La Pinacoteca Agnelli di Torino al 16 ottobre 2021 sino al13 febbraio 2022 presenta la mostra “Fondazione Maeght. Un atelier a cielo aperto”, a cura di Daniela Ferretti, che si snoderà tra gli storici locali della Pinacoteca e il nuovo parco pensile del Lingotto divenuta oggi Pista 500.
La mostra, organizzata dalla Pinacoteca Agnelli in collaborazione con Fondation Marguerite et Aimé Maeght e MondoMostre, vede FIAT quale main partner del progetto e l’allestimento è a cura di Marco Palmieri.
«In mostra – ha spiegato la Pinacoteca Agnelli – settantasette opere di grandi artisti del XX secolo, tra cui Braque, Calder, Chagall, Giacometti, Léger, Matisse e Miró, che hanno condiviso con altri maestri la passione e la visione dello straordinario progetto di Aimé Maeght e sua moglie Marguerite dando vita a un vero e proprio “atelier a cielo aperto” sulle colline di Saint Paul de Vence. L’esposizione si incentra infatti attorno a quel nucleo di artisti che per primi hanno intuito il potenziale di una giovane coppia che, mossa da una genuina passione per l’arte espressa in tutte le sue forme e dotata di una rara capacità manageriale, si sarebbe costruita una posizione di primissimo piano nel mercato dell’arte mondiale».
«Nove sculture saranno collocate all’aperto nel parco di Pista 500 in un allestimento curato da Marco Palmieri: queste opere rappresentano una piccola ma raffinata scelta di lavori di artisti del secolo scorso intimi della coppia di collezionisti, che comprende due bronzi e una lamiera di Miró, i grandi bronzi di Ossip Zadkine e Jean Arp, con importanti opere di Jean-Paul Riopelle, Claude Viseux, Norbert Kricke e Barbara Hepworth», ha spiegato la Pinacoteca.
«Il titolo scelto per la mostra, “Atelier a cielo aperto”, merita qualche parola. – ha spiegato la curatrice Daniela Ferretti – Appare capace di evocare a un tempo il profondo coinvolgimento degli artisti nel progetto dei fondatori, la luminosa atmosfera mediterranea che si respira a Saint Paul de Vence e l’essenza stessa della visione dei coniugi Maeght: creare un luogo per l’art vivant».
«Negli ultimi anni la programmazione della Pinacoteca Agnelli è stata caratterizzata da una particolare attenzione al collezionismo. Ne è una riprova la mostra dedicata alla collezione di Le Corbusier, conclusasi a settembre: “Le Corbusier. Viaggi, oggetti e collezioni”. La storia della collezione Maeght si colloca perfettamente in questa linea d’indagine».
«Quello che mi auguro si comprenda è la grande libertà di visione che Marguerite e Aimé Maeght hanno avuto. Dobbiamo pensare a loro come degli autodidatti che hanno avuto il grande intuito e l’intelligenza di cogliere alcune occasioni, ovviamente partendo da una base costituita, soprattutto per quello che riguarda Aimé, dalla passione verso l’arte. C’era quindi già una buona base, un terreno sul quale hanno giocato un ruolo determinante anche il caso e gli incontri avvenuti durante la loro vita. Ma rimane l’intelligenza di cogliere le occasioni che si sono presentate, ad esempio l’incontro con Bonnard che forse per primo intuì il grande talento di Aimé, che all’epoca erano uno stampatore d’arte. La sua grande passione è stata quel quid, che ha permesso che un grande maestro della pittura francese prendesse quel giovane e brillante ragazzo sotto la sua ala protettrice. Quello che spero arrivi al pubblico attraverso la mostra, è l’intreccio di arte, vita e amicizia, che ha caratterizzato la storia dei Maeght. Sarà proprio Bonnard a introdurli a Matisse, e da lì si traccia l’inizio di una carriera assolutamente straordinaria. Mi riferisco soprattutto al periodo che precede di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale: all’epoca Aimé e Magritte si trovavano a Cannes, nel sud della Francia che, dichiarato zona franca, era diventato il rifugio di tantissimi artisti, letterati, intellettuali, un piccolo mondo cosmopolita libero, in fuga e alla ricerca della libertà».
