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Omaggia la scultura di Umberto Boccioni il titolo della mostra ideata da Luigi Presicce “Forme uniche nella continuità dello spazio” che attraverso i lavori di undici artisti – Thomas Berra, Maurizio Bongiovanni, Giovanni Copelli, Gianluca Di Pasquale, Pesce Khete, Valerio Nicolai, Aryan Ozmaei, Vera Portatadino, Luigi Presicce, Andrea Salvino, Davide Serpetti «mira – ha spiegato Presicce nel comunicato stampa – a creare un percorso pittorico attraverso la figura o gli oggetti che a essa fanno riferimento. In termini semantici il titolo dell’opera di Boccioni allude a una serie di movimenti, più che di forme, che si susseguono nello spazio o nello sfondo se vogliamo parlare di spazio pittorico. Qui lo spazio può essere inteso anche come contesto, l’ambiente nel quale ci relazioniamo, quello dal quale ne traiamo ispirazione o semplicemente quello in cui siamo collocati e costretti a “essere” nello spazio».
In attesa dell’opening del 19 gennaio alla Rizzuto Gallery di Palermo, abbiamo posto tre domande a Presicce. Le sue risposte aprono a una riflessione molto diretta, quanto necessaria, sul fare pittura oggi e sul sistema dell’arte.
Quale aspetto della pittura vuole indagare la mostra? Che cosa intendi, in questo contesto, con il termine dinamismo?
«La pittura non ha aspetti da indagare, è qualcosa di vecchio quanto il mondo e si autorigenera come gli esseri primordiali che non hanno sesso eppure si fecondano. Oggi parlare di pittura in Italia vuol dire affrontare un argomento per lungo tempo sopito, quando io stesso ho iniziato a lavorare il mercato della fine degli anni Novanta era florido, ma c’era tutta una frangia di oppositori che se ti avessero potuto sputare addosso l’avrebbero fatto con soddisfazione, solo perché eri un pittore. Diversamente, la pittura, in questi ultimi anni ha preso una strada molto variegata, apre ventagli di interpretazioni e possibilità. Il Simposio da me diretto lo scorso giugno alla Fondazione Lac o le Mon è stato per tutti i partecipanti un momento unico di confronto e condivisione di una passione comune che nei pittori si manifesta con incanto ogni giorno. Lo stesso posso dire per la Scuola di Santa Rosa che io e Francesco Lauretta teniamo tutti i martedì a Firenze o a New York, quando sono lì. Il disegno o la pittura sono strumenti che di solito vengono utilizzati nel privato di uno studio e i veri momenti di confronto paradossalmente sono diventate le mostre, tutti sono intenti a lavorare per le mostre, ma chi ha il tempo di fare una natura morta o un ritratto a un amico che non sia poi contestualizzato nel calderone del grande spettacolo che sono diventati gli opening? Prendersi il tempo per sbagliare, per uscire fuori dal contesto, questo è il dinamismo che intendo».
Come hai scelto gli undici artisti invitati?
«Sono tutte persone che stimo, e ho detto persone prima che artisti. Con tutti ho avuto modo di fare grandi conversazioni o esperienze comunitarie come quelle citate sopra. Non sono interessato a perdere tempo della mia vita con persone che hanno altri obiettivi come la carriera o l’inserimento nel sistema inesistente dell’arte italiana. Mi piace stare con chi stimola il mio interesse costantemente e crede solo ed esclusivamente nel loro lavoro, tutto il resto conta poco, il contesto, i grandi eventi dove noi italiani non ci siamo mai ecc.».
Anche in questa mostra, come in altre, sei sia artista che curatore. Come riesci ad unire questi due ruoli? Quale è l’aspetto per te più interessante di questo doppio ruolo?
«Non sono un curatore, mi sono fatto chiamare anche allenatore di recente! Non voglio rubare il posto a nessuno e neanche mi compete: ho diretto Brown project space a Milano, il primo spazio indipendente gestito da artisti e già quello sembrava una blasfemia, ma nessuno si muoveva e io e Luca Francesconi ci siamo lanciati in un’impresa che poi ha prodotto un seguito allucinante che ancora oggi è oro in una città come Milano con le sue ingessature e stitichezze. Non credo che artista e curatore siano due ruoli differenti, ossia lo sarebbero se tutti facessero il proprio, ma quando qualcosa diventa carente, o troppo evanescente, chi meglio di un artista può capire il linguaggio di un altro artista? È come parlare di colori a olio con uno che ha fatto le scuole per curatori…ti entrano in studio e dicono: “cos’è questo odore di anice?”». (Silvia Conta)
Thomas Berra, Maurizio Bongiovanni, Giovanni Copelli, Gianluca Di Pasquale, Pesce Khete, Valerio Nicolai, Aryan Ozmaei, Vera Portatadino, Luigi Presicce, Andrea Salvino, Davide Serpetti
Forme uniche nella continuità dello spazio
Da un’idea di Luigi Presicce
19 gennaio – 16 marzo 2019
Rizzuto Gallery
Via Maletto, 5 | Via Merlo, 36/40, Palermo
Inaugurazione: 19 gennaio 2019, ore 18
Orari: dal martedì al sabato, dalle 16 alle 18.
www.rizzutogallery.com, rizzutogallery@gmail.com