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Forse il nome di Jago (nickname di Jacopo Cardillo) non dice ancora molto alla generazione “offline” degli operatori del sistema arte. Ma sicuramente a quelli “online”, Millennials in testa, non è passato inosservato. Dati alla mano. In questo preciso momento su Instagram ha oltre 4.200 follower, destinati ad aumentare ancora a vista d’occhio. Sulla sua pagina Facebook sono in 136.736. Per non parlare dei suoi video, che ormai possiamo definire virali: “Habemus hominem” ha raccolto 749 mila visualizzazioni, mentre “Vivere” ha raggiunto la veneranda quota di 786 mila.
Sono numeri tutt’altro che trascurabili. Che ci introducono, tuttavia, a un fenomeno molto più complesso. Nonostante la giovane età di Jago, classe 1987, e la sua geolocalizzazione decisamente “local” in quel di Anagni, vicino a Frosinone. Ci troviamo, infatti, davanti a uno scultore che plasma, penetra, piega, disvela il marmo come fosse burro. E che si riallaccia alla realtà come naturale filiazione dalla tradizione (da Cellini a Bernini, da Canova a Rodin). Ma ogni suo riferimento al passato e ogni spunto attinto dal mondo circostante è intensamente rivissuto e personalizzato. E in questo risiede lo spirito decisamente contemporaneo impresso alle sue opere. Il suo approccio metodologico comprende un crogiuolo di linguaggi che si mescolano simultaneamente, ma non si sovrappongono, in un approdo da opera d’arte totale, con esiti da “Wunderkammer” (camera delle meraviglie). È quanto ci aspettiamo anche dai lavoro nella sua mostra personale che si inaugura tra qualche ora a Milano, nelle sale della rinomata Montrasio Arte, con l’annunciato “Muscolo minerale”, in cui un cuore iperrealistico sembra prendere vita da una pietra, oppure con “Apparato circolatorio” – che dà il titolo all’intera esposizione – una grande installazione a parete di 30 cuori in ceramica ruotati sul loro asse, come a ricreare altrettanti fotogrammi del movimento di un solo battito cardiaco. Senza tralasciare “Sphynx”, la scultura del felino-feto che si schiude dal marmo.
Sempre eclatante, tuttavia, è l’opera “Habemus hominem” (2009-2016) che sarà possibile visionare nella project room della galleria milanese, trasformata per l’occasione in un ambiente mistico-teatrale. A giudicare dalla sua datazione sembrerebbe che abbia comportato a Jago una lunga gestazione. In realtà si tratta di una scultura di marmo bianco, pluripremiata ed esposta in luoghi prestigiosi, che è divenuta poi performance, installazione, infine un video virale. Mutatis mutandis. È il caso di dirlo. Jago ha dapprima scolpito il busto di papa Benedetto XVI. Che, dopo le sue storiche dimissioni, da pontefice è tornato l’uomo Ratzinger (in homepage e in alto). Attraverso la sua rinuncia, forse più un sacrificio necessario che solo gli storici dei prossimi decenni sapranno inquadrare con la necessaria oggettività. E Jago ha letteralmente spogliato il Vicario di Cristo nella pietra dei suoi paramenti, fino a denudarlo. Ripreso dall’occhio della telecamera. E poi scandito nel racconto di un video con un montaggio alla Quentin Tarantino. Ciononostante stiamo parlando della stessa opera, dal 2009 divenuta progressivamente “liquida” nei linguaggi, negli esiti estetici. Ma sempre coerente all’istanza di fondo. Quella di un’opera d’arte che faccia palpitare la vita e riflettere su di essa. Con qualche anticipazione predittiva del futuro che verrà. A cominciare dal prossimo conclave. (CBS)