Inaugura oggi, 22 novembre, al Gaggenau DesignElementi di Roma “S-Composizioni”, personale di Francesca Piovesan a cura di Sabino Maria Frassà.
L’artista, nella sua prima mostra nella capitale, presenta «la propria evoluzione artistica, dalle iconiche sculture in vetro all’inedito ciclo Aniconico: opere su carta composte da affascinanti mosaici, i cui tasselli sono impronte fotografiche della pelle dell’artista. Un percorso che sposa pienamente lo spirito di Roma, abbracciandone l’idea di sospensione temporale tra archeologia, sedimentazione e stratificazione», hanno spiegato gli organizzatori.
“S-Composizioni”, che sarà visitabile fino all’8 marzo 2022, è la quarta e ultima mostra del ciclo artistico Extraordinario promosso da Gaggenau e CRAMUM tra Roma e Milano dov’è in corso la mostra “Pars Construens” dedicata a Fulvio Morella.
«Lavoro da anni con Sabino Maria Frassà e ci confrontiamo spesso sul mondo dell’arte e sulla mia ricerca artistica. Un anno fa gli parlai della volontà di andare oltre il vetro e di declinare la ricerca in altre direzioni sperimentali al di là della figurazione. Parlando di mosaici, Sabino colse la possibilità e la vicinanza a Roma nella sedimentazione e sospensione temporale, elementi che caratterizzano molto anche la mia ricerca artistica. Non solo, i mosaici sono aspetti tipici anche della progettazione architettonica, quindi il tutto sembrava un progetto coerente a 360° con lo spazio Gaggenau, in grado anche di portare a un loop di forma e contenuto che non mi dispiace. Del resto a prima vista le nuove opere del ciclo Aniconico appaiono infatti come frammenti di mosaici di marmo parietali. Del resto trovo da sempre molto interessante e costruttivo confrontarsi con spazi che sono complessi come la realtà che descrivo nelle mie opere».
«Aniconico è un ciclo di autoritratti off-camera, ovvero realizzati senza l’ausilio della macchina fotografica. Sono primi piani e mezzi busti, scomposti in tasselli e ricomposti in geometrie costrette in aree quadrate, le cui misure dipendono dalle proporzioni delle parti interessate del mio corpo: ho calcolato quindi quanti centimetri quadrati di pelle sarebbero rappresentati in un mio autoritratto fotografico e determinato di conseguenza l’area quadrata dell’opera finale. Il quadrato, come ha notato il curatore, si rifà tanto al dare un vincolo, un recinto preciso alla forma scomposta, quanto è un chiaro riferimento a uno dei formati oggi più impiegati per gli autoritratti, quello quadrato sui social, strumenti che non amo molto.
Per quanto riguarda la tecnica off-camera, ho re-interpretato un processo creativo che utilizzo da alcuni anni: attraverso il nastro adesivo raccolgo impronte di porzioni di corpo e le sviluppo con il nitrato di argento. Il sale della pelle è l’elemento fondamentale del processo, innesca la reazione chimica che mi permette di ottenere dei veri e propri sviluppi fotografici. A differenza dei lavori precedenti, in cui persisteva la necessità di ricostituire le sembianze di un corpo, nel caso di Aniconico il corpo è scomposto in piccoli tasselli e ricomposto in nuovo ordine per eludere la rappresentazione, il corpo è solo pelle, nella sua matericità. L’orecchio però rimane sempre ben riconoscibile e diventa un elemento che permette di codificare e capire che c’è altro oltre la prima impressione: c’è un qualcos’altro oltre il mosaico, ma anche oltre la raffigurazione del corpo.
Tutta la mostra nasce insieme a Sabino per creare un caleidoscopio di forma e contenuti: tutto è estremamente integrato anche a livello materico, dal travertino che si mimetizza con i miei mosaici, al vetro degli elementi di Gaggenau che riflettono le mie opere in vetro, al legno impiegato da me e dallo showroom. Risulta un percorso espositivo quasi organico, dove regnano l’equilibrio e l’armonia, che sono elementi compositivi divenuti centrali nella mia ricerca artistica. Dietro questa armonia c’è molto di più, anche nel percorso espositivo costruito insieme al curatore: nasce dalla frantumazione dell’ordine e delle regole, ci si perde, per poi ritrovarsi diversi».
«La mia ricerca parte dal corpo e in particolar modo dalla pelle come primissimo strumento di ricerca, oggetto e soggetto di indagine. Dai primissimi lavori fotografici, in cui attraverso gli autoscatti raccoglievo istanti di azioni performative, la fotografia è rimasta il filo conduttore di tutte le opere successive, in forme diverse e riguardando alle antiche tecniche di sviluppo analogico e off-camera.
Da lavori più performativi come Ottocentoventisette, in cui per circa un mese ho suddiviso in piccole aree il corpo per misurare la superficie totale, mi sono poi focalizzata sulla pelle e sulla possibilià di poterla utilizzare nella sua matericità come elemento del processo chimico negli sviluppi fotografici. Da qui sono nate le serie Impressioni e poi gli Specchianti (specchi color argento, ndr) e gli In-visibili (specchi color oro, ndr) in cui la pelle si sviluppa attraverso processi off-camera.
In fondo il corpo come dimostra questa ultima mostra, che fa una sintesi della mia ricerca, è il punto di partenza della mia ricerca, sempre più “mero” strumento per comprendere e ritrarre la realtà per quello che è al di là dell’apparenza: la mia arte misura, registra la realtà, cercando di andare sempre una semplice rappresentazione di essa».
«Alla Bornholm’s Biennials for contemporary glass and ceramics sono esposte tre opere del ciclo Gli Specchianti, lavori realizzati in collaborazione con gli artigiani muranesi, in cui le impronte di corpo si sviluppano e vengono inglobate nel sottile strato di argento durante il processo di specchiatura. Le opere si presentano come dei libri in legno nero di diverse dimensioni, all’interno gli specchi rivelano la presenza di tracce di corpo».
«In questi due anni sono rimasti in sospeso alcuni progetti espositivi all’estero, in attesa delle possibili evoluzioni mi attendono mesi di ricerca e lavoro».
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