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Francesco Arena da Raffaella Cortese con ‘Terza mostra: tre cose’. Le parole dell’artista
Opening
di Silvia Conta
A Milano, negli spazi della Galleria Raffaelle Cortese inaugura oggi, 8 settembre (dalle 10 alle 19.30), la personale di Francesco Arena (Mesagne, Brindisi, 1978) “Terza mostra: tre cose” (fino al 18 novembre). Nel percorso espositivo tre nuovi lavori, uno per ciascuno spazio della galleria, in via Stradella 7, 1 e 4, seguendo la medesima impostazione delle due precedenti personali: “Tre sequenze per voce sola” (2019) e “Sette, uno, quattro” (2015).
«Cose: bandiera, fotografia, trave; linee: diagonale, orizzontale, perpendicolare; luoghi: pavimento, parete, spazio sono alcune delle parole sulle quali si basa […] “Terza mostra: tre cose”. Come nei due progetti precedenti ogni spazio è contraddistinto dalla presenza di un’opera. Senza nessun ordine di visita definito si passa dal livello basso del pavimento con Bandiera linearizzata a quello alto di Orizzonte lasco, all’unione dei due con Sentenza in sei metri da zero a sessantasei centimetri capace di mettere in dialogo altezza e il piano di calpestio. “Terza mostra: tre cose” si pone come una sorta di terza tappa di una ‘trilogia’ per la Galleria con temi, aspetti e rimandi che si rincorrono fra le opere e le due mostre che l’hanno preceduta», ha spiegato la galleria.
Una trilogia di mostre nel cui percorso cronologico rientrano la presentazione dell’opera Orizzonte (2017) a “Unlimited” ad Art Basel nel 2017 e l’inclusione dell’opera Angolo scontento (Hommage à la mort de Sigmund Freud) (2019) – presentata per la prima volta nella seconda personale “Tre sequenze per voce sola” in Galleria – nella mostra da poco conclusa “The Paradox of Stillness: Art, Object, and Performance” al Walker Art Center di Minneapolis, dove è entrata in collezione.
Le parole di Francesco Arena
“Terza mostra: tre cose”, come indica il titolo, è la terza mostra che realizzi negli spazi della Galleria Cortese. Come questi tre progetti espositivi si collegano tra loro? Quali aspetti caratterizzano, in particolare, la mostra che inaugura oggi?
«Le tre mostre sono tutte accomunate dalla scelta di esporre ogni volta tre opere, una per spazio, tre opere abbastanza diverse una dall’altra per scelta del materiale per impostazione formale ma che ogni volta presentano diversi aspetti della mia ricerca.
La mostra attuale è fatta di tre cose, nel senso che ogni opera nasce da una cosa/oggetto esistente al di là dell’opera. Una foto, una trave, una bandiera. Oggetti che hanno subito una trasformazione più o meno evidente che comunque ne cambia la loro fruizione destinandoli ad altro utilizzo rispetto a quello per i quali sono stati concepiti, inoltre le tre opere condividono formalmente il fatto di essere delle linee, punto di partenza dopo il Punto di ogni rappresentazione. Probabilmente questa mostra rispetto alle due precedenti da Raffaella ha un dialogo più serrato tra le tre opere esposte».
Nella tua ricerca è presente una costante indagine sul rapporto tra dati oggettivi e vissuto personale o storia collettiva, che traduci in un’estetica vicina alla Minimal Art e all’Arte Povera, riuscendo a collocare il tutto su un piano di universalità e contemporaneità. Quali elementi, durante la fase di ricerca, ritieni siano particolarmente importanti per te per poter realizzare un’opera? Qual è, in genere, il tuo processo operativo?
«Non c’è una regola predefinita, a volte l’opera nasce da una lettura, altre volte da un materiale o da una forma oppure da un’immagine. La suggestione da cui l’opera nasce solitamente andando avanti con la definizione dell’opera nel suo aspetto formale perde “definizione” perché inizia a inglobare altri aspetti che inizialmente non erano fondamentali. Anche per le opere di questa mostra è stato così, da quando ho definito le opere completandole mentalmente sono accadute delle cose che probabilmente possono aggiungere o spostare la lettura dell’opera».
La tua carriera è fitta di progetti espositivi in importanti istituzioni e di residenze, in Italia e all’estero. Che influenza hanno avuto queste esperienze nello sviluppo e nei contenuti della tua ricerca?
«Il mio lavoro è fatto dagli incontri e dalle esperienze che vivo, da una cosa detta da qualcuno che incontro e che prima non sapevo, da un luogo visitato, in realtà il mio lavoro è molto permeabile nella suggestione che dà il via al processo che porta infine all’opera mentre a un certo punto di questo processo diventa totalmente chiuso all’esterno perché deve trovare il suo equilibrio formale».
Come artista riconosciuto a livello internazionale, quale consiglio daresti a chi sta iniziando la propria carriera oggi?
«Di concentrarsi sull’opera, solo quella conta».
A quali altri progetti stai lavorano e dove potremo vedere le tue opere nei prossimi mesi?
«Questi ultimi mesi da maggio in poi sono stati pieni di mostre e anche i prossimi sono abbastanza densi, è il risultato del blocco obbligatorio dell’ultimo anno e mezzo. Di queste mostre sono ancora in corso i group show alla Civica di Trento, al Madre di Napoli e una in Belgio con opere sparpagliate in tre villaggi. Nei prossimi giorni inaugurano due interventi esterni uno ad Anacapri l’11 e uno a Alfonsine vicino Ravenna il 12, poi a febbraio ci sarà la mia personale da Nogueras Blanchard a Madrid con cui collaboro da tanti anni, in primavera una collettiva a Villa Arson a Nizza e in marzo un intervento pubblico permanente in Italia a cui tengo molto, e quest’autunno dovrebbe finalmente partire un opera molto pesante e problematica che il Philadelphia Museum of Art ha preso per la sua collezione».