Inaugura oggi 21 gennaio, aprendo il programma espositivo di Atipografia, “LA FORMA DELLE PAROLE”, mostra personale di Stefano Mario Zatti, a cura di Robert Phillips e Matilde Nuzzo.
Esplorando il percorso artistico di Zatti, la mostra offre nuove e diverse chiavi di lettura della sua opera. La mostra è articolata su entrambi i piani con dodici grandi opere al piano terra proseguendo a salire con una selezione di lavori appartenenti alla fase artistica legata alla transizione tra il concettuale e la particolare rappresentazione del verbo come mezzo espressivo. Nel loro insieme esse rappresentano uno dei capi della metafisica dell’assenza dove il venir meno di punti di riferimento nella realtà crea un distacco estremo, aiutato dal quasi totale rifiuto del colore.
Fondamento della ricerca di Zatti, da cui peraltro nasce la mostra, è l’assunzione della parola come atto di creazione. Esse sono ombre che occupano piccoli ritagli all’interno di uno spazio assoluto collocati in contesti volutamente silenti e, a tratti, inquieti e oscuri. Non ritratti o fisionomie isolate nel grigiore di una tela, ma parole o gesti artistici a cui guardare con la consapevolezza delle azioni evocate, piccole tessere che divengono emblemi di un oggetto relazionale.
All’estrema sintesi del fare dell’artista, liberato com’è da ogni sovrastruttura, corrisponde la sua massima chiarezza rappresentativa. Si spazia tra la rappresentazione puramente simbolica di “sangue del mio sangue”, o delle “sindoni”, dove la parola non è elemento mostrato, ma sotteso, come se i sentimenti si tramutassero in grafie e le grafie in sentimenti, fino a opere come “99 nomi” o “mundus” dove proprio l’elemento grafico mostra la parola come atto finale, e fondante, della rappresentazione.
“LA FORMA DELLE PAROLE” nasce dal confronto tra le varie sensibilità delle persone che accompagnano Zatti nel suo percorso. Discutendo e analizzando il lavoro nelle sue diverse declinazioni, in cui spesso la parola scritta è motivo sigla del suo rappresentare, ci si accorge che al fondo di ogni opera esiste un narrato, una sorta di bolla latente, che esprime con la scrittura ogni aspetto delle sue opere. Questa forma di enciclopedia personale, di abaco dell’inconscio, contenuta nei suoi libretti fittamente scritti al limite dell’indecifrabile, rappresenta uno strumento di rappresentazione del verosimile, una sorta di illusione consapevole legata com’è alle suggestioni quotidiane dei concetti che stanno alla base dell’elaborazione del piacere estetico del lavoro dell’artista.
Il processo in cui le parole entrano non è più soltanto dramma personale, ma viene generalizzato, filtrato dalla distanza fisica ed emotiva dove il paesaggio della rappresentazione viene circoscritto e, apparentemente, soffocato dentro il perimetro delle opere. Le opere esposte sono accompagnate da uno scritto che racconta, in forma poetica ma anche critica, le complesse interazioni che portano alla genesi delle opere dell’artista, mostrando frammenti di memorie che riaffiorano, luoghi dimenticati, ricordi lontani che sono restituiti al lettore come metafore di un percorso difficilmente raccontabile con altri mezzi.
Nella mostra, come nel percorso artistico, Zatti approfondisce ogni componente della propria interiorità, restituendone una forma visibile e superando la banalità della sola rappresentazione fattuale della percezione quotidiana per spingersi oltre le barriere del concettuale e facendosi interprete cosciente, con assoluta integrità e sincerità, di quegli schemi reconditi che stanno alla base di ogni rappresentazione artistica.
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