finale è impressionante: nonostante l’uniformità voluta delle dimensioni e del contesto, in ogni ritratto spicca la personalità di ognuno che l’artista inglese è riuscito a mettere a fuoco con magistrale incisività attraverso un’esecuzione rapida, scandita da una tavolozza rumorosa e aspra, in parte come omaggio a Matisse, da cui riprende quegli sfondi che tanto ricordano quelli de La danza.
È il ritorno di un genere che guarda a certi suoi celeberrimi acrilici su tela, come il ritratto di Christopher Isherwood e Don Bachardy (1968) oppure Mr e Mrs Clark e Percy (1970-71), un capolavoro di tensione domestica messa a tacere tra questi due protagonisti della swinging London, gatto bianco sulle ginocchia di lui, lei in abito lungo. E Hockney continua a essere interessato tanto ai volti quanto alla moda per cogliere qualche sfumatura rivelatrice della sfera più intima dei suoi modelli. Barry Humphries, per esempio, appare come un curioso algoritmo di bizzarri accostamenti, tra una cravatta larga dal rosso sgargiante a pois, scarpe abbinate, pantaloni rosa shocking, un berretto di feltro old-fashioned, e quel suo luccicante sguardo sfuggente e distratto.
Dopo aver passato in rassegna tutti i dipinti, come scorrendo l’album di figurine dei calciatori (sembra proprio l’effetto voluto dall’artista), si ha però l’impressione che il vero soggetto della mostra non sia nessuna delle 82 persone ritratte, ma lo stakanovista Hockney, lo stesso che, a 80 anni suonati, continua a stupirci. Non importa chi siano i suoi modelli, per quanto famosi, influenti, ricchi possano essere. Il maestro della Pop d’oltremanica, infatti, li ha dipinti tutti allo stesso modo con l’intento di imporsi su di loro e, quasi, di impossessarsene, mettendo in scena un’installazione che assume i connotati di un autoritratto trasgressivo e, nel contempo, di un monumento alla vitalità della pittura contemporanea.
Questa chiave di lettura sembra fornirla l’unica natura morta esposta perché, per dirla con le parole di Eddy Frankel che ha recensito la tappa londinese della mostra, “è come se l’artista intendesse dire che non c’è alcuna differenza tra alcune banane e Rothschild, tutti e due sono andati a finire come un dipinto di Hockney”.
La mostra “82 ritratti e 1 natura morta” di David Hockney, da oggi sarà visibile a Ca’ Pesaro fino al prossimo 22 ottobre, e poi proseguirà poi il suo tour al Guggenheim Museum di Bilbao. Il gran finale è invece previsto al LACMA di Los Angeles. (Cesare Biasini Selvaggi)

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