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‘Fabvlae’ a Tivoli. Intervista a Petra Feriancová
Opening
di Silvia Conta
Da domani, 18 luglio, Villa d’Este e il Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli, patrimonio UNESCO, ospitano “FABVLAE”, la personale di Petra Feriancová (1977 Bratislava, Slovacchia), a cura di Andrea Bruciati (fino al 13 settembre).
Le basi per il progetto espositivo, realizzato grazie al supporto dello Slovak Arts Council, sono state gettate nell’ottobre 2019: «nell’ambito di Level 0 – Art Verona, importante occasione di collaborazione tra musei e artisti contemporanei, il direttore delle Villae di Tivoli, Andrea Bruciati, ha guardato al lavoro dell’artista Petra Feriancová, rappresentata dalla Galleria Gilda Lavia di Roma, per sviluppare un racconto dei siti tiburtini inedito nella poetica e nel vocabolario, eppure coerente con lo spirito dei luoghi », si legge nel comunicato stampa.
«Nuove possibilità creative maturano nel fertile humus delle Villae, istituto in cui convergono esperienze diverse e che sta costruendo una nuova identità visiva e culturale, radicata nel passato, ma attenta al presente e decisamente proiettata nel futuro. Ho scelto il lavoro di Petra Feriancová per la sua attenzione alla catalogazione e alla memoria individuale che si deposita nell’immaginario collettivo. Tali aspetti risultano coerenti con la stratificazione culturale che connota la natura delle Villae di Tivoli», ha spiegato Andrea Bruciati.
Petra Feriancová ci ha raccontato la mostra
Con quale approccio ti sei avvicinata a un luogo ricco di storia e testimonianze antiche come Villa d’Este e il Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli?
«Ho fatto una visita per il sopralluogo a Villa d’Este a febbraio, per poter pensare velocemente a un progetto, per me è essenziale non allontanarmi dalla prima idea spontanea e originale, nata risolvendo subito le questioni dei limiti legati al luogo. Limiti e velocità sono fondamentali, ma continuo sempre a cercare le soluzioni. Inoltre, la cosa positiva è stata il supporto di Andrea Bruciati che ha accettato quasi tutte le proposte fatte; consultandomi con lui, Giulia Floris e l’archeologo, era per me importante poter sviluppare l’idea della “passeggiata” in questi luoghi. Poi, grazie al supporto della mia galleria Gilda Lavia e allo Slovak Arts Council, ho potuto seguire il processo della produzione della mostra anche dalla Slovacchia.
Villa d’Este e il Santuario sono luoghi talmente ricchi, pieni di bellezza, che non si può fare a meno di cercare una “salvezza” da tutta questa ricchezza. Io, ad esempio, durante questi giorni di allestimento, non riesco nemmeno a uscire dopo il lavoro, percorro i trecento metri di ritorno dal Santuario per poi piombare in una condizione che ricorda la Sindrome di Stendhal; per fortuna la casa, con il suo arredo minimal, compensa la mia necessità di vuoto in cui posso digerire ciò che ho appena visto e vissuto».
Che effetto ti ha fatto lavorare in questi luoghi e come ha influenzato la tua ricerca?
«All’interno di questi luoghi, il primo fenomeno è la forza della natura, dell’acqua, che rappresenta una zona profondamente inconscia, un altro tipo di esistenza. L’idea forte che ho messo in luce con l’installazione della piattaforma nel Santuario, è quella di sottolineare l’ambizione umana di dominare la natura, creare ciò che la natura fa, ma quest’ultima riuscirà sempre a farlo meglio. Alla luce di tutto questo la prima opera è un testo da prendere che, oltre a essere una guida attraverso i giardini, introduce il tema della creazione e del creazionismo come motore principale dell’arte. In questa guida cerco di introdurre alcuni degli ecosistemi presenti nella Villa attraverso dei testi scientifici, molto personalizzati, anche distorti, perché la scienza non è mai esatta e, forse, è anche meno vera dell’arte. È una disciplina ontologica.
All’interno della Villa ho voluto inserire l’Hydra Vulgaris, un essere solitamente immortale, come nel mito, per confermare la visione greca che la natura sia un’invenzione umana e che il nostro sapere è limitato dalle nostre possibilità.
