13 maggio 2017

Il fondale di Marzia Migliora

 

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Si intitola “Velme” la mostra di Marzia Migliora a Ca’ Rezzonico, il Museo del Settecento veneziano. Si tratta, probabilmente, dell’esposizione più riuscita tra le collaterali di questa 57esima Biennale. Perché si insinua sottilmente tra la storia e il contemporaneo, come si può insinuare nella navigazione – mistificando la percezione dell’occhio umano, traendolo in inganno – la cosiddetta “velma”, una porzione  di fondale lagunare poco profondo che si tramuta in “isola” durante le basse maree, per poi essere riassorbita. Una condizione morfologica indispensabile che, a Venezia, non ha più una salute appropriata a causa del degrado marino e dell’incuria, e che Marzia Migliora legge invece come una “necessità del presente” da tutelare, che non può essere ignorata.
Perché questa lunga, e un po’ straniante, premessa? Perché Migliora attraverso una serie di pochissimi elementi, senza quasi “toccare” il Museo e nemmeno il fondo, crea un vero e proprio detournement: sposta sculture di “mori”, i vecchi schiavi presenti tra la nobiltà veneziana, usando come ispirazione anche l’affresco del Tiepolo Il mondo nuovo, conservato proprio a Ca’ Rezzonico; mostra la maschera Moréta, usata all’epoca dalle donne che dovevano indossarla reggendola con una mordacchia tra i denti; destruttura “parole” usate per strumentalizzare, da sempre, atti criminali, facendo incontrare ad esse il nostro volto; ci parla dello sfruttamento delle risorse naturali, citando Luigi Nono (La Fabbrica Illuminata) e mischiando oro e sale, acqua e terra. E Venezia sullo sfondo, in una mostra precisissima e affilata, per guardare alle condizioni di un vecchio mondo che ancora non si è abbandonato, leggendolo con gli occhi di oggi, e pensando che di mari da attraversare ve ne sono ancora tanti, e che sono pronti a incastrarci in una “velma”, se non sapremo rispettarli. (MB)

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