«La Fondazione stessa è nata con gli artisti e per gli artisti. Questo è un aspetto fondamentale. Non bisogna dimenticare, inoltre, che è stata la prima fondazione in Europa dedicata all’arte contemporanea, parliamo dell’inzio degli anni ’60: nel 1964 ci fu l’inaugurazione di questo progetto che era nato una decina di anni prima. È una storia che mi emoziona molto, perché nasce da un lutto, da un dolore. I Maeght persero il loro secondogenito, che all’epoca aveva solo undici anni, a causa della leucemia. Sono precipitati in uno stato di profonda frustrazione e tristezza, a cui hanno trovato la forza di reagire realizzando un progetto straordinario, che in Europa non esisteva. Alla base di questa scelta c’erano i consigli di Léger e Braque, che li spinsero a partire per gli Stati Uniti per visitarne le fondazioni. Da lì è partito questo grande visionario progetto che ha portato alla realizzazione della Fondazione Maeght, avvenuta non solo per volontà dei fondatori ma con il contributo degli artisti a loro legati. Il progetto architettonico, ad esempio, viene affidato a un’altra figura d’eccellenza dell’epoca, Josep Lluís Sert, mentre Braque progetta un mosaico per una delle vasche e disegna la vetrata della piccola cappella che si trova all’interno della Fondazione, Chagall decora la parete della libreria, poi a dare il loro contributo ancora Giacometti, Alexander Calder, Chillida e Miró, forse l’artista che dopo Bonnard, Matisse e Braque segna maggiormente questa lunga storia di amicizia. Mirò, infatti, è presente fin dal 1947, quando partecipa alla mostra al Surrealismo curata da André Breton e Marcel Duchamp che decreta il successo internazionale della Galleria Maeght, e vi resterà legato ai Maeght fino alla fine dei suoi giorni».
«Il merito maggiore dei Maeght è stato forse quella di dare totale libertà agli artisti. La loro era una visione a trecentosessanta gradi e non bisogna dimenticare che, oltre ai pittori e agli scultori, presenza costanti erano musicisti, ballerini e tantissimi altri artisti, sempre seguendo l’idea dell’immergersi nell’arte senza confini. Alla Fondazione, solo per fare qualche nome, John Cage, ha tenuto un importantissimo concerto, e negli anni vi sono passati Duke Ellington, Ella Fitzgerald, Merce Cunningham,Karlheinz Stockhausen. Le notti della Fondazione hanno fatto la storia e sono state un momento di grande incontro e di godimento dell’arte in tutte le sue forme».
«Per quanto riguarda la mostra, sempre secondo lo spirito dei Maeght, che non hanno mai seguito le mode, ma hanno sempre scelto attraverso i loro occhi e la loro passione, abbiamo voluto mettere in luce artisti meno noti per il pubblico italiano, ma di altissima qualità e che meritano di essere conosciuti. Ritengo che le mostre abbiano sostanzialmente questo compito, quello di favorire lo studio e la conoscenza, di non essere semplicemente un’infilata di soliti nomi noti. Una delle mie priorità è di far sì che il pubblico possa veramente creare un proprio percorso e possa trovare uno stimolo, si incuriosisca».
«La loro eredità oggi è questo luogo assolutamente magico, di grande poesia e armonia dove si trovano l’attenzione alla natura, la sostenibilità, concetti molto in voga oggi, ma che erano già presenti nello spirito con cui i Maeght hanno aperto al pubblico la loro collezione. E su questi temi aveva già riflettuto negli anni ‘60 anche Josep Lluís Sert che ha creato la struttura architettonica: le coperture sono dei grandi contenitori che raccogliendo l’acqua alimentano le fontane e le vasche che si trovano nel giardino abitato dalle straordinarie creature pensate da Mirò e da altri artisti. Quando si varcano i cancelli e si visita la fondazione si respira una sensazione di grande calma e armonia».
«Nella scelta curatoriale un grande peso è stato riservato a Mirò, che è l’artista più rappresentato per le ragioni che ho descritto sopra. Ma non solo. Abbiamo portato a Torino anche delle sculture molto importanti, che dal giardino di Saint-Paul-de-Vence sono state eccezionalmente collocate, in questo cosiddetto tetto-giardino, nuovo parco pensile del Lingotto. Speriamo che questa partecipazione della Fondazione Maeght all’apertura di questo nuovo spazio sia di buon auspicio.
Oltre Mirò si è voluta seguire una linea molto importante, forse un po’ di nicchia: quella di sottolineare l’importanza del disegno e della grafica. Per questo sono stati scelti tre magnifici disegni di Giacometti, che ha dichiarato “che tutto nasce, tutto parte e si risolve nel disegno”. E su questa linea, proprio accanto a Giacometti, abbiamo scelto di esporre una selezione di acqueforti e acquetinte di Chillida che rappresentano la sua mano, la mano dello sculture. Durante tutto il suo percorso ha assegnato una grandissima rilevanza alla grafica, al progetto, al pensiero che si traduceva nella scultura preceduta da questa forma di elaborazione. In mostra è presente anche un pezzo straordinario di Antoni Tàpies. Tra gli autori poco conosciuti di cui parlavo prima, ma che andrebbero riscoperti c’è Anna-Eva Bergman, moglie di Hans Hartung, una straordinaria artista che lavora con una propria cifra stilistica molto forte, con un’am ricerca nell’uso dei materiali. Sono esposti, inoltre, disegni di Calder, un bellissimo lavoro della famosa serie degli Atelier di Braque, opere di Matisse e di tantissimi altri».
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