-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
‘Green rim’: la mostra di Belén Uriel a Cascina I.D.E.A., ad Agrate Conturbia
Opening
di redazione
Caschi, protezioni per il corpo o articoli da esterno. Ecco una lista, parziale, degli oggetti di consumo, creati per impegnarsi con l’ambiente esterno, per la protezione del corpo nel tempo libero e per la ricreazione, che circolano nell’opera di Belén Uriel. Sono universali, così familiari e ordinari per tutti noi che diventano quasi invisibili: sono qualcosa “che serve a qualcosa”, che a prima vista viene assorbito in una finalità di usi, direbbe Roland Barthes.
«Proprio per questo, esiste, spontaneamente sentita da noi, una specie di transitività dell’oggetto: l’oggetto serve all’uomo per agire sul mondo, per modificare il mondo, per essere nel mondo in modo attivo; l’oggetto è una specie di mediatore tra l’azione e l’uomo». Questo piccolo estratto, dalla Semiotica di Roland Barthes, ci conduce verso “Green rim”, una mostra in cui Belén Uriel, fissando il suo sguardo proprio sull’idealizzazione della natura e prendendo ispirazione da oggetti che sono portatori di un senso indipendentemente dalla funzione, dà nuova vita e nuovo fiato affinché gli oggetti possano ricongiungersi con la loro stessa bellezza, sfuggendo alla serialità produttiva, per aprirsi in un abbraccio all’inaspettato.
Belén Uriel, dalla residenza di Cascina I.D.E.A. ad Agrate Conturbia, in provincia di Novara, ci ha raccontato la mostra, accompagnandoci nella visita.
Qual è il cuore del tuo interesse per gli oggetti di uso quotidiano?
«Lavoro con oggetti quotidiani interessandomi all'”uso” che ne facciamo, che è determinato e determina al contempo il modo in cui ci relazioniamo con il mondo e le nostre abitudini sociali. Sono attratta dalla storia che ogni oggetto racconta, evidenziando somiglianze e differenze tra le varie culture. Mi spingo sempre verso ciò che viene usato per innescare o instaurare abitudini e comportamenti sociali. Se ci fermiamo un attimo a riflettere la nostra società dipende totalmente dagli oggetti, e questo ha contribuito alla nascita del mio interesse verso oggetti di uso quotidiano in generale e di quelli più legati al corpo in particolare: quelli che il corpo usa direttamente, su cui il corpo “poggia”. Sono questi per me a evocare l’idea di “dipendenza” suggerendo anche una serie di azioni e abitudini che il nostro tempo usa per creare un’altra serie di dipendenze e bisogni, come per esempio la cura del corpo. Questi oggetti per me diventano estensioni del corpo stesso».
Quando hai scelto di lavorare con il vetro? Cosa ti permette di trasmettere e restituire al pubblico?
«Il vetro è un materiale che evoca l’idea di trasparenza: pensiamo per esempio a tutte le sue declinazioni in contesti domestici e commerciali… il vetro ha un’aspirazione, quella di “essere trasparente”. Lavoro con il vetro in modo ricorrente, innanzitutto appartiene alla nostra vita quotidiana, e poi racchiude un ampio spettro di connotazioni. Quando, lavorandolo, ho imparato a conoscerlo, ho scoperto tutto il suo potenziale scultoreo: le sue proprietà paradossali di trasparenza e opacità, la sua capacità di essere bidimensionale e tridimensionale allo stesso tempo, e la possibilità che offre di delimitare e collegare le superfici contemporaneamente. Non è facile lavorare con il vetro, nel processo di produzione stesso, talvolta, capitano degli accidenti che poi si rivelano essere la risposta a qualcosa che stavi cercando… è accaduto per esempio anche con l’opera esposta in “Green rim”, Insecta. Non poter controllare il processo significa per me approdare sempre a un nuovo spazio di scoperta che mi permette di andare oltre la fedele rappresentazione dell’oggetto».
Che cosa ci racconta “Green rim”?
«“Green rim” – tradotto letteralmente “bordo verde” e inteso come il fenomeno ottico visibile a causa della rifrazione della luce solare attraverso la densità crescente vicino all’orizzonte – rappresenta un approfondimento di questo mio progetto di ricerca sulla reciprocità tra il corpo umano e gli oggetti di uso quotidiano. Per vedere questo bordo verde dovremmo essere dotati di lenti specifiche e dovremmo trovarci qualche grado sopra l’orizzonte, quando il Sole è basso e la dispersione è abbastanza grande da rendere visibili i suoi arti superiori verdi. Riprendendo Roland Barthes, con Nicoletta Rusconi ed Elsa Barbieri, abbiamo immaginato la mostra come il tentativo di costruire una semiologia più e oltre che come scienza delle significazioni, come sguardo pertinente verso il mondo. Che cosa vuol dire? Che “c’è sempre un senso che va oltre l’uso dell’oggetto”, un senso fatto di usi e anche ossessioni, che definiscono il nostro tempo presente. Le opere in mostra, quattordici in tutto, sono come uno strumento di fiuto del senso ovunque si possa celare. Ogni oggetto ha una corrispondenza di “uso” ed è misurato su scala umana. Attraverso i processi inerenti alla scultura posso modificarne la scala, la materialità, la dimensioni… in questo modo i lavori subiscono una trasformazione che, anche se a volte sembra molto sottile, è sufficiente a suggerire qualcosa al di fuori della realtà intrinseca di quell’oggetto. Come il bordo verde, difficilmente visibile, quasi illusorio, con “Green rim” creo uno spazio libero, quasi sospeso come qualche grado sopra l’orizzonte, dove le opere suggeriscono sempre nuove e significative interpretazioni».
Come si sviluppa la mostra?
«La mostra vive su due piani che dialogano tra loro pur avendo le loro peculiarità. Al piano terra, il verde è il colore predominante. I caschi alle pareti sono in relazione con due sculture a terra, Panoplia, che significa armatura ed è concepita come un albero da cui pendono protezioni per mani, braccia e ginocchia, e Pulso, un altro albero che si ramifica come un’arteria, i cui “frutti” sono forme che richiamano le protezioni per le mani, e infine una terza scultura sospesa al soffitto, Green rim, che dà il nome alla mostra ed è allo stesso tempo una foglia e una soglia, capace di condurre in un nuovo paesaggio. All’interno, dove le opere che ricordano gli oggetti che usiamo per proteggere il corpo all’aperto perdono la loro natura industriale (anche se questa rimane insita in loro) e si aprono verso una sensazione inaspettata di natura, possiamo sperimentare la sensazione di organicità. Salendo al secondo piano, due opere ci trattengono in un ideale spazio all’aperto: Untitled (Cadeira azul) prende la forma di una sedia da campeggio, Marquise ricorda la forma delle tende esterne con cui ci proteggiamo dal sole. Il secondo piano, in un passaggio di colori sulla scala del verde, rosa, giallo e marrone, è invece una sorta di presente ibrido: elementi naturali ed esseri antropomorfi cercano di suggerire l’idea di un giardino artificiale. Untitled (cabeça), che prende forma da un coperchio di spazzatura, si trasforma in un sole o in un fiore, o addirittura in una testa. Insecta è allo stesso tempo una foglia, un’ala d’insetto e una protezione per il braccio, Borboleta sembra una farfalla la cui texture trasmette la sensazione di un oggetto che è stato usato. C’è un altro pezzo, Untitled (back), la cui forma deriva dal profilo di una sedia di plastica mentre la sua materialità e il suo colore lo trasformano in una sorta di ramo d’albero e al tempo stesso una silhouette umana in riposo …
Nella mia pratica lavoro la relazione tra il corpo, l’oggetto e il suo uso quotidiano, in modo narrativo. Le opere non sono chiuse nella rigidità che il vetro impone ma vivono, come esseri antropomorfi, in tutta la loro organicità: ricordate? “C’è sempre un senso che va oltre l’uso dell’oggetto”».
Che progetti hai dopo la mostra?
«Tra qualche giorno tornerò a Lisbona, dove mi aspettano giorni intensi in preparazione alla prossima settimana quando il project space Uppercut aprirà una mostra dove dialogherò con alcuni lavori degli anni Sessanta dell’artista portoghese Luísa Correia Pereira, mentre la mia galleria di Lisbona, Madragoa, inaugurerà una nuova mostra collettiva dove esporrò un lavoro, direi in scala maggiore, con una natura più architettonica… Inizierò poi a sviluppare un progetto molto bello, e non vedo l’ora: farò la facciata di vetro, che è enorme, di una bella chiesa di Lisbona, Iglesia de Santa Isabel… e naturalmente qualche giorno in spiaggia… presto».