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Ettore Frani e il Sassoferrato: Salvifica tra luce e silenzio
Opening
Figurativo, raffinato, meticoloso, lento e ispirato, Ettore Frani; fermo, determinato – stilisticamente e concettualmente – e diverso, da tutti gli artisti della sua epoca, il Sassoferrato. Corrono ben 369 anni tra le date di nascita dei due pittori che Federica Facchini e Massimo Pulini pongono in dialogo, in maniera del tutto ed egregiamente imprevedibile, in occasione di SALVIFICA. Il Sassoferrato e Ettore Frani, tra luce e silenzio nell’ambito della 72^ edizione della Rassegna Internazionale d’Arte | Premio G.B. Salvi che inaugura oggi nel comune di Sassoferrato (e resterà visitabile fino al 28 gennaio 2024).
Il Sassoferrato «guardava all’antico ma preparava il futuro», spiega Pulini, Frani «osserva il mondo come un libro da tradurre, con empatia e grande umiltà», prosegue Facchini. E dunque, cosa li lega? Tanto anzi, tantissimo. Reale, riduzione e rigore sono le prime chiavi che i curatori ci forniscono: a prescindere dal tempo, dai secoli, dai canoni, il Sassoferrato ed Ettore Frani, partendo da un dato reale, che gli appartiene dunque, condividono un sentimento riduzionista che si manifesta nella stesura pittorica lasciando emergere un rigore tecnico, esecutivo, concettuale, e parimenti umano e individuale.
Ma c’è dell’altro, qualcosa che ha a che fare con l’introspezione, il raccoglimento, la concentrazione meditativa, finanche il sacro e le possibili, nonché variabili, declinazioni sacrali. Non è del resto profondo e, appunto, sacro, il bisogno che abbiamo d’incanto? Si, e tra luce e silenzio, con SALVIFICA, ce ne accorgiamo nel mentre.
Come se si fossero inventati a vicenda, come se ciascuno fosse frutto di un incantesimo dell’altro, come se l’uno fosse autore dell’altro: il dialogo tra il Sassoferrato e Frani si gioca tutto nella sintesi, formalmente, e nella proposizione semplice “tra”, concettualmente. Tra luce e buio, tra bianco e nero, tra conoscenza e svelamento, tra reale e incanto, tra poesia e rigore. Lungi da qualsiasi forma di contrapposizione, Facchini e Pulcini percorrono volontariamente e consapevolmente questo ponte che collega il ‘600 al XXI secolo con l’obiettivo di porre le basi per un rinnovamento del pensiero che fondi un nuovo punto di osservazione. Come un «laboratorio di ricerca», hanno suggerito i curatori, in cui prende forma quello che Hegel illustrava così nella sua Fenomenologia dello Spirito: «Non è difficile a vedersi come la nostra età sia un’età di gestazione e di trapasso a una nuova era: lo spirito ha rotto i ponti col mondo del suo esserci e rappresentare, durato fino a oggi; esso sta per calare tutto ciò nel passato e versa in un travagliato periodo di trasformazione».
Più della filosofia, è il sentimento a disporci a una sensazione salvifica attraversando un percorso che poeticamente si inscrive nel segno della sineddoche, che emerge attraverso un lavorio meticoloso e ispirato di asportazione, graffiatura e incisione del colore nero – inteso come primigenio e di cui Frani fa uso esclusivo e totalizzante – dalla tavola preparata e laccata bianca. Emergono così, sprigionandosi dal buio assoluto, le mani (di Frani e della compagna Paola Feraiorni) nel dittico I desideranti, che inizia il percorso catalizzando, irradiando e sollecitando visivamente l’intimo dialogo con le opere del Sassoferrato.
Tra le inedite versioni di Madonna orante del Sassoferrato e di Luminosa del Frani, tra le seicentesche Madonna con il Bambino e i più recenti Sommersi, tra un San Giovanni Battista Bambino e una Pupilla, la pittura si spoglia delle forme e dell’ego e si fa preghiera, quotidiana, terrena, appassionata e responsabile. Il gioco di reciprocità che coinvolge lo spirito e la materia attraversa le pareti e corre sensibilmente tra le sale, lasciandosi comprendere dai cuori più commossi, pronti a sondare il mistero del buio silenzioso attraverso il solo varco della luce, una luce abbagliante ed epifanica che suggerisce profondità insondabili.
La metafora ontologica, esistenziale e simbolica di Ettore Frani, resa esplicitamente nell’installazione Offerta in cui un pennello sostiene un sasso, si cristallizza in un tempo sospeso, creando le condizioni affinché si possa fare sentimentalmente esperienza del peso della storia e dell’umanità come dell’incanto della pittura, che si compie e si rinnova eternamente.