La natura è molto, ma molto, più forte di noi, anche nella sua capacità di essere perfetta, abile nel rigenerarsi. Proseguendo verso il Santuario ho voluto che ci fossero degli animali, buoi e capre, liberi, senza il pastore: dopo la fine della civiltà, sperduti tra le rovine dell’arte mortale umana, come un simbolo piranesiano post-apocalittico, qualcosa di simile a ciò che abbiamo subito di recente con il problema Covid. Sappiamo pochissimo per poter dare per scontato ciò che è la verità e va bene così, e inoltre, la natura starà bene, meglio ancora una volta che non ci saremo più».
Come è articolato il percorso espositivo?
«Il tutto è basato esattamente sul tema del percorso, sul paesaggio, sull’idea di itinerario che ognuno fisicamente svolge e sulle possibili associazioni createsi durante questo percorso. Per me è molto importante il concetto di “navigazione”, ma è altrettanto importante lo stimolo del “confondere”, visto che Villa d’Este, con il suo giardino, offre al visitatore una sorta di guida naturale nell’attraversarlo. Questo posto è stato creato per incantarci e quello che io spiego con la prima opera in mostra, Misguide, è l’esatto opposto: propongo di guardare a ciò che non è stato creato artificialmente e che non è opera dell’uomo bensì un ecosistema “natura naturans” come teorizzato da Spinoza. Gli interventi a Villa d’Este introducono la storia che entrerà poi nel vivo all’interno del Santuario di Ercole Vincitore. Nell’Antiquario il mio lavoro si confronta con la maternità; è presente il bellissimo gruppo delle Niobidi, ritrovate a Ciampino dove, l’acidità della terra, ha reso la pietra di cui sono fatte molto più vulnerabile. Io ho fatto incidere alcune frasi sulle lapidi che le circondano.
Di seguito è presente una installazione sonora che riguarda una storia molto personale, raccontata dalla voce di mia figlia. Ho scelto poi di utilizzare le farfalle per completare la mia riflessione sul concetto di maternità; le farfalle diventano tali soltanto per deporre le uova e poi morire, non si nutrono neppure. Con queste simbologie cerco di analizzare le diverse tipologie di maternità in natura. All’interno delle grotte del Santuario, ho scelto di mostrare, attraverso delle installazioni, un sistema solare parallelo ma fuori misura rispetto al nostro. Ho scelto di utilizzare materiali simbolici come la creta spalmata, secondo il vecchio mito cosmogonico, come la pelle, che ricorda la pelle ferita, morta, che però continua a reagire al sole, all’acqua, etc. Cercando di semplificare, mi approprio di ciò che si dice, di ciò che si crede, che si vede e che si sa, per poi rielaborarlo».
Quali aspetti della tua ricerca emergono, in particolare, in questo progetto espositivo?
«Racconto spesso della mia vita, di quelli che sono i miei interessi, cerco di mostrarvi qualcosa che credo sia interessante abbastanza per essere visto, notato. Io davanti all’opera che è a Villa d’Este, sicuramente trovo mille modi di interpretazione e ciò che mostro sono solo alcuni di questi modi possibili. Vorrei farvi pensare, riflettere, e soprattutto far pensare e far riflettere me stessa, ma questo è possibile soltanto insieme allo spettatore, perché anche io lo sono. Misuro il tutto su di me e sono molto critica ma, anche per non annoiare me stessa, devo perdere un po’ il controllo.
Il lavoro che ho realizzato qui è forse la mostra più articolata ed epica fatta fino ad ora, molto veloce, agile e associativa».
In quali progetti/mostre sarà presente il tuo lavoro nei prossimi mesi?
«Dal 18 luglio ci sarà la mia partecipazione a Straperetana 2020.
A settembre avrò una mostra personale curata da Branka Bencic presso il Padiglione di Mestrovic a Zagabria e, alla fine del mese una nuova mostra personale presso la galleria Gilda Lavia che mi rappresenta in Italia».
Chi è Petra Feriancová
«Petra Feriancová è un’artista, scrittrice e curatrice contemporanea slovacca, nata a Bratislava nell’ex Cecoslovacchia, nel 1977. Nel 2013 ha rappresentato la Slovacchia e la Repubblica Ceca alla 55ma Biennale di Venezia con il progetto An Order of Things. Nel 2011 è stata in residenza presso l’International Studio & Curatorial Program (ISCP), New York e nel 2010 ha ricevuto il Premio Oskár Čepan per giovani artisti visivi, organizzato dalla Foundation for a Civil Society (FCS). Tra le altre, le opere di Petra Feriancová fanno parte delle seguenti collezioni pubbliche e private: European Investment Bank EIB Luxembourg, Art Collection Telekom, AGI Verona, Fondazione Morra Greco» ha ricordato la galleria.