«Eppur si muove!». Si dice che questa nota frase sia stata pronunciata da Galileo Galilei uscendo dal tribunale dell’Inquisizione nel 1633. Costretto all’abiura delle sue teorie astronomiche, Galileo avrebbe detto ai giudici: «Con cuor sincero e fede non finta, abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie». Aggiungendo però, nell’atto di andarsene: «Eppur si muove», riferendosi alla Terra. In realtà, la frase gli fu attribuita più tardi, nella metà del XVIII secolo, dallo scrittore Giuseppe Baretti in un’antologia scritta in difesa dello scienziato.
Se la Chiesa è stata più volte accusata di opporsi al progresso scientifico (e il caso più emblematico è proprio quello di Galileo Galilei) altrettanto, invece, non può dirsi per l’arte che, anzi, nei secoli ha cavalcato spesso l’upgrade tecnologico. Fino alla figura dell’artista-tecnologo, profetizzata da Marinetti e anticipata dal suo movimento d’avanguardia, che ha trionfato a distanza di poco meno di un secolo oltre le più ardite e provocatorie aspettative. Dall’indagine futurista sulla relazione uomo-macchina elettromeccanica, nell’ambito di una scienza pre-einsteiniana, si è passati infatti agli esperimenti, nel contesto di una scienza relativistica, condotti da gruppi come quelli T e N dell’arte cinetica (dal greco kinêin cioè “muovere”) negli anni Sessanta. “Cinèsi” quindi, ovvero movimento, ancora una volta illusorio come nelle opere futuriste, e in quelle per esempio dei cinetisti Victor Vasarely e Alberto Biasi, mediante l’accostamento di linee rette e curve e l’alternarsi del bianco e del nero, comunque di colori chiari e scuri. Ma anche movimento reale, quando l’oggetto si muove da solo, come per spostamenti d’aria (il caso più noto sono i mobile di Alexander Calder), oppure quando è mosso dallo spettatore: si pensi agli oggetti a composizione autocondotta (fine anni Cinquanta) di Enzo Mari o alla Scultura da prendere a calci (1959) di Gabriele De Vecchi. In altri casi, artisti come lo stesso De Vecchi, ma anche Davide Boriani e Bruno Munari, hanno elaborato oggetti che si muovono meccanicamente, attraverso motori interni all’opera stessa oppure in un gioco di poli e attrazioni magnetici. Con l’intento, anche in quest’ultimo esempio, di conseguire il superamento della nozione tradizionale di arte coinvolgendo lo spettatore sul piano psicologico e percettivo. Il continuo gioco tra movimento reale e virtuale è stato esaltato anche dalla presenza della luce e delle rifrazioni luminose, costante ricorrente nella maggior parte delle opere presenti da oggi, a Bologna, nei locali della galleria Spazia. Dove sono riuniti alcuni esponenti dell’arte cinetica internazionale, tra i quali Davide Boriani, Martha Boto, Nino Calos, Gianni Colombo, Toni Costa, Dadamaino, Karl Gerstner, Franco Grignani, Manfredo Massironi e Joel Stein. Passare in rassegna le loro opere esposte richiama alla nostra mente anche la lungimiranza, a tratti profetica, di questi artisti che hanno anticipato i più recenti esperimenti di ibridazione arte-scienza sperimentata dagli anni Ottanta, nelle condizioni inedite costituite dalle tecnologie “immateriali” dell’informazione digitale, fino all’incipiente bioarte, un’esperienza transculturale che restituisce gli esiti più imprevedibili dell’ingegneria biologica attraverso una morfologia estetica. (Cesare Biasini Selvaggi)
In alto: Davide Boriani, Superficie magnetica (1959-66). Alluminio, polvere di ferro, magneti, 64 x 67 x 28.5 cm
In home: Dadamaino, Rilievo fluorescente (1969). Tecnica mista su tavola, 80 x 80 cm
INFO
Opening: ore 18.00
Light & Motion in Art
dal 21 ottobre al 25 novembre 2017
Galleria Spazia
via dell’Inferno 5, Bologna
orari: dal martedì al sabato, dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.30. Chiuso lunedì e festivi
www.galleriaspazia.com