Jacopo Benassi, Pogo, 2018, courtesy l'artista
Al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato inaugura oggi, 8 settembre, “Vuoto”, la prima personale Jacopo Benassi (1970, La Spezia) in un’istituzione museale (fino al primo novembre).
La mostra, curata da Elena Magini, per raccontare 25 anni di ricerca del fotografo ligure, inizia con la parziale ricostruzione dello studio dell’artista all’interno del percorso espositivo e prosegue in un dimensione spaziale espansa, che arriva a includere gli spazi cittadini con la serie di affissioni di pubbliche di “The Belt”, dedicato al distretto tessile pratese in collaborazione con l’Archivio Manteco e curato sempre da Elena Magini (fino al 13 settembre).
Alla realizzazione della mostra hanno contributo la galleria Francesca Minini e l’Archivio Manteco.
«Jacopo Benassi fotografa a partire dalla fine degli anni Ottanta, nell’alveo della cultura underground spezzina, la sua prima fotografia è stata infatti scattata in un centro sociale ad un gruppo punk. Negli anni il fotografo ha sviluppato uno stile personalissimo, dove la profondità di campo viene annullata e la luce del flash diviene una sorta di firma, un limite stilistico che Benassi si autoimpone per arrivare ad una fotografia cruda e potente, priva di mediazioni. Il flash non è per il fotografo un mezzo per aggiungere luce ad una luce esistente, ma un modo di cancellare totalmente la luce reale. La fotografia diviene così un atto forzato, un evento creato dall’artista in cui lo scatto perfetto non esiste», ha spiegato il museo.
I soggetti di Benassi sono molto eterogenei: «dall’umanità che abita la cultura underground e musicale internazionale – a partire dall’esperienza del club Btomic, gestito dal fotografo con alcuni amici – a ritratti di modelle, attrici, artisti, stilisti pubblicati nelle più importanti riviste italiane, fino all’indagine sul corpo, che varia dalla documentazione autobiografica di incontri sessuali, allo sguardo intenso sulla statuaria antica e che può essere considerato il “filo rosso” della sua produzione pantagruelica. Un posto speciale nell’opera di Benassi è occupato dall’autoritratto, spesso legato al suo percorso performativo: la sperimentazione sulla performance, sua o di altri, si lega costantemente alla musica e viene sempre mediata dall’immagine fotografica, soggetto e oggetto della sua ricerca», ha aggiunto l’istituzione.
Il titolo della mostra, “Vuoto”, «richiama la specifica sensazione di Benassi rispetto ad un’indagine a posteriori sulla sua produzione. Uno “svuotarsi” che è inteso come percorso di autoesposizione pubblica: nella mostra il fotografo si concede interamente allo spettatore, consegnando il suo studio, i suoi strumenti, il panorama creativo che l’accompagna nella gestazione del lavoro, l’insieme degli scatti che danno vita ad un’indagine decennale sui temi dell’identità, della notte, del lavoro. Un atto di apertura verso l’esterno che costituisce un punto zero nella carriera dell’artista, e di contro, una possibile rinascita», ha proseguito il museo.
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