Lâarte contemporanea fa spesso e volentieri âa cazzottiâ con lâimmagine della bellezza naturale, perchĂŠ si propone di insegnarci a interpretare il mondo (o almeno di fornirci una propria lettura non didascalica), insomma di guardare la realtĂ intorno a noi con occhi diversi, critici. Dimostrando, nel contempo, come la bellezza sia qualcosa che risieda oltre i soli canoni estetici: perchĂŠ nasce dal profondo e si può trovare anche nella cosa piĂš piccola e insignificante, forse addirittura brutta, sotto gli occhi di tutti. La bellezza diviene, cosĂŹ, unâesperienza totalizzante tanto forte da essere in grado di influenzare le scelte e le aspettative di vita individuali, aiutandoci a scoprire chi siamo. E lâarte contemporanea ne è lâalfiere prediletto.
Forse abbiamo, quindi, trovato la risposta a chi ci domanda, a fasi alterne, con sempre maggiore insistenza: âA cosa serve lâarte?â. âA trovare se stessi, almeno in parteâ, potremmo infatti rispondere, a giudicare dalla produzione artistica globale degli ultimi venti anni. Qualcuno potrebbe trovarla una risposta banale, quasi da biglietto dei âBaciâ Perugina, eppure è profonda quanto verosimile. Tanto piĂš che questa considerazione non è soltanto valida per chi crea arte, ma anche per tutti gli altri attori della filiera del âsistema dellâarteâ: critici, curatori, galleristi, collezionisti. E finanche, direi, per il pubblico abituĂŠ di mostre pubbliche e private. Gli âart addictedâ, per usare un neologismo. Tutti sembrano alla ricerca, in un video come in una fotografia, in unâinstallazione come in una performance, in un dipinto come in una scultura, di uno specchio nel quale incontrare e riconoscere qualcosa di se stessi. Ma attenzione a non smarrirsi in assenza di punti di riferimento, a non farsi demoralizzare di fronte a tanta imperfezione. Piuttosto, talvolta, conviene lasciarsi andare, facendosi divertire dalle molte stimolazioni che solo lâarte riesce a riservarci. Quindi âHave a Nice Timeâ cioè âDivertiteviâ recita il titolo della collettiva che si inaugura oggi nella suggestiva cornice di Palazzo San Francesco, a Domodossola. Ma, soprattutto, âtrovate voi stessi nello spazio dellâarteâ, sembrerebbe sul punto di aggiungere.
Ă questo il lungo filo rosso che collega tra loro artisti tanto diversi, come Maddalena Ambrosio, Chiharu Shiota, Antony Gormley, Peppe e Lucio Perone, Jason Martin, Mimmo Paladino, Joerg Lozek, Daniel Canogar, Jannis Kounellis, Jenni Hiltunen, Jaume Plensa, AnneĂŠ Olofsson, Bernardi Roig, Marcus Harvey, Gavin Turk, Giovanni Manfredini, Ximena Garrido Lecca, Spencer Tunick, Julian Opie, Max Neumann, Massimo Kaufmann, Franco Rasma.
In questo girotondo di linguaggi diversi, a prima vista persino caotici, câè un altro anello di congiunzione. Ă Mimmo Scognamiglio. La mostra, infatti, propone il lavoro e le passioni artistiche di questo noto gallerista che può vantare unâesperienza umana e una pratica visiva acquisita lavorando a Napoli con una figura rivoluzionaria come Lucio Amelio. Privilegio non da tutti. Che ha fatto la differenza. Ecco, quindi, spiegata meglio lâorigine di una selezione di artisti, tra Kounellis e Shiota, tanto eterogenea, non legata a tendenze. Spesso con il dono della profezia. E, per una volta, senza le solite âCassandreâ a piede libero. (CBS)