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14
settembre 2017
Guerzoni e il suo “buon uso delle rovine”
Opening
Si inaugura oggi “Per un buon uso delle rovine”, la prima personale di Franco Guerzoni presso la sede romana di Monitor, che prova a stabilire un dialogo tra presente e passato, come se momenti diversi della ricerca dell’artista potessero illuminarsi a vicenda
di redazione
È in arrivo in libreria in questi giorni l’ultimo saggio di Zygmunt Bauman, terminato poco prima che morisse. Il titolo è Retrotopia. Non cercate questa parola sul vocabolario. È, infatti, un neologismo che sintetizza efficacemente la nuova tesi del celebre sociologo polacco. Dopo l’età delle utopie del futuro e, poi, quella che ha negato ogni utopia, oggi viviamo l’epoca dell’utopia del passato. Insomma, in un’epoca di incertezze quale l’attuale, sembra proprio che preferiamo guardare indietro piuttosto che a un futuro migliore. E “retrotopia” è proprio la parola che mi è balzata in mente pensando alla ricerca artistica di Franco Guerzoni (Modena, 1948). Per comprenderne alcuni aspetti dell’odierna poetica. Come la centralità del tema della rovina, che assurge quasi a leitmotiv. Fin dai primi anni Settanta, in cui l’artista comincia a prestare grande attenzione al mondo archeologico. Tempo della sua rappresentazione dell’immagine attraverso l’uso del mezzo fotografico, del concettuale e del “grado zero della pittura”. Ma anche dei dibattiti con gli altri giovani artisti modenesi, come Carlo Cremaschi, Giuliano della Casa, Claudio Parmiggiani, Franco Vaccari e, soprattutto, Luigi Ghirri.
Con gli anni Ottanta la ricerca di Guerzoni partecipa a una più generale riscoperta della sensibilità pittorica, i cui echi risuonano ancora oggi, senza perdere tuttavia mai di vista la poetica degli avanzi, dei ruderi, intesi come monumento di un tempo risalente, alla classicità, oppure a un passato più vicino, anche autobiografico (fatto di incontri con i resti di case e archeologie recenti). In un processo scandito da una pratica fatta di gesti e azioni semplici: grattare, trovare, scavare, stampare, sottrarre, aggiungere, asciugare, sabbiare, strappare. È il caso della serie intitolata Spie, presente in mostra da Monitor con un lavoro particolarmente convincente del 1980 (nella foto in alto). Si tratta di opere in cui, nelle crepe di una lastra di gesso, affiorano visi, o anche soltanto occhi, stampati in polvere di carbone, tratti da pitture antiche.
Nei dipinti recenti, quasi dei “monocromi” dalle superfici magmatiche di materia slabbrata e tormentata, ancora una volta torna il passato. Prossimo o meno. Comunque passato. Questa volta contrassegnato da strappi d’affresco. Per un percorso a ritroso nella memoria e nella storia materiale del dipinto, di decostruzione e sottrazione, una specie di archeologia intima e contraffatta, dove il riemergere inaspettato di un frammento, in forma di coccio, mosaico, lacerto (di colore o materiale) può diventare il fulcro energetico di questi “affreschi contemporanei”. E, ancora una volta, mi riaffiora la tesi della “retrotopia” di Bauman. Perché anche in questi ultimi suoi lavori, sembra che Guerzoni voglia trovare riparo in un passato indistinto, facendo “buon uso delle rovine” per fuggire dal nostro presente in cui – crollati tutti i progetti collettivi – per dirla con le parole di Bauman «l’idea di progresso si è completamente privatizzata». (Cesare Biasini Selvaggi)
In alto: Franco Guerzoni, Spie, 1980. Stucco e pigmenti su carta, frammento di gesso serigrafato, 60 x 80 cm. Courtesy l’artista e Monitor, Roma-Lisbona
In homepage: Franco Guerzoni, Piccola stanza, 2016. Tecnica mista, cm 43 x 57. Courtesy l’artista e Monitor, Roma-Lisbona
INFO
Dal 14 settembre al 4 novembre 2017
Opening: ore 19-21
MONITOR
via Sforza Cesarini 43a-44, Roma
tel. 06.39378024 – www.monitoronline